Un gol pesante, quello di Ferrara, che ha contribuito al primo successo in trasferta dei Grigi in Serie B. “I sogni si realizzano, ma subito ce ne sono altri. I sogni non si fermano mai”. Ne è convinto Riccardo Chiarello. “Nella mia vita i sogni ci sono sempre stati, ogni bambino che gioca con un pallone di sogni ne ha sempre, senza sogni non si va da nessuna parte, così come senza la fame. Ma io oggi devo far convivere i sogni con il dolore. Sogno ancora, ma ho il cuore e lo spirito tormentati da un dolore immenso, che nulla potrà mai cancellare. Soffro per la scomparsa di mia mamma, che per me non è stata solamente colei che mi ha dato la vita, ma la mia prima amica, la mia confidente… insomma è stata tutto. Oggi ci sono tante persone che mi sono vicine, a cominciare da mio papà e dalla mia fidanzata Federica che sto per sposare, ma la mamma è la mamma. E mi manca immensamente”. Riccardo Chiarello è un ragazzo, come si suol dire, acqua e sapone, che ti colpisce per la genuinità e l’umiltà.
È l’opposto del calciatore glamour, tutta apparenza e poca sostanza. “Sono contento se la gente mi interpreta così, perché io sono realmente così, allevato nella convinzione che nella vita bisogna lavorare sodo ed essere rispettosi dei valori. La mia famiglia mi ha cresciuto così, ed è anche per questo che nella mia professione di calciatore metto al primo posto il lavoro”. Chiarello sembra più un intellettuale che un calciatore. “Gioco a calcio sì, ma mi sono anche laureato. All’inizio l’ho promesso ai miei genitori, che mi avevano permesso di rincorrere un pallone solo se avessi continuato a studiare. I sacrifici sono stati tanti, ma oggi posso dire che sono stati ripagati”.
– Partiamo dall’inizio…
“Essere cresciuto in una società di Serie A, come allora era il Chievo, mi ha fatto ritenere cosa certa arrivare nel grande calcio. Ma così non è stato, il contraccolpo fu durissimo da assorbire, poi una volta raggiunto il professionismo con il Real Vicenza le certezze sono anche qui svanite quando la squadra non si è più iscritta al campionato. Dover ripartire dai dilettanti è stato un qualcosa di indescrivibile, ma volendo guardare un lato positivo, posso dire che mi ha temprato il carattere”.
– Poi è venuta la Giana Erminio…
“Ho conosciuto mister Cesare Albè, una persona fantastica che mette l’uomo prima del calciatore. Ho subito visto che aveva a cuore questo ambiente, il suo ambiente. Il segreto della Giana Erminio? Il gruppo con la sua consapevolezza ed umiltà. Che effetto fa allenarsi con giocatori come Viotti, Sasà Bruno e Pinardi? Dire bello è riduttivo, cercavo spesso i loro consigli. Quello che però mi è rimasto più impresso è quello di Sasà che mi diceva sempre di essere più cattivo. Rabbia negli occhi e voglia di incidere”.
Detto, fatto. Minuto undici del secondo tempo del primo turno playoff con la Viterbese. Bruno lotta come un leone e prolunga la palla per Gullit. Okyere la difende ed apparecchia per Chiarello. Una palla che sembra chiamare il 4 della Giana, controllo e gol con il piede debole.
“Mezzo gol è stato merito del controllo, poi si sa, quando colpisci con il piede debole sei ancora più concentrato e focalizzato sull’obiettivo…”.
– Già, l’obiettivo. Quella donna in tribuna. Corsa perdifiato verso il fisioterapista Mauro che custodiva la maglia con dedica preparata da Riccardo.
“Emozioni? Tante, ma non mi chiedere di riviverle… per un attimo ho visto tutto nero. Black-out fino al momento in cui ho riacceso la luce alzando la maglia con dedica: era la festa della mamma e quel gol è stato tutto suo, per la mia mamma che si era fatta duecento chilometri per venirmi a vedere. E anche adesso che ho segnato il gol alla Spal ho guardato il cielo e l’ho dedicato alla mia mamma”.
– Chiarello, lei è entrato a pieno titolo nella storia dell’Alessandria per aver contribuito al ritorno in B dopo tantissimi anni.
“Mi vengono ancora i brividi. Quando sono arrivato all’Alessandria nel gennaio del 2019 ho subito compreso che avrebbe potuto essere la grande occasione per finalmente raggiungere il calcio importante, che tutto sarebbe dipeso in primo luogo da me e ce l’ho messa tutta, favorito dal fatto che eravamo e siamo un grande gruppo”.
– E all’interno di questo gruppo, quanto conta Moreno Longo?
“Lui è l’anima e il motore del gruppo, è un uomo prima di tutto leale e che ti parla chiaro: ‘tu dimostrami che credi nel gruppo e io ti premio, perché indossare la Maglia Grigia è prima di tutto un premio e un onore’. Longo ti insegna i valori, poi dai valori nascono le prestazioni, senza non si va da nessuna parte”.
– La finalissima al Moccagatta contro il Padova?
“Un clima unico, quasi surreale… Quando sono arrivato ad Alessandria ho percepito la frustrazione per le tante occasioni perse nel passato, compresa quella clamorosa che vide anche la Giana tra le squadre che fecero inciampare i Grigi. Il rigore di Rubin è una sorta di rito magico della purificazione”.
Quella di Chiarello è anche una storia di riti e scaramanzie, come quando portava a casa la borsa il giorno prima di una partita.
“Tutti lasciavano la borsa nello spogliatoio ma io no; sono sempre stato abituato così anzi, dal pomeriggio del giorno prima iniziavo a fare sempre le stesse cose; ogni weekend come fosse un ciclo: facevo la borsa, lavavo le scarpe e mi mettevo a guardare la partita di Serie A. Io sono sempre stato tifoso della Juve. Adesso la borsa non la faccio più, perché l’Alessandria è una società organizzatissima e ci pensa il magazziniere, ma il non farmi la borsa mi manca tantissimo. L’altro giorno si è allenato con noi un ragazzo della Primavera e aveva con sé la sua borsa, l’ho vista e ho detto ai miei compagni: vedete, a mio avviso lui ha ancora la fortuna di farsi la borsa”.
La forza della Giana era il gruppo compatto, racconta, tranne quando si trattava di giocare a carte. Nonnismo infernale. “Il tavolo del burraco era inavvicinabile”, confessa scherzosamente. Da una parte Pinardi, Bruno, Sanchez ed Augello; dall’altra invece Pinto, Perna, Sosio e Marotta a scopone. Viotti nel mezzo, pronto a subentrare.
E Chiarello? Chiedo incuriosito. “Nemmeno in panchina, dicevano che ero scarso. Oggi non gioco più alle carte, preferisco rilassarmi. Ma la rabbia dopo una partita, purtroppo finisco per portarmela anche a casa. Sono fatto così. Come detto, sto per sposarmi e il convivere con Federica mi h anche aiutato a crescere ulteriormente. Sono felice, ma so già che quel giorno mi mancherà la mamma anche se certamente sarà lei a prendermi per mano e portarmi da Federica”.
Anche questo dell’Alessandria è un gruppo con grandi valori già ampiamente dimostrati nel corso di questa stagione, dove certamente è inevitabile pagare dazio alla novità e all’inesperienza. “Abbiamo avuto importanti reazioni d’orgoglio. Noi siamo sempre attenti, pur soffrendo, ad imboccare la strada giusta della continuità per raggiungere la salvezza. Sai qual è la cosa che mi da fastidio? Molti dicono che non ho il fisico per reggere il confronto con la B: mi arrabbio e mi impegno ancor di più negli allenamenti. Ci vuole fisico certamente, ma sono altresì importanti la testa e gli atteggiamenti. La storia del calcio ci ha insegnato che accanto ai campioni ci sono anche gli onesti operai, allora mi sono detto, dai continua a sognare!”.
Un sogno che parte dalla storia di borse portate a casa il giorno prima e di anticipi di Serie A guardati in tv dal divano di casa. Sognare che si ripete con la stessa frequenza di un battito cardiaco. Cuore di colore grigio, un giocatore che non vuole fare la comparsa; con umiltà e senza presunzione. Che ogni volta che gli capiterà di segnare ha imparato a guardare il cielo per salutare la sua mamma. Il cuore di un ragazzo che soffre. Per dirla in una parola, Riccardo Chiarello.
Mario Bocchio
Originario di Arzignano, classe 193, scuola Chievo, prima dell’Alessandria Riccardo Chiarello ha indossato le maglie di Valdagno, Arzignano, Real Vicenza e Giana Erminio. Chiarello aveva messo a segno due reti al Moccagatta contro l’Alessandria: una è stata nella rocambolesca vittoria della Giana per 4-2 nel campionato 2016-’17.
Le fotografie sono di © www.museogrigio.it