Bruno Nicolè nasce a Padova il 24 febbraio 1940 da papà Carlo, edicolante, e mamma Teresa che manda avanti una latteria vicino a casa. La guerra in corso costringe i genitori ad affidare i figli ai nonni, a Bastia di Rovolon. Ma i coniugi Nicolè resistono strenuamente con le rispettive attività in quegli anni difficilissimi. Il piccolo Bruno scopre lo sport dalla radio, dalla narrazione delle imprese del ciclista Gino Bartali e del Grande Torino. A 14 anni entra nel Padova, dopo essere stato notato quale attaccante veloce dal fisico importante e dalle buone qualità…
Poi la Juventus. Succede tutto così in fretta per il ragazzo padovano, viene travolto da un’ascesa rapidissima. Tutto questo nonostante in bianconero debba adattarsi a giocare all’ala destra per la presenza dei mostri sacri Charles e Boniperti. Nicolè cattura l’occhio ugualmente, tanto che Viani lo convoca in Nazionale nel novembre 1958. In programma c’è Francia-Italia, amichevole con i transalpini freschi semifinalisti del Mondiale svedese. Nicolè debutta a 18 anni e 258 giorni, mettendo a segno una doppietta nel 2-2 finale: un primato di precocità che resiste ancora oggi. Viene esaltato dai tanti tifosi italiani accorsi allo stadio, il suo exploit ne rafforza la popolarità.
Nell’estate del 1965 si trasferì alla Sampdoria, che nella sessione invernale di mercato lo cedette all’Alessandria, in Serie B.
“Da calciatore pensavo molto. Bastava un calcio su un ginocchio per far finire il sogno in qualsiasi momento. Guardavo Boniperti, che reputava vincere la cosa più importante. Ma non si può sempre vincere. Vado alla Roma e poi al Mantova, nella speranza di ritrovarmi. Ma in realtà mi si era rotto qualcosa dentro. Non cambiarono le cose neppure alla Sampdoria. Quando arrivai all’Alessandria mi vergognai, perché mi offrivano lo stesso stipendio percepito alla Juventus più bonus. A 27 anni decisi di smettere, in realtà lo avrei voluto fare anche prima“.