Una volta il secondo portiere sapeva che, se tutto andava come doveva andare, non avrebbe visto mai il campo di gioco, non avrebbe mai sfiorato per un solo istante la porta custodita saldamente dal numero.
“Ma noi avevamo una passione particolare, struggente, commovente per lui. Sì, per lui: il numero 12, il portiere di riserva. Non giocava (quasi) mai, sulla panchina coltivava inutili speranze e aumentava di peso. Era un’ombra discreta e diligente. Lo potevi trovare in un angolino dell’album Panini e nella foto ufficiale. Durante la stagione, no. Le luci della ribalta toccavano al titolare” ha scritto Darwin Pastorin.
Eppure, erano e sono figure mitiche. Di un calcio che è forte rimpianto, tenerezza. Giancarlo Alessandrelli disputò con la Juve, una sola partita. Ad un certo punto, Dino Zoff disse: va bene, diamo un contentino al ragazzo. I bianconeri, ultima di campionato, 13 maggio 1979, in casa contro l’Avellino, stanno vincendo 3-0. Gol di Roberto Bettega e doppietta di Vinicio Verza.
Favot nella Primavera dell’Alessandria.
Ancora Pastorin: “Per Alessandrelli, dopo tanto attendere, è il momento che vale una vita professionale. Entra in campo con il cuore che gli batte forte. Così forte da non sentire nemmeno il boato dello stadio che accompagna il suo esordio. La porta gli sembra immensa, non come in allenamento, dove tutto sembra così naturale, così facile, così semplice. Tremano le gambe, tremano le mani. E gli irpini vanno a rete, tre volte. Pareggiano una partita che sembrava, ormai, segnata”. Il dodicesimo a fine stagione lascia la Juventus per andare all’Atalanta, in B. Il suo posto viene preso da Luciano Bodini. E Luciano Bodini è entrato nella letteratura, grazie a un libro, molto bello, scritto con passione, di Nicola Calzaretta: “Secondo… me” (“Libri di Sport”). Mancava un’opera così, Calzaretta ha colmato un vuoto. Così come l’attore Matteo Belli portò in teatro le attese e le disavventure di Massimo Piloni, altro portiere che si è sacrificato sull’altare dell’immensa bravura di Zoff.
Ad Alessandria abbiamo ritenuto interessante la vita calcistica di Sergio Favot (foto sopra, il terzo da sinistra, in piedi), friulano di Casarsa della Delizia, classe 1955.
Arrivò in riva al Tanaro in occasione dell’annata 1972-’73: titolare Flavio Pozzani, a contendersi la panchina Favot e il milanese Claudio Croci. Risultato: quest’ultimo riuscì a collezionare dieci presenze in campo, Favot nessuna, ma nonostante tutto venne inserito in distinta come numero 12 nella finalissima dello stadio “Flaminio” di Roma contro l’Avellino. Quando ci fu l’invasione di campo dei tifosi irpini, se non fosse stato per il povero Dolso, forse sarebbe stato linciato. Senza un solo minuto effettivo di gioco, Favot vinse comunque la prima Coppa Italia di serie C.
L’annata successiva fu quella dell’ultima (per ora) promozione dei Grigi in serie B. Non cambia la solfa, anche se Croci ridusse le presenze da dieci a sette. Che divennero solo più tre in cadatteria. Favot rimase sempre fisso a zero, se non qualche apparizione in panca.
Favot, indicato dalla freccia, durante l’ormai famosa invasione di campo dei tifosi avellinesi allo stadio “Flaminio” di Roma.
Ritornati subito in C, Croci se ne andò via, arrivarono il fiorentino Luciano Gonnelli, proveniente dalla Sambenedettese, e Adriano Zanier dall’Udinese. La serie A con la Roma gli era stata preclusa sul campo da Alberto Ginulfi, ma anche da un bisticcio con l’allenatore Helenio Herrera.
Da sinistra: Pozzani, Croci e Gonnelli.
Udite udite! Favot – in quel torneo 1975-’76 – fece il suo esordio subentrando proprio a Zanier al 73’ di Alessandria-Pro Patria 3-0. Scese poi in campo per tutti i novanta minuti alla penultima giornata, per Alessandria-Trento 0-2, incassando le reti da Di Giovanni e Damonte.
Sempre da sinistra: Pezzulli, Cannarozzi e Lucetti.
Nella stagione successiva i portieri furono Zanier, Favot e il piacentino Ivano Pezzulli. Questi ultimi due non collezionarono nessuna presenza. Favot fece poi le valigie per la Puglia, destinazione Nardò in D, dove finalmente trovò spazio come titolare.
Agosto 1972, in allenamento con Pozzani a Villanova Mondovì, durante il precampionato a Miroglio.
Nella “rosa” dell’Alessandria allenata da Franco Viviani.
Lo ritroviamo puntualmente al “Moccagatta” in C1 per l’annata 1979-’80: il torinese Sergio Cannarozzi difese i pali ventun volte, il carrarino Angelo Lucetti diciassette. Naturalmente mai una volta Favot.
La stagione 1980-’81 fu quella dell’insperata, perciò esaltante, promozione in C1 con Dino Ballacci: l’Alessandria ridusse a due i portieri, il titolare Zanier (foto a fianco) e la riserva Favot, che giocò solo in occasione delle due gare dei sedicesimi di finale di Coppa Italia: Alessandria-Sanremese 1-0 (rete di Pasquali) e Sanremese-Alessandria 2-0, quando venne trafitto da Cecchini e De Luca.
Si chiusero così le sette stagioni al servizio dell’Alessandria. Sette stagioni con sole quattro presenze! Eppure per gli annali statistici ha vinto una Coppa Italia e un campionato di C1.
L’ organico della promozione 1980-‘.81 Da sinistra, in piedi: Ballacci (allenatore), Gaudenzi, Zerbio, Soncini, Falco, Zanier, Pasquali, Favot, Piccotti, Maniscalco, Colusso, Burroni, Viganò (massaggiatore). Accosciati: Colombo, Calisti, La Loggia, Fabris, Poli, Rossi, Russo, Piazza, Negri, Evangelista.
“Ho sempre interpretato il mio ruolo con grande impegno, serietà e discrezione, ci tengo a dirlo. Certo, è vero, tante volte ho sperato che accadesse l’imponderabile, con l’allenatore che mi facesse cenno di scaldarmi, ed entrare” ci confessa.
Ed ancora: “Mi sono sempre allenato tanto quanto i titolari, dentro di me ho capito che mi è mancato infilarmi i guanti e sputarci dentro per fare presa, ma ho sempre rispettato tutti, allenatori e compagni, e credo di essere stato a sua volta rispettato da loro”.
Proprio perché friulano come lui, Favot ha finito inevitabilmente per diventare i miglio amico di Zanier, il suo confidente nello spogliatoio come nella vita privata. Tanta bella amicizia, certo, ma al momento di chiedergli un pochino di spazio in campo, Zanier faceva sempre finta di niente e andava dritto per la sua strada.
“C’era quest’ amichevole ad Ancona, la mia città. Speravo che Zoff mi cedesse il posto, invece volle giocare lui a tutti i costi. Una delusione” ha ammesso Piloni.
Era quel calcio con la consapevolezza leggera che il secondo portiere almeno di una cosa era meglio. Era meglio di una porta sguarnita che nessun altro si sarebbe offerto di difendere.
“A volte mi capita di restare sulla linea di porta della mia vita per un frammento minuscolo. Ma ancora oggi non ho la presunzione di essere titolare. In fondo è la vita stessa che ha finito per farmi accettare il ruolo, insegnandomi che sulle nostre spalle, a destra del 1, c’è sempre un 2”. 12 appunto. Portiere di riserva.
Mario Bocchio