È una piazza strana la nostra, è risaputo. Quante volte ci siamo sentiti dire “Alessandria è una realtà del sud trapiantata per sbaglio nel profondo nord”? Tante, tantissime volte.
L’alessandrino vive di passione, quella genuina, quella che da luglio a maggio ti fa credere nel miracolo sportivo. È così da sempre. Erano dei romantici passionali i nostri nonni e siamo dei romantici passionali noi. E lo saranno anche i nostri figli, e poi ancora i nostri nipoti.
Eppure motivi per far spegnere questa romantica passione ce ne sarebbero.
Abbiamo ancora tutti ben stampati in testa i tragici giorni del fallimento, le annate disastrose in serie D e la retrocessione a tavolino in C2 del 2011. Tutte situazioni che avrebbero potuto (e forse dovuto) schiacciarci come un macigno, far spegnere la fiammella della passione e spingerci, a noi, malati di Grigi, verso altri lidi e passioni. Eppure…eppure siamo ancora qua. A credere con tutto noi stessi nell’unico obiettivo che ci “perseguita” da ormai 43 anni: Alessandria (e gli alessandrini) vogliono la B. E la meritano. Eccome se se la meritano!
Quando questa nuova dirigenza, con in testa un presidente-tifoso, si presentò a Milazzo, per noi, noi malati di Grigi intendo, fu Natale. O forse fu Pasqua. Già, perché quel giorno tutte le paure di un nuovo fallimento e di anni di oblio infiniti sparirono, si dimenticarono. E Alessandria tornò a vivere.
La passione di questa piazza la nuova dirigenza la conobbe quello stesso anno in luglio, quando un migliaio di alessandrini si ritrovarono in Cittadella per la presentazione della squadra che avrebbe dovuto affrontare un campionato ai limiti del ridicolo, con 10 promozioni nella C unica a disposizione. Quel giorno la dirigenza capì (ci auguriamo) quanto amore sa dare Alessandria.
Vogliamo parlare di quel campionato? Di quando ci trovammo a novembre fuori dalla zona promozione con una squadra che avrebbe dovuto essere prima senza patemi d’animo?
Eppure la gente continuò a sobbarcarsi chilometri in giro per il nord Italia, e ad ogni schiaffo che arrivava la gente continuava a rispondere riempiendo pullman e sacrificando ore di lavoro e senza mai pretendere di essere ringraziati per questo. L’amore non ha bisogno di ringraziamenti. L’amore è bello perché è irrazionale.
Quel campionato poi finì nell’unico modo in cui poteva finire: promozione nella C unica, con la media spettatori più alta del girone e con una “bella” festa all’americana (come la definì la dirigenza) il 13 aprile, giorno della matematica certezza della promozione.
L’anno seguente il numero di tifosi, sia in casa che in trasferta, aumentò ancora, toccando punte di assoluto romanticismo per le trasferte di Novara e Pavia. La squadra giocò un girone d’andata perfetto, laureandosi campione d’inverno il 6 gennaio, dopo la trionfale trasferta di Venezia. Poi qualcosa si ruppe nel girone di ritorno. La squadra iniziò a perdere punti e lucidità, tanto che molti tifosi da tastiera iniziarono a parlare di “squadra che non vuole salire e società che non ha i soldi per la B”. E chi fece di tutto per spegnere quelle voci insulse che si alzavano dalla tribuna tra un cocktail di benvenuto prima della partita e un aperitivo di fine primo tempo? La risposta è semplice: fu la parte di tifoseria irrazionale, quella che quando s’incazza lo fa mossa dall’amore e non da cattivi pensieri.
Come finì quella stagione? Finì con una Gradinata Nord stracolma l’ultima di campionato contro (destino beffardo…) il Venezia, che continuò a cantare fino al 90’, nonostante un pareggio che ci chiuse in faccia la porta dei playoff. Quel giorno, al termine di una delle partite più tragiche della nostra storia, nessuno della dirigenza ebbe il coraggio di metterci la faccia, magari di chiedere scusa. Il problema per la società si risolse con la cacciata (ovvia) del tecnico e basta. Null’altro fu fatto e detto fino al 6 giugno, giorno nel quale venne annunciato Beppe Scienza come nuovo allenatore.
E dopo una delusione del genere come può rispondere quella parte irrazionale della tifoseria?
Risponde presentandosi in massa alle prime due amichevoli della stagione a Bardonecchia, incitando la squadra fin dal primo allenamento come se quanto accaduto il 10 maggio precedente non fosse mai esistito.
Quell’anno, che poi è l’anno scorso, abbiamo goduto tutti. Il fantastico cammino in Tim Cup rimarrà per sempre negli annali del calcio italiano ed europeo. Quando a gennaio ci laureammo nuovamente campioni d’inverno eravamo tutti certi che quello sarebbe stato l’anno giusto. Niente e nessuno avrebbe potuto fermare la corsa di quella corazzata guidata da Gregucci (già, Gregucci e non Scienza, esonerato alla quarta di campionato dopo aver racimolato appena 4 punti).
Eppure qualcosa si ruppe anche nel girone di ritorno di quell’anno. E ricominciarono i mugugni dei soliti pseudo-tifosi dalla lingua biforcuta. E ancora una volta fu la parte irrazionale della tifoseria a ricompattare l’ambiente, nonostante un mese di aprile indegno che rischiò di farci perdere per il secondo anno consecutivo il treno playoff.
Gli spareggi promozione invece arrivarono, ma ci sentiamo di dire ora, a distanza di un anno, che sarebbe stato meglio non giocarli piuttosto che servirci quello spettacolo indegno che fu Foggia.
E lì la dirigenza che fece? Chiese scusa per l’ennesima figuraccia di fine stagione? Assolutamente no. Si chiuse nel silenzio più lungo della storia e lasciò tutti noi in balia del destino. Alessandria e gli alessandrini per un mese e mezzo non seppero nulla sul futuro della squadra: si continuerà? Luca (perché per noi il presidente è ancora uno della curva e quindi lo chiamiamo per nome) mollerà? Ci saranno delle novità a livello dirigenziale?
Nulla, non sapevamo nulla.
Questa stagione è iniziata con auspici ancora migliori delle due precedenti. Auspici subito rivelatisi tali, con una squadra che per le prime venti giornate non perde mai e che rifila 10 punti di distacco alla seconda in classifica. Tutto bello, tutto magnifico. Un sogno vero e proprio. Campioni d’inverno per la terza stagione consecutiva, questa volta però con un vantaggio siderale sulle dirette inseguitrici.
Eppure, tanto per cambiare, qualcosa si rompe nuovamente nel girone di ritorno. La squadra perde tutti gli scontri diretti (e non solo) e fuori casa non riesce più a vincere.
La Nord ricompatta ancora una volta tutta la tifoseria, muove numeri importanti in ogni trasferta e continua a sostenere la squadra anche dopo le figuracce di Como e Siena. Avercene di curve così, cara dirigenza.
Arriviamo così a sabato scorso, al giorno più nero che si ricordi a queste latitudini.
Una squadra che ha sempre vinto in casa (tranne un pareggio) viene schiacciata dalla Giana Erminio. La tifoseria s’incazza e chiede spiegazioni ancora una volta in maniera assolutamente civile, e la risposta della dirigenza qual è? Un comunicato SCONSIDERATO che getta fango su TUTTA la Gradinata Nord, che si trova accusata di aver avuto una “reazione assolutamente insensata”.
E no caro Luca. No caro presidente. La reazione è la diretta conseguenza a tutte le vostre mancate ammissioni di colpa. A tutte le volte che avete messo il marketing davanti alla PASSIONE e alla STORIA. A tutte le volte che avete visto la tifoseria come un semplice cliente. A tutte le volte che invece di un comunicato sensato avete voluto educare la tifoseria. A tutte le volte che avete dato la precedenza a chi vive la passione per i Grigi come un semplice passatempo tra una partita di seria A e una di Champions.
È vero, le reazioni possono non piacere, ma VANNO RISPETTATE come lo STADIO ha sempre rispettato voi e i vostri errori.
Potrete trasformare in manichini paganti tanti tifosi, ma non ci riuscirete con quei maledetti passionali che dimorano in Gradinata Nord (o in qualunque altro settore) che avanti a tutto mettono i Grigi. Che danno a MUSEO GRIGIO la forza quotidiana per andare avanti e per migliorare. Perchè MUSEO GRIGIO è lo scrigno della storia e della tradizione dell’Alessandria Calcio e del suo tifo, da tramandare da padre in figlio.
Quei ragazzi (e quei signori) che troverete in Gradinata Nord e nei settori ospiti di tutta Italia al seguito della magica maglia, son quelli che giravano con l’eskimo negli anni ’70 e con il bomber verde e arancio negli ’80. Oppure chi, magari in giacca e cravatta, frequenta gli altri settori dello stadio ma si sente AUTENTICO TIFOSO dentro.
Loro non riuscirete mai ad addomesticarli. Loro vi daranno il cuore come hanno sempre fatto e starà a voi maneggiarlo con cura.
Spero abbiate capito tutti, dirigenza e allenatore, che non basta accusarli di reazioni spropositate o dargli degli “infami” per fargli cambiare idea sul loro amore.
E lo sapete perché? PERCHE’ LA PASSIONE NON È IN VENDITA!
Emanuele Bellingeri