L’Alessandria dei vari Cassano, Rampini e Pietruzzi vinse nettamente sia il girone eliminatorio che quello finale, riottenendo un posto in serie A al termine della stagione 1946-‘47, quella che sancì il ritorno del massimo campionato alla formula del girone unico. La permanenza nella massima categoria non portò risultati particolarmente entusiasmanti e durò appena due stagioni.
I quattro artefici della promozione in B. Da sinistra: Vitto, Bussetti, Borriero e Gabbiani.
Il 2 maggio 1948 il club subì quella che rimane ancora oggi la più pesante sconfitta mai patita da una squadra in una partita del campionato a girone unico, in Torino-Alessandria 10-0; l’infierire dei Granata sugli ospiti nell’ultimo quarto d’ora fu dovuto ad uno screzio tra Valentino Mazzola ed un tifoso che lo sbeffeggiava da bordo campo. Al termine di quel campionato, i Grigi fecero ritorno in serie B. Sul finire degli anni Quaranta e nel corso dei primi anni Cinquanta si alternarono anni di serie cadetta ai primi campionati in C, successivi alla sfortunata retrocessione del 1950.
Proprio il periodo che va dal 1948, anno della retrocessione in B, al 1957, anno dell’ultima promozione nella massima categoria, sino ad oggi è stato poco analizzato nei dettagli. E forse viene anche poco ricordato, nonostante abbia visto all’opera giocatori di classe e fortemente attaccati alla maglia grigia. In quei tempi la cadetteria, con 22 squadre e lo svolgimento da settembre a luglio, non era proprio una passeggiata.
L’Alessandria, rimasta scottata dall’inattesa retrocessione dopo soli due anni di permanenza in A, tentò invano la risalita già nel torneo 1948-’49 e per questo arrivò ad ingaggiare a metà campionato Frugali e Cerri. Anziani come Arezzi, Gallea, Soffrido, Borgogno e Pietruzzi andarono ad amalgamarsi con i prodotti del vivaio, al tempo ancora florido. Così i vari Giorcelli, Secoindo Scarrone, Guaschino, Bussetti, Tosi, Corradini e Giraudo andarono a formare l’undici grigio, che abbandonò la tradizionale casacca grigia per vestirne una bianca cerchiata dai colori grigio-bianco-rossi. Il torneo 1949-’50 è forse quello più deludente in assoluto della storia dell’Alessandria, proprio perché sancì la prima retrocessione in assoluto in Serie C. Allenatore fu il tecnico inglese Flatley, che portò in riva al Tanaro anche il connazionale Rawcliffe, dal fisico possente ma dalle doti tecniche mediocri. Nonostante a fine campionato sia risultato il capocannoniere “mandrogno” con 18 reti, diede alla squadra molto meno di quanto ci si aspettasse. I Grigi avrebbero potuto salvarsi vincendo a Verona per poi avere la possibilità di giocarsi lo spareggio. Al termine del primo tempo i Grigi conducevano per 2-1, ma grazie ad una ripresa giocata alla morte, i veneti riuscirono ad imporsi per 3-2.
Una Serie C non adatta al prestigio della formazione grigia
Tuttavia la promozione venne fallita, nonostante il club si fosse affidato ad un allenatore esperto come Cargnelli, di origine austriaca, a “senatori” collaudati come Giorcelli, Scarrone, Arezzi, Albertelli, Giraudo e Pietruzzi e a giovani promesse come Gabbiani, Savoini e Mirabelli. Alla fine fu solo un quarto posto. Posizione replicata anche nel campionato 1951-’52, dove però vennero poste le solide basi per la “resurrezione”.
Bussetti contrasta John Hansen in un incontro di Coppa Italia al “Moccagatta” contro la Juventus.
La Federazione aveva deciso di trasformare la C a gironi regionali in una divisione nazionale, per cui era importante terminare il campionato nei primi tre posti o, nella peggiore delle ipotesi, al quarto per poi disputare un torneo di qualificazione, che i Grigi giocarono e vinsero ai danni di Molfetta, Marzoli e Siena. Il portiere Borriero, Valentinuzzi, Savoini e Bussetti furono i capisaldi della squadra. Finalmente al termine della stagione 1952-’53 l’Alessandria, affidata alle cure tecniche dell’ex genoano Neri, conquistò l’agognata promozione in B insieme al Pavia, che in breve era diventata la rivale più acerrima dei Grigi.
Simbolo di una tecnica ritrovata, impressionante per forza di penetrazione e per determinazione fu il quintetto di punta nel quale si fusero le doti tecniche di Tagnin e di Mazzucco e quelle di velocità e potenza di Testa, Savoini e Bey. Insieme realizzarono ben 54 goals. Anche il sestetto di retroguardia fece la propria parte: Borriero, il biondo portiere, si fece perdonare alcuni errori con prestazioni eccezionali, Bussetti fu un crescendo di positività e con Gabbiani formò una vera coppia da gioco cosiddetto “maschio”. Generani venne giudicato un valoroso combattente, Vitto, seppur ormai anziano, fu commovente, Bagliani e Masperi si caratterizzarono per la loro continuità.
Venezia-Alessandria 0-3, disputata il 14 dicembre 1952. Il veneziano Masetti è anticipato dal grigio Bagliani.
Per le ostilità nel torneo 1953-’54 giunse dalla Juventus il forte terzino Bruno Garzena, mandato in provincia a farsi le ossa. A centrocampo trovò collocazione Lerici, ottima mezzala che con Campagnoli, Piatto e Nicolazzini completò la “rosa” della rinnovata Alessandria. Le partenze di Tagnin per fine prestito e di Savoini e Testa per cessione non vennero rimpiazzate adeguatamente e pertanto l’assetto generale della squadra ne risentì notevolmente. La salvezza giunse in extremis. Come nel campionato 1954-’55, dove i Grigi evitarono di ritornare in C solamente all’ultima domenica grazie al passo falso del Treviso. La squadra fu vittima della non omogeneità e della scarsa propensione del reparto offensivo, capace di realizzare solo 30 reti complessive, per via della scarsa incisività di Lerici e del fallimento di Smerzy. Qualche soddisfazione comunque i Grigi la regalarono ai tifosi, come strappare tre punti su quattro al fortissimo Padova. Tra i sempre presenti alla fine risultarono Bussetti, Mirabelli e Traverso. Nel campionato 1955-’56 si incominciò a pianificare l’ultima promozione in Serie A.
L’uomo simbolo del ritorno in B: Luigi Bussetti
Luigi Bussetti è stato l’ultimo capitano “indigeno” di quelle che possono essere considerate a ragione le Grandi Alessandrie.
Fu capace di creare una stretta dipendenza con la maglia grigia e da questa, conscio di cosa rappresentasse, trasformarsi in un vero combattente. Fu il prodotto di quei lontani allenamenti in piazza Santa Maria di Castello: la porta disegnata col gesso contro la fiancata della chiesa, in prossimità del tunnel da dove, si dice, fossero entrati in città i soldati del Barbarossa. La sua vitalità fisica e spirituale nobilitò quelle lontane partite che si giocavano spesso nel fango, a volte venivano accesi fuochi a bordo campo per diradare la nebbia e sciogliere il gelo. La gente vedeva all’opera autentici diavoli.
Era nato nel sobborgo di Cantalupo il 10 dicembre 1925 ed iniziò la carriera calcistica nella “Luciano Banchero”, una delle 32 squadre iscritte ad un memorabile torneo denominato “Giorgio Maggi medaglia d’oro”, organizzato nel 1940 da Umberto Dadone. Da questo torneo sono venuti alla ribalta molti giovani, che sono poi diventati ottimi calciatori.
La carriera di Gigi Bussetti fu molto interessante: durante un allenamento settimanale dei Grigi, in mancanza della squadra delle riserve (che era andata a disputare una partita ad Asti) il grande Adolfo Baloncieri chiese a Dadone di procurargli una nuova squadra per svolgere l’allenamento: si recò in Piazza d’Armi ed invitò la “Banchero”. Durante l’incontro l’allenatore ebbe modo di apprezzare le doti di Bussetti, già allora energico e vigoroso ed in possesso di una taglia atletica non comune. Bussetti venne perciò invitato a firmare il cartellino dell’Alessandria. Fu ancora Dadone ad andare a scovarlo e a spiegargli che avrebbe dovuto giocare nella prima squadra dei Grigi. Credeva si trattasse di uno scherzo. Così Baloncieri lo fece esordire appena diciassettenne ad Ancona come ala destra e l’Alessandria vinse 2-0. In quel torneo Bussetti scese in campo ancora nove volte fornendo il solito rendimento: mezz’ala a Savona, mediano in molti altri incontri. Di ritorno dal servizio militare (con la parentesi della guerra) venne visto più volte al “Moccagatta” come spettatore perché non voleva saperne di ritornare a giocare, e così fu necessaria la solita pazienza di Dadone nel convincerlo a riprendere l’attività così ben iniziata.
Fu protagonista ancora tra i giovani, gente come Guaschino, Dania, Tosi II, Montanari, Carelli, Scarrone e molti altri. Allora le partite fuori sede venivano effettuate in economia, molto spesso anche in bicicletta. Il momento era cruciale ed il vivaio era agli inizi: in seguito gli allenatori Rebuffo, Borel, Kovacs, Carnielli, Carcano, Flatley e Neri seppero apprezzare le doti del bravo Gigi: esordì così la seconda volta a Pisa e fu un successo. Forte e generoso, giocò anche nel famoso recupero contro il Modena, appena dopo la nevicata. Si trovava ad Acqui dopo l’operazione al menisco, con la ferita ancora da rimarginare: invitato a giocare, accettò subito, disputando una coraggiosa ed eccezionale partita. I critici hanno sempre avuto l’impressione che potesse essere un ottimo centromediano, anche perché allora la coppia di terzini era formata dagli ottimi Guaschino e Scarrone.
Carlo Tagnin nella sua prima esperienza in maglia grigia
Bussetti era ambidestro, esuberante, anche un buon saltatore, insomma, tatticamente divenne importante e l’autentico beniamino dei tifosi: quando un giocatore sa affermarsi in più ruoli è perché è un atleta di classe. A suo tempo vi fu Edoardo Avalle che, sia nei Grigi che in Nazionale, seppe ricoprire vari ruoli, facendo sempre risaltare la sua notevole capacità tecnica. Bussetti, nel torneo “G. Brezzi” a Genova nel 1947 si fece ammirare e fu molto richiesto da numerose società. Ma era solo innamorato della maglia grigia.
L’anno in cui l’Alessandria risalì in B, fu un anno radioso per i Grigi: Bussetti, che giocò tutte le 34 partite (con lui Savoini) fu l’autentico condottiero della rinascita.
I tifosi lo ricordano anche per aver praticamente annullato John Hansen in un incontro di Coppa Italia al “Moccagatta” contro la Juventus.
Mario Bocchio
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