È un uomo cui la città deve la (ri)nascita del calcio e quella linfa che ci porta a battere il cuore per il grigio. Meriterebbe un riconoscimento ufficiale come tanti altri in ogni settore che la memoria ingrata ha cancellato.
Enrico Badò, nato ad Alessandria il 20 febbraio 1880, morto a Treviso il 30/9/1918 (per ferite di guerra). Figlio di Carlo Badò, notaio, e Antonietta Caselli, nubile, benestante.
Al 17 luglio 1900 (data della visita di leva), nel foglio matricolare veniva iscritto “di professione fotografo” e risultava “figlio naturale legalmente riconosciuto da padre vivente che non ha figli legittimi”. Sposa l’astigiana, benestante, Ida Vigoni, in Alessandria, il 29 ottobre 1905.
Il giovinotto era tra i personaggi più in vista della città. Probabilmente la situazione, non santificata dagli sponsali dei genitori, entrambi però facoltosi, lo aveva reso quello che oggi potrebbe essere definito un golden boy. Cresciuto, si era fatto la fama del dandy, estroverso, ardimentoso, sempre pronto a buttarsi in nuove peripezie; carattere che non aveva messo da parte neppure dopo il matrimonio. Una vita insomma alla ricerca di emozioni, e comunque volta a dimostrare una propria autonoma personalità ed indipendenza economica. Mise su infatti un negozio di fotografia e fonografia, ma abbiamo ragione di ritenere che le cose non fossero andate tanto bene. Volle anche cimentarsi (1902) nel ciclismo – piazzandosi con onore – in una sfida con il grande Gerbi, correndo la famosa Coppa del Re, classica corsa. Il suo spirito guascone lo portò a giocare a carte, con un domatore, nella gabbia degli animali feroci di un caravan serraglio: “Il 30 Aprile (1910) il noto nostro concittadino Sig. Enrico Badò è entrato in una gabbia del Circo Holtzmuller nella quale si trovava una magnifica tigre e vi è rimasto 10 minuti in compagnia del domatore e della domatrice, bevendo una bottiglia di champagne e giocando una partita a carte. Il coraggioso cittadino venne molto applaudito”.
Nel frattempo aveva forse azzardato un’altra piccola impresa commerciale: allevatore di cani. Così un trafiletto d’epoca su L’Avvisatore del 19 Giugno 1909:
«Il Sig. Enrico Badò, all’Esposizione Canina di Genova ha esposto Lux, cane lupo vincitore del primo premio e Schnell, levriero inglese che meritò il secondo». E ancora dallo stesso ebdomadario dell’11 Settembre 1909: «Lux von Stuttgard, il ben noto cane dei Sigg. F.lli Borsalino, ottenne all’Esposizione di Como, dove fu presentato dal sig. Enrico Badò, il primo premio ed il titolo di campione della sua razza».
Come arrivò ad occuparsi della Forza e Coraggio pilotandola fino all’Alessandria F.B.C. non siamo riusciti a saperlo. Probabilmente fu l’occasione di dare più senso alla sua vita di benestante un po’… sfaccendato. Il suo ruolo nella società ginnica fu quello di Direttore della Sezione Calcio, ma questo incarico definisce un po’ riduttivamente le sue funzioni. Oltre a quella del marketing e dell’organizzazione sociale egli passò attraverso a… mille mestieri: dall’arbitro e guardalinee (regolarmente iscritto alla F.I.G.C.: in quei tempi la “mano d’opera” era fornita dagli stessi dirigenti delle varie squadre) al reporter (fu lui che telegrafò al Bar Florè la prima importante vittoria della Coppa Piacenza), alla funzione più specifica del trainer (è certamente stato il primo allenatore, poi cederà, ma solo sul campo, il compito ad Amilcare Savojardo), alla direzione lavori dell’erigendo “stadio” da foot-ball in Piazza d’Armi vecchia! Insomma, senza ombra di smentita possiamo affermare che la vera “mente”, della rinascita del calcio alessandrino fu lui, supportato dalle “braccia”, seppure intelligenti, del suo coetaneo Alfredo Ratti, più atleta che manager.
Fantastica maglia di Milano II del campionato 1914-’15.
Il suo incipit in seno al calcio “grigio” è dunque poco noto, ma ancora più misterioso è il suo abbandono del… campo. E qui azzardiamo una nostra ipotesi, che però ci permettiamo di presumere abbastanza veritiere. La comparsa di Augusto Rangone nel team, uomo molto più diplomatico e freddo stratega (fu sua l’idea di intitolare la “sezione calcio” della Forza e Coraggio alla Città di Alessandria, per poter vantare crediti presso le istituzioni), probabilmente mal si congegnava col nostro impetuoso ed idealista decoubertiniano e preferì andarsene.
Prima formazione dell’Alessandria, 1912, allora con il nome di Forza e Coraggio. Dall’alto e da sinistra: Tosini, Ricci II, Viazzi, Formini, Ricci I; Ratti, Savojardo, Badò, Migliardi; Rossanigo, Grezzi e Prato (foto G.B. Mignone, Alessandria).
Lo ritroviamo ingaggiato come manager-trainer della U.S. Ovadese, nel 1913.
Da “Il Corriere delle Valli Stura e Orba”, aprile 1913, apprendiamo la sua assunzione come trainer.
“Il nuovo trainer sarà l’egregio Signor Badò Enrico d’Alessandria, già simpaticamente noto fra di noi come sportman appassionato e capacissimo trainer.” Veniva quindi accreditata, al nostro Badò, una capacità non solo manageriale, ma anche di provetto allenatore.
Cessata questa attività tornò ad un’antica passione, lo spettacolo (fu giornalista e redattore de “Le forche caudine”, periodico teatrale e politico), con un vero… coup di theâtre. Insieme ad alcuni amici, andò a gestire il Teatro Verdi, senza tuttavia conseguire l’ebbrezza dei successi calcistici e con qualche rovescio economico.
Ma la grande guerra aveva bisogno di uomini, non solo di militari di leva, altresì di volontari che portassero in trincea quei valori di intrepida italianità. L’atmosfera era calda anche nelle lontane periferie della frontiera, le diatribe, tra interventisti e non, animavano più dello sport le discussioni nei bar. Molti atleti venivano richiamati ed il campionato venne sospeso. E così Badò, segui il suo spirito avventuroso, mai sopito e tenne fede a quanto già dichiarato nel gennaio 1914: “Non appena l’Italia uscirà dalla neutralità, io partirò per il teatro della guerra… stanco dei fischi, andrò a sentir i fischi delle pallottole”.
Forza e Coraggio 1913: padrona del campo di Piazza d’Armi Vecchia e Alfredo Ratti direttore. La lettera accredita otto giornalisti dell’epoca.
Il tono era certo quello melodrammatico di chi aveva fatto dell’attività spettacolare (stadio e teatro) la sua vita, ma dentro la parte fino in fondo si risolse a partire per il fronte (16 Giugno 1915), dove fu inquadrato come Tenente, nel Reggimento Artiglieria. Morì a Treviso il 30 settembre 1918 in seguito a ferite. Questa fu forse l’unica impresa che portò fino in fondo, la vita per la patria. La povera salma fu traslata in Alessandria ben sei anni dopo, nel 1924, tra il silenzio di tutti i media. Solo un giornale, non certo trai più diffusi, l’Araldo Sportivo (14 Febbraio 1924), fondato e diretto da Mario Baloncieri, fratello del più famoso Adolfo, che levò il suo cordoglio: “Non un dirigente, non un socio dell’Alessandria U.S.! Questa mancanza di tatto ci fa piegare il labbro allo sdegno poiché il Badò fu uno degli ideatori, uno dei creatori, il primo maestro di quelli che oggi si chiamano i grigi”.
Così finisce la storia del nostro personaggio, il “primo maestro dei grigi” ed oggi riposa in pace, accanto al padre, nella tomba di famiglia nel cimitero alessandrino. Ma noi che, come il lettore avrà capito, abbiamo sentito per lui una particolare empatia, ce lo immaginiamo lassù ad organizzare un torneo di calcio tra le vecchie glorie.
Ugo Boccassi