Facendo il cosiddetto zapping su internet, mi è capitato di imbattermi in Saverio Vasapollo, che ha affrontato un tema molto condiviso a Pizzo Calabro e già trattato sul giornale locale “Identità” nel mese di agosto 2011. Ciò testimonia l’espressione di un corale apprezzamento nei confronti del personaggio Gianni Fanello, figlio di quella lontana terra calabrese, grande calciatore, che la storia relega, oramai prepotentemente, tra i nomi da memorizzare anche nella toponomastica alessandrina.
Mario Bocchio
Gianni Fanello (per analogia con Amadeo Amadei, ex centravanti della Roma detto il Fornaretto di Frascati) definito il Fornaretto di Pizzo dalla Gazzetta del Sud di Napoli negli anni Sessanta, è nato a Pizzo il 21 Febbraio 1939, da mamma Adele e papà Antonio.
Gianni aiutava il padre, titolare del forno Fanello, nella panificazione, distribuzione e riscossione degli importi relativi alla fornitura del pane.
Nel tempo libero, come tutti i ragazzi, si dilettava a giocare a calcio e da subito si notò che possedeva un grande talento per questa disciplina sportiva: la differenza con i coetanei ed anche con i ragazzi più grandi era notevole.
I primi calci alla palla (di carta o di pezza) li ha dati presso il rione “Carmine”, dove abitava insieme alla famiglia (secondo di 9 fratelli e 2 sorelle), e successivamente giocando in tutti i rioni di Pizzo (Stazionina, Castello, Marina,Seggiola, Stazione, sotto i Ponti della Piazza, a quei tempi scoperti, da cui gli spettatori avevano modo di assistere al gioco). In quegli anni le autovetture non disturbavano poiché erano come le mosche bianche. Il ragazzo veniva detto simpaticamente “il biondo” per il colore dei suoi capelli.
Gianni. Il calcio ufficiale
La prima squadra ufficiale (1953) di cui fece parte Gianni fu “La Fanin” squadra giovanile voluta ed allestita da Giorgio Fragalà (divenuto il Presidente per antonomasia).
Alla fine del 1954 un gruppo di sportivi locali costituisce la “Polisportiva Pizzo”con due settori specifici: calcio e ciclismo. In quest’ultimo settore, diretto magistralmente dal rag. Giuseppe Tuselli, si misero in luce: Alberto Tripodi, fortissimo scalatore, e Antonio Alì (“ ’Ndoni Alìa”), grande passista.
La squadra di calcio venne iscritta alla Prima Divisione, dove disputò un primo anno di assestamento sotto l’esperta guida del tecnico prof. Vincenzo Tunno e del preparatore atletico prof. Candiloro (insegnante di Educazione fisica). L’anno successivo, venne inserito il giovanissimo, Gianni Fanello, che con le sue prestazioni ed i suoi gol infiammò gli animi dei Pizzitani. Gianni faceva sbocciare un entusiasmo indescrivibile nei soci della “Polisportiva Pizzo”. Questi campionati si svolsero nell’unico campo sportivo disponibile, “’U cambu ’i don Titta”, che si trovava nella zona della chiesa di San Sebastiano (dove tanti giovani hanno iniziato a dare i primi calci in un campo regolamentare, pagando al proprietario G. Battista Bilotta l’importo di 20 lire a persona).
L’anno successivo, la “Polisportiva Pizzo”, su invito pressante della Lega Calcio calabra della Figc, partecipò al massimo campionato regionale di quei tempi.
Arrivati in Promozione, il campo sopra citato non era più adeguato ad ospitare le partite di questa categoria, per questo motivo i dirigenti della società pensarono di costruire un nuovo stadio nella zona Riviera Prangi, che fu intitolato a Vincenzo Tucci (S.Tenente del 2° Bersaglieri, eroe pizzitano della Patria nonché ex grande calciatore pizzitano).
I 19 valorosi dirigenti della “Polisportiva Pizzo” (Carlo Capocasale – presidente -, Franco Maria Vinci, Giuseppe Ceravolo, Francesco Ceravolo, Pasquale Faro, Giuseppe Anello, Franco Russo, Giuseppe Tuselli, Giorgio Bilotta, Francesco Bartalotta, Domenico Fragalà, Antonio Galeano, Foca Grillo, Andrea Ruoppolo, Saverio Serrao, Raffaele Starace, Antonio Stillitani, Giorgio Stingi, Saverio Curatolo) si sacrificarono accollandosi numerose cambiali, che hanno poi pagato.
Essendo la Promozione, a quei tempi, la categoria a cui partecipavano le migliori squadre di rango della Calabria, i dirigenti del Pizzo pensarono bene di rafforzare la squadra con la ricerca di un allenatore di categoria (il prof. Vincenzo Tunno non poteva dedicare il tempo richiesto in questo nuovo impegno) e l’inserimento di nuovi calciatori. Come allenatore fu scelto Malasomma, che selezionò i nuovi calciatori da inserire nella rosa della squadra, in cui facevano parte già i locali Giovanni Fanello, Francesco Ricciuto, Domenico Marrella (Sabù), Alfonso Tozzo, Carmelo Sardanelli (’U pumu ), Micuccio Fragalà (’U motorinu), Gianni Aracri (Gianni ‘i Lisa) e Mario Piro. Questa iniziativa portò ad avere in squadra oltre a calciatori calabresi anche altri provenienti dal Lazio, Veneto, Toscana, Liguria, Sicilia. Alcuni nomi di questi calciatori che certamente molti ricorderanno: Di Fant (che dopo finì al Catanzaro insieme a Gianni), Donadeo (lo andò a prendere a Genova il dottor Franco Maria Vinci, alla vigilia di una sfida con la Vibonese), Adolini, Ariosto, Rodilosso, Pietrangeli (’U bruttu), Cimmino (portiere para rigori), Macrì (famose erano le sue finte), Muzzupappa, Cester, D’Aveni, etc..
Pur con l’inserimento di questi calciatori il migliore restava sempre lui : Gianni Fanello.
In quel periodo a Pizzo regnava una grande euforia, tutto il paese seguiva la squadra di calcio sia in casa che fuori: venivano organizzati dei bus che erano sempre pieni.
Il nuovo stadio venne inaugurato il 12 novembre 1956 con l’incontro Pizzo-Paolana (le prime tre partite, il Pizzo le aveva disputate fuori casa, in quanto lo stadio non era ancora pronto) che si concluse col seguente risultato: Pizzo 4 e Paolana 1, con 3 reti di Fanello e 1 di Macrì. Famosa è rimasta la frase, quando la squadra giocava in casa, “ ’U gollu d’ ‘u trenu”: a quei tempi i treni che passavano dalla stazione della Marinella erano frequenti e spesso uno dei passaggi coincideva con un gol del Pizzo.
La squadra del Pizzo disputò un ottimo campionato, classificandosi nei primissimi posti e Gianni Fanello, a 17 anni, fu capocannoniere con 34 gol e distaccando l’ottimo Barozzi (precedentemente considerato il miglior centravanti della categoria), della Palmese, che ne segnò 22.
Le sfide più accese erano quelle con la Vibonese; si concludevano sempre a favore del Pizzo con i gol di Gianni. Gianni era divenuto il terrore delle squadre con cui il Pizzo competeva, la sua fama però era circoscritta nei confini calabresi. Negli anni ‘50-‘60 non esistevano i mezzi di comunicazione attuali.
Gianni Lo Giacco, che fu suo compagno di squadra nelle sfide stracittadine e nelle sfide non ufficiali con le squadre limitrofe, ha sempre amato raccontare quanto segue :
“Essendomi trasferito a Milano ed avendo visto all’opera il centravanti dell’Inter dell’epoca Lorenzi (detto Veleno) in uno dei miei ritorni a Pizzo dissi a Gianni Fanello: ‘Tu non hai niente in meno dei calciatori di serie A, un giorno anche tu giocherai in questa categoria’. Gianni mi rispose che stavo fantasticando. In una delle partite che Gianni poi disputò in serie A, lo andai a trovare e durante la cena Gianni dovette riconoscere che la previsione si era avverata”.
Gianni non aveva una grande altezza (169 cm) ma aveva un’elevazione eccezionale per cui riusciva a colpire il pallone di testa anticipando gli avversari molto più alti di lui.
“Gianni come riuscivi ad arrivare prima degli altri sui palloni di testa?” La sua risposta è stata: “Oltre all’elevazione e al tempismo, riuscivo a trattenermi in aria più degli altri”. La cosa che si notava di più nel suo fisico era la possente muscolatura delle gambe (che gli causò diversi problemi muscolari) e che gli ritardò la carriera a livello nazionale.
Fu durante le competizioni dilettantistiche che Gianni avvertì i primi sintomi di uno strappo muscolare che gli impedì di disputare diverse partite e che lo perseguitò per parecchio tempo. Gianni era un calciatore completo, dribbling: saltava gli avversari come birilli, il suo piede abituale era il destro ma il suo sinistro era come il destro, il suo colpo di testa era la sua arma micidiale. Realizzò tantissimi gol, ma non esultava mai come gli altri calciatori.
“Gianni, ma perché sei stato l’unico calciatore che non esultava dopo il gol ?”. La sua risposta è sempre stata: “Per rispetto del portiere che lo aveva subito”.
Prima di parlare della sua carriera vorremmo far capire, a chi non lo ha conosciuto, che come carattere era un buono e che la sua modestia (i tanti gol che riusciva a fare per lui erano una normalità) veniva scambiata dai suoi colleghi come superbia. Ci viene da ricordare una frase che Nino Tozzo, suo compagno nel Catanzaro, ripeteva spesso: “Se io sapevo giocare come Gianni Fanello, con il mio carattere avrei raggiunto qualunque obbiettivo”. Il carattere causò a Gianni incomprensioni con i suoi compagni, che lo boicottarono estraniandolo dal gioco di squadra. A Napoli, per questo atteggiamento dei suoi compagni, non riuscì a dare continuità alle prestazioni che aveva dato nelle squadre precedenti.
Gianni: il calcio del grande professionismo
A un certo punto i dirigenti del Pizzo si resero conto che Gianni era un giocatore di categoria superiore e che non doveva sprecare altro tempo in quelle inferiori. Pensarono perciò di fargli fare una prova con la Fiorentina, allenata da Fulvio Bernardini.
Le voci che si diffusero dopo la prova furono che la differenza tra richiesta e offerta era notevole. In uno degli incontri da avversari, Bernardini gli confessò di aver sbagliato nei suoi confronti.
Dopo questo tentativo, pensarono di contattare Davide Donato, che viveva a Vercelli, per combinare una prova con la squadra della Pro Vercelli, militante nella serie C. A quel tempo le categorie professionistiche erano: serie A, serie B e serie C a girone unico.
Gianni, fece una prova eccellente fino a che non avvertì il riacutizzarsi del solito strappo muscolare. Non fu preso perché il medico sociale della squadra sentenziò: “Questo ragazzo non giocherà più a calcio”. Il presidente non ha potuto fare altro che prenderne atto. Lo stesso presidente, dopo che Gianni, nel prosieguo della sua carriera, dimostrò quello che era il suo valore, mandò una lettera di scuse per la valutazione errata che avevano fatto.
Gianni fece un’altra prova a Genova (dove vivono migliaia di calabresi) con il Genoa, (allenatore Annibale Frossi, catenacciaro per eccellenza): non fu preso per via della sua altezza (certamente non ha avuto modo di mettere in evidenza la grande elevazione di cui era in possesso). Nel campionato 1959-‘60, il Catanzaro vinse in casa del Genoa per 2 a 0, con 2 gol di Gianni. Strana coincidenza: il presidente esonerò Frossi.
Dopo questi tentativi falliti, Gianni fu acquistato dal Catanzaro, che militava in serie C. Avvenne anche per l’interessamento di Nino Tozzo , suo concittadino già militante nelle fila dei giallorossi.
A Catanzaro trovò il presidente Ceravolo, l’allenatore Pasinati (veneto, amico di Nereo Rocco) e il preparatore atletico prof. Dolfin, il quale riuscì a farlo guarire dallo strappo muscolare che lo perseguitava da anni.
Era l’anno 1958 e con i suoi gol (capocannoniere di serie C) il Catanzaro fu promosso in serie B. L’anno dopo, 1959-‘60, (sempre nel Catanzaro) nel campionato di serie B a 21 anni fu ancora capocannoniere realizzando 15 reti. Nell’estate 1960 venne convocato da Nereo Rocco nella Nazionale olimpica e partecipò ai Giochi olimpici della XVII Olimpiade, che si disputarono a Roma.
Ricordo il titolo che fece “Il Calcio e Ciclismo Illustrato” (uno dei più autorevoli settimanali sportivi dell’epoca): “Il trio della speranza”. La copertina era dedicata a Gianni, a sinistra, Tomeazzi (centravanti dell’Inter), al centro, e Gianni Rivera, a destra. Gianni esordì con Taiwan il 26 agosto. L’Italia concluse quarta e Gianni segnò un gol in 2 partite. Durante il torneo fu acquistato dal Milan per 40 milioni (in quell’anno centravanti del Milan era un certo Altafini, campione del mondo con il Brasile). Facciamo presente che all’epoca non esistevano le sostituzioni come oggi, Gianni perciò non aveva molto spazio nella nuova squadra. Il Milan pensò quindi di darlo in prestito all’Alessandria e dall’Alessandria arrivò Gianni Rivera. Con i Grigi piemontesi, nell’anno 1960-‘61 vinse il titolo di capocannoniere, stabilendo il record di 26 reti (senza tirare nessun calcio di rigore, il rigorista della squadra era Crippa) in 37 presenze (20 squadre).
I dirigenti dell’Alessandria in quest’occasione lo premiarono con un cannoncino d’oro.
Zia Lina (Adele) lo mise in bella evidenza insieme alla fotografia della squadra dell’Alessandria di quell’anno, nella stanza da pranzo della casa.
Nell’anno 1998-‘99 (38 anni dopo) Ferrante del Torino, secondo alcuni giornali dell’epoca, superò questo record con 27 reti, ma per altri lo eguagliò solamente, in quanto gli venne assegnato un gol che era autorete (in quegli anni, al contrario di oggi, i gol con deviazione dell’avversario non venivano assegnati all’autore del tiro, ma venivano considerati autoreti). C’è da precisare però che Ferrante arrivo al record segnando 10 rigori.
Nell’anno 2003-‘04 (il blocco delle retrocessioni della stagione precedente e le vicissitudini di Catania, Fiorentina e Cosenza fanno si che il campionato cadetto non sia più di 20 squadre ma di 24 squadre e quindi 46 partite) Luca Toni superò questo record realizzando 30 reti. E’ chiaro però che i 2 records non sono comparabili, in quanto Luca Toni ebbe a disposizione 8 partite in più. Oggi le squadre partecipanti al campionato di serie B sono 22, quindi le partite da disputare sono 42.
Gianni alla fine della stagione lasciò Alessandria per rientrare al Milan, che lo cedette al Napoli per 150 milioni. Con gli azzurri giocò tre stagioni: nel 1961-‘62 ottenne la promozione in serie A e la Coppa Italia, partecipò così alla Coppa delle Coppe e nel corso della manifestazione segnò 3 gol. A Napoli, come abbia già avuto modo di dire, non ebbe collaborazione da alcuni dei suoi compagni, che scambiarono la sua modestia per superbia. Quando il Napoli ritornò in serie B, nel 1963, propose Gianni al Catania (militante in serie A con allenatore Di Bella, grande estimatore di Gianni) per uno scambio in prestito: Fanello-Prenna. Lo scambio andò in porto. La prima partita che Gianni giocò, il Catania vinse 3 a 1 con 3 suoi gol. L’anno successivo fece ritorno a Napoli, tra i cadetti, dove ottenne un’altra promozione. Nel 1966, dopo un’altra stagione a Catania, poichè voluto da Nereo Rocco, passò al Torino. Qui trovò poco spazio (quattro presenze e una sola rete). Terminò la carriera alla Reggiana, con cui giocò tre stagioni in erie B (segnando 18 gol). Lasciò il calcio italiano nel 1970. Ebbe poi una breve parentesi in Canada, come allenatore-giocatore.
Fanello oggi
Il nostro calciatore pizzitano Gianni Fanello ha sposato una romana (che purtroppo ad agosto 2013 è venuta a mancare) e quindi vive a Roma, padre di due figli: Ottaviano e Patrizia.