Ma quando nacque l’appellativo Orso Grigio per identificare l’Alessandria? Fino ad oggi eravamo convinti che fosse stato il famoso Carlo Bergoglio, detto Carlin, sul Guerin Sportivo. Nel fantasioso vocabolario dei tifosi, ad esempio, il Toro per il Torino e la Zebra per Juventus erano conseguenze logiche di assonanze foniche o di similitudini visive.
Certo è che, con il suo contributo e con la forza di quello che era allora uno dei più seguiti giornali sportivi, la moda si radicò e si diffuse ad altre realtà calcistiche, tanto da codificare una sorta di “araldica dei calci” proprio sulla prima pagina del Guerin Sportivo del 10 ottobre del 1928, dove, nei blasoni, la metafora “graficanimal” faceva la parte del… leone.
Questo processo identificativo, anzi, da qualche tempo, era reclamato anche da altre squadre non ancora connotate. Ma c’è un precedente. Lo ha scovato Lele Bellingeri nell’infinito archivio di Museo Grigio. Divisione nazionale 1927-’28, 20 novembre 1927, al Campo degli Orti si gioca Alessandria-Brescia, terminata 4-1 per i Grigi, con tripletta di Giovanni Ferrari, rete di Elvio Banchero, mentre per i lombardi fu Barbieri a realizzare il punto della bandiera. Il mercoledì successivo sempre il Guerin Sportivo pubblicò l’articolo dal titolo “La leonessa morsicata dall’orso grigio” a firma di un tale Turco. “Non c’è più gusto, ormai, ad andare a vedere giocare il football quando chi gioca è l’Alessandria. Ci trovi la stessa soddisfazione che a leggere un romanzo di Elisabetta Werner, che una volta conosciuti i nomi dei protagonisti, lo puoi anche piantar lì, poiché sai già che tanto ci sarà almeno un matrimonio e peggio non potrebbe finire. Anche qui la vittima scappa sempre fuori di sicuro”.
Questo l’incipit. Ma d’altronde eravamo in pieno periodo d’oro della celebre Scuola calcistica alessandrina. Poi un giudizio tutto fascino: “I grigi invece son più che grigi che mai: tra il fango, l’acqua, la nebbia chi li riconoscerà più tra poco? Bene, basterà vederli giocare. Eccoli là, infatti, che tirano come dannati”.
Il Brescia – la leonessa e non potrebbe essere diversamente visto che la città è soprannominata Leonessa d’Italia per i dieci giorni di resistenza agli austriaci durante il Risorgimento italiano – è liquidato in una maniera tranchant che ancora una volta ci dà l’idea della potenza di quell’Alessandria: “E poi ha trovato lo squadrone grigio in piena efficienza: bisognava pensare a difendersi, oggi, e basta”.
Ed ecco, sul finire dell’articolo, che Turco parla per la prima volta in assoluto dell’orso. “Lo squadrone grigio? Bene: di già che ogni giorno si parla di aquilotti e di zebroni, di canarini e di leoncelli, del toro di Torino e del leone di Vercelli, sempre per tenerci in tema di zoologia… comparata, perché non si parla qualche volta… dell’orso grigio? Coraggio, possanza, unghioni di orso: la squadra di Alessandria procede sicura e minacciosa!”.
Sull’origine dell’accostamento con l’orso si era già occupato Ugo Boccassi, che aveva fatto notare come ad impadronirsi per prima ed in esclusiva di un simbolo così simpaticamente accattivante (audace, coraggioso, goloso e sornione) ci pensò la Borsalino fu Lazzaro, nel 1911, che sulla testa di un irsuto ungulato, rigorosamente grigio, appose un bel catranen (bombetta) nero.
Un bel binomio, non c’è che dire! Ma nell’immaginario collettivo fece fatica ad imporsi. L’orso rimase quindi, per un bel po’, in gabbia, mentre il cappello cominciò ad imporsi in giro per il mondo, promuovendo l’accoppiata Borsalino-Alessandria. Ha scritto Boccassi: “Forse Carlin aveva adocchiato, da attento disegnatore ed illustratore, il manifesto di Borsalino, tanto tempo prima? Non possiamo dirlo. Ci soccorre pertanto la leggenda provincialmetropolitana. Si narra, adunque, che il campo degli Orti, quasi sempre fangoso e la capacità dei nostri giocatori di destreggiarsi nella melma, imponendo un gioco lento ma sornione, in grado di sferrare inaspettatamente la zampata fatale, abbia evocato la figura di un plantigrado. Ora non risulta che la possente fiera possegga particolari abilità di destreggiarsi in un terreno pesante, certo è che l’azione al ralentir e poi un improvviso attacco è sua dote precipua”.
Chissà: magari sarà la stessa sensazione provata da Turco, che oggi è certo essere stato il primo a scrivere dell’Orso Grigio. In assoluto.
Mario Bocchio