I capitani De Vecchi del Genoa e Carcano dell’Alessandria nel 1921.
Due storie – quelle di Genoa e Alessandria – che tantissime volte si sono intrecciate. O meglio, che hanno contribuito a dipingere un quadro di valore, con tanti i colpi di pennello guidati da mani prestigiose.
Proprio come quelle di Arthur Smith, che con la società genovese nella stagione 1912-‘13 raggiunse il secondo posto nella classifica finale, alle spalle dei campioni della Pro Vercelli. Sempre con i genovesi rimase una stagione, prima di essere ingaggiato come allenatore-giocatore proprio dall’Alessandria. Alla guida dei Grigi, esordienti in Prima categoria, ottenne buoni risultati piazzandosi al quinto posto nella stagione 1913-‘14. A Smith è attribuito il merito, grazie ai suoi insegnamenti, dell’esplosione dei giovani talenti quali Adolfo Baloncieri e Carlo Carcano. Poi morì combattendo con l’esercito britannico nel corso della Prima guerra mondiale.
Ad un certo punto l’Alessandria abbandonò il campo di piazza d’Armi Vecchia per trasferirsi su quello nuovo, agli Orti. In verità il nuovo terreno di gioco era alquanto modesto, con una tribuna misera misera. L’episodio che stiamo per raccontare è diventato legganda a tutti gli effetti, raccontato in tutte le salse dall’amico Ugo Boccassi. Quando giunse ad Alessandria il poderoso squadrone rossoblù del Genoa, con tutti i suoi nazionali capeggiati da Renzo De Vecchi, ben noto con l’appellativo di “figlio di Dio”, si può dire che tutta Alessandria quella domenica si trasferì al campo degli Orti. La misera tribunetta venne lasciata a disposizione delle autorità e dei sostenitori genoani calati in gran numero al seguito della squadra del cuore, dicendosi sicuri della vittoria. Una partita quindi veramente di cartello con il tifo delle grandi occasioni. Come sempre avveniva, tanto nel “parterre” come nella tribunetta accese erano le discussioni tra i tifosi alessandrini ed avversari. Ed ecco che durante la partita, ad un certo momento, per una carica eccessiva o uno sgambetto intenzionale, si accese una disputa proprio in tribuna, tra un distinto signore genoano ed un anziano alessandrino. Dalle prime semplici osservazioni si passò alle parole grosse ed ai rilievi piuttosto accesi. “Carica regolare!”, sostenne il tifoso grigio. “Intenzionale!”, gridò invece l’ avversario. Ad un certo punto il tifoso genoano investì l’avversario non meno di lui acceso sostenitore dei Grigi: “Ma insomma, lei chi è?”. L’altro, punto sul vivo, si alzò proprio come se volesse dignitosamente presentarsi, ed all’ospite genoano, con grande serietà, così disse: “Io sono … sono … Papa zero!”. Era infatti il padre dei tre fratelli Papa che in quel momento stavano difendendo in campo i colori grigi. Naturalmente le più grandi risate accompagnarono quell’improvvisa presentazione di papà Papa, con conseguente immediata cordiale pacificazione dei due contendenti. Ma la cosa non finì, perché intervenne un secondo tifoso genoano che chiuse la discussione con questa battuta: “Anche se avete tre Papa in squadra, non potrete mai vincere contro di noi che in squadra abbiamo il figlio di Dio (Devecchi) e Santamaria (attaccante)!”.
I due fratelli Banchero nel 1931. Ettore (Banchero II) con la maglia dei Grigi e Elvio (Banchero I) con quella del Genoa
Nel 1904 nacque ad Alessandria Elvio Banchero, che venne acquistato proprio dal Genoa nell’estate del 1929 dai Grigi, con i quali aveva esordito in Prima divisione nel 1921. In maglia rossoblù giocò tre campionati – dal 1929 al 1932 -con 80 presenze e 40 reti. Vittorio Pozzo lo schierò due volte interno destro e una sola al centro dell’attacco nei tre incontri nei quali indossò la maglia azzurra: nel 1928 (due) e nel 1931, realizzando complessivamente quattro reti. Aveva padronanza di palla, sapeva far girare l’attacco e mettere in movimento le ali, ma forse non riuscì a conquistare il cuore, senza sua colpa, della folla, forse per la classica freddezza del suo stile, anche perchè lui prediligeva il ruolo di centravanti mentre invece al Genoa, fu costretto, dalla venuta di Stabile, ad occupare quello di mezzala, senza sentirlo
Con l’Alessandria vinse la Coppa Coni e sfiorò la vittoria dello scudetto nella stagione 1927-‘28. Al termine di quell’anno fu convocato tra gli Azzurri destinati a vincere il bronzo olimpico nel calcio ad Amsterdam 1928: disputò due gare segnando 4 reti, una all’esordio contro la Francia e tre nello storico 11-3 contro l’Egitto. Nell’estate successiva fu ceduto al titolato Genoa, con cui disputò la prima edizione della Serie A – 1929-’30 – segnando 17 reti, che gli fruttarono il quinto posto nella classifica dei cannonieri di quel campionato. Guidò i rossoblù al secondo posto, a due soli punti dall’Ambrosiana campione. Restò all’ombra della Lanterna fino al 1932, quando passò alla Roma. Tra i giallorossi, nonostante le buone premesse, non trovò però abbastanza spazio; dopo due stagioni al Bari ritornò ad Alessandria per il campionato 1936-‘37, terminato con la retrocessione all’ultimo posto della squadra grigia. Dopo alcune partite giocate con il Parma, in Serie C, chiuse con il calcio giocato. Soprattutto ad Alessandria Banchero è ricordato come “l’uomo del fango”, perché fu soprattutto sui terreni pesanti che seppe dare il meglio di sé.
Vittoria dei Grigi a Genova per 2-0 nel 1957-’58.
Aldo Nardi venne soprannominato “l’indomabile”. Romano, iniziò la carriera calcistica proprio nei Boys della Roma per poi esordire in serie A, sempre con i giallorossi, nel gennaio del 1949 a Trieste a soli 17 anni. Pur facendo parte della “rosa” dei titolari per altri due anni, restò sempre relegato tra le riserve. Nella stagione 1953-‘53 venne ceduto all’Empoli in Serie C, dove venne osservato dal Torino. Frossi, l’allenatore, lo chiamò a vestire la maglia granata. Una stagione non fortunata quella datata 1953-‘54: disputò solo una manciata di partite ed il torneo successivo venne ceduto all’Alessandria in serie B. Un anno nel torneo cadetto poi la grande occasione della risalita in A. Pur giocando solo 16 gare, Nardi fu uno degli undici che disputarono lo spareggio di San Siro contro il Brescia e riportarono l’Alessandria nella massima categoria. Per il bravo terzino furono gli anni della rivalsa, tre stagioni con i Grigi nella massima categoria nel periodo del suo maggior fulgore atletico. Per Nardi gli avversari furono trattati tutti alla stessa stregua, una modesta punta di una squadra di provincia o Nyers, Cucchiaroni, Pascutti, Pesaola, Barison. Garantì sempre un rendimento costante che il difficile pubblico alessandrino dimostrò di apprezzare nelle stagioni in grigio.
Terzino vecchia maniera, ambidestro, buon colpitore, c’è chi lo definì cattivo e possente, ma Nardi fu semplicemente indomabile e conscio delle proprie capacità e del proprio forte temperamento. Delle due reti segnate con la maglia dell’Alessandria in 131 incontri i tifosi – come ha sottolineato nell’ambito della sua ampia saggistica Marcello Marcellini – ricordano quella memorabile al Genoa nel campionato di serie A 1957-‘58. Un gol segnato da oltre sessanta metri, dopo un contrasto vinto a centrocampo: il forte difensore grigio sorprese con un pallone beffardo e violento all’incrocio dei pali il portiere Gandolfi. Dopo un’ultima stagione con i Grigi in Serie B, 1960-‘61, con la fascia di capitano, ci fu la cessione al Grosseto in C, dove disputò ancora tre tornei prima di cessare la carriera.
Confronto in campo tra due alessandrini: Gianni Rivera (a destra) con la maglia del Milan, e Elio Vanara con il Genoa.
Ad un certo punto della sua carriera, funestata da un grave incidente, per Elio Vanara ci fu la grande occasione: già richiesto da diverse società di B, venne ceduto dall’Alessandria nel 1964 al Genoa che militava in A. Amaral, allora allenatore rossoblu, lo aveva notato, e per il tipo di gioco a zona da lui applicato, un ex attaccante era l’ideale. In quel campionato il difensore disputò 22 incontri segnando anche due reti: fu questo l’unico campionato giocato in A da Vanara, infatti alla fine della stagione il Genoa retrocesse in B e con i Grifoni l’alessandrino disputò altre tre stagioni per un totale di 71 presenze. Sempre in serie B venne ceduto nel campionato 1968-‘69 al Perugia, dove per sei stagioni visse forse il suo periodo migliore alternandosi nei più svariati ruoli della difesa. Nonostante le molte richieste restò fedele ai colori del Perugia, con i quali giocò ben 189 gare segnando tre reti. Ormai trentenne tornò alla sua Alessandria, che nel frattempo era tornata nel campionato cadetto: giocò ancora una stagione ad alto livello purtroppo culminata con la retrocessione in C. Seguirono ancora un paio di campionati in grigio poi il calciatore decise di interrompere una carriera che, forse, non fu pari ai suoi meriti ed alle sue capacità. 182 presenze e 28 reti segnate in maglia grigia, in nove campionati giocati sulle rive del Tanaro.
Gigi Manueli con la maglia del Genoa, figurine Panini.
Luigi Manueli, vogherese classe 1953, crebbe sportivamente nell’Alessandria, dove ottenne una promozione in B nel 1973-‘74. Dopo tre stagioni in cadetteria con Alessandria e Varese, esordì in A con l’Atalanta nella stagione 1977-‘78. Tornato a Varese nel 1979 ottenne in seguito due promozioni consecutive in massima serie, nel 1980-‘81 con il Genoa e nel 1981-‘82 con il Verona. Con gli scaligeri giocò anche la finale d’andata di Coppa Italia 1982-‘83 e dieci incontri in massima serie, sempre nella stessa stagione. Successivamente ritornò all’Alessandria, in serie C2, nel 1983-’84. Con 191 gare disputate è il 14º giocatore più presente in maglia grigia.
Claudio Maselli– genoano in tutto e per tutto per esserne stato giocatore e per sentimento – i Grigi hanno vinto lo spareggio del “Giglio” di Reggio Emilia nel 2000 contro il Prato per 3-2. Il giocatore simbolo di quella squadra fu Angelo Montrone, tra l’altro autore della doppietta nell’epilogo finale. Fino ad un certo punto i Grigi riuscirono a tenere il passo dello Spezia poi, dopo il rigore fallito da Scazzolaal “Picco”, gli Aquilotti prendono ampiamente il largo e per i Grigi fu un testa a testa con il Prato per il secondo posto utile. A quel punto nella squadra entrò il gruppo dirigenziale che faceva capo all’ex presidente del Genoa Aldo Spinelli. Il papà però rilevò anche il Livorno e toccò al figlio Roberto guidare il club di spalto Rovereto. Tuttavia il campionato 2000-‘01 fu uno dei peggiori: la squadra fu ultima dall’inizio alla fine del torneo.
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