Dino Ballacci aveva fatto il partigiano. Brigata Osoppo. Combatteva per liberare la sua terra proprio come aveva imparato a combattere sui campi di calcio, fin da ragazzino. E come avrebbe fatto ancora per anni a guerra finita, vestendo per dodici lunghe stagioni la maglia del suo Bologna.
Aveva iniziato a tirar calci all’oratorio di Sant’Egidio, e lì l’avevano scoperto Biavati e Sansone. Trafila nelle giovanili rossoblù, poi appunto la guerra e un ritorno in campo non immediato, perché il presidente Dall’Ara si accorse che il ragazzo non era tornato dalle colline con la condizione dell’atleta. Qualche settimana a fare l’impiegato, poi finalmente (e di nuovo) una maglia rossoblù da indossare. Stando dietro, in difesa, a controllare gli avversari più pericolosi. Con una grinta e una tenacia che ne avrebbero fatto un titolare inamovibile di lì a un paio di stagioni. Un metro e ottanta di carica e “cattiveria” agonistica, un gladiatore quasi insuperabile sulla fascia sinistra. E un carattere altrettanto combattivo.