Benito Lorenzi con la maglia dell’Alessandria.
Benito “Veleno” Lorenzi trascorse gran parte della sua carriera agonistica nell’Inter, in cui esordì il 28 settembre 1947 (Inter-Alessandria 6-0) dopo la gavetta all’Empoli in serie B: i toscani l’avevano comprato dal Borgo a Buggiano di Prima divisione solo un anno prima, pagandolo 100.000 Lire, e l’avevano rivenduto ai nerazzurri per 12 milioni di Lire. Vestì per l’ultima volta la casacca nerazzurra il 13 luglio 1958 (Como-Inter 0-3). Con la squadra milanese vinse 2 scudetti (1952-‘53 e 1953-‘54) totalizzando 314 presenze e 143 reti nelle gare ufficiali: campionato italiano (305 presenze, 138 reti), Coppe Europee (3 presenze, 3 reti) e Coppa Italia (6 presenze e 2 reti). In questo periodo, durante una partita con la Pro Patria, subì un duro intervento: l’entrata violenta di un avversario colpì il piede-appoggio di Lorenzi durante un cross, spezzandogli il perone. Durante la caduta a terra, Lorenzi alzò le mani per proteggersi il volto e, sbilanciato, andò a colpire con la testa le sbarre di ferro della porta.
Lorenzi nell’Inter.
L’ infortunio si risolse con 13 punti alla gamba e 15 alla testa, e un lungo periodo di stop. Esordì nella Nazionale italiana a Madrid (Spagna-Italia 1-3) realizzando anche una delle tre reti italiane. Con la maglia azzurra disputò 14 gare e fu autore di 4 reti. Il suo esordio in azzurro coincise con l’ ultima partita in Nazionale di Valentino Mazzola, di lì a poco scomparso con lo squadrone torinese a Superga.
Lorenzi in Nazionale.
Molti lo ricordano come un “cattivo” in campo. Solo per citare due degli episodi che giustificarono il soprannome “Veleno”: nella sua prima partita con l’Inter contro l’Alessandria si fece espellere, e ai Mondiali di calcio in Svizzera nel 1954 rifilò un calcio all’arbitro brasiliano Viana nella partita contro la squadra di casa. Quando contro la Fiorentina il compagno Stefano Nyers sbagliò un gol, Lorenzi lo colpì e l’ungherese si allontanò dal campo. Richiamato bruscamente all’ordine (“rientra che i conti li facciamo dopo”), alla seconda occasione segnò e rincorse Lorenzi per restituirgli il favore. Era noto per strizzare di nascosto i testicoli degli avversari per sbilanciarli durante i contrasti aerei, e non si tratteneva dall’usare il suo taglientissimo vernacolo toscano per provocare gli avversari. Sua l’invenzione del soprannome “Marisa”, affibbiato a Giampiero Boniperti. Marisa era il nome di una ragazza che seguiva gli allenamenti del giovane juventino in Nazionale. In pieno stile “Veleno” la provocazione sulla presunta “professione” praticata dalla Regina d’Inghilterra, sbandierata da Lorenzi per provocare il giocatore John Charles. La provocazione non ebbe effetto, il giocatore gallese rispose: “Non è la mia regina, sono gallese”.
Il soprannome di “Veleno” però non deriva dai giornalisti, che si limitarono ad appropriarsene, ma dalla madre Ida Lorenzi, che lo chiamava così per i suoi trascorsi di bambino molto vivace. Anche il nome Benito nacque da uno scherzo, voluto dal nonno del calciatore come sfottò verso il nascente regime fascista che lo aveva costretto a chiudere la sua panetteria. La sua azione più famosa fu anche una delle più “velenose”: durante un derby Inter-Milan, venne fischiato un rigore assai dubbio a favore dei rossoneri. Lorenzi andò dal massaggiatore della sua squadra e si fece dare un pezzo di limone. Mentre l’arbitro Lo Bello era distratto dalle intemperanze dei giocatori in campo, lo posizionò rapidamente appena sotto il pallone sul dischetto degli undici metri. Nonostante le grida dei tifosi il rigore venne tirato da Tito Cucchiaroni, ala sinistra del Milan, uscendo di oltre sei metri chiudendo la partita sull’1 a 0 per gli interisti e costringendo “Veleno” ad una rapida corsa verso gli spogliatoi per evitare l’invasione di campo dei tifosi avversari infuriati.
Nonostante la fama, Lorenzi è sempre stato un cattolico praticante e molto assiduo, tanto da aver dichiarato di aver mancato ad una sola messa durante la sua intera carriera, e solo perché non era stato in grado di trovare una chiesa nel paesino siciliano in cui si trovava. Addirittura, dopo l’episodio del limone, si confessò in chiesa dicendo di aver fatto una scorrettezza: il prete, interista, si mise a ridere. Arrivò a dichiarare, in un colloquio con Carlo Maria Martini, allora cardinale Arcivescovo di Milano: “Il corpo peccava, lo spirito cattolico rimaneva nello spogliatoio”. L’almanacco 1946-‘47 riporta solo 39 presenze di Lorenzi nell’Empoli, contro le 40 effettivamente svolte. Questo deriva da uno scherzo fatto dal portiere compagno di squadra di “Veleno”, che per prendere in giro l’amico centravanti aveva dichiarato ai giornali nella partita domenicale il centravanti sarebbe stato Pirinai. La notizia venne riportata sui giornali e sugli almanacchi, salvo poi scoprire che Pirinai era il matto del paese: la presenza rimase accreditata al fantomatico Pirinai. Chiuse la carriera nel 1960, dopo una stagione disputata con la maglia dell’Alessandria (26 presenze e 4 reti) e quella successiva con il Brescia in serie B (14 partite 4 gol). Al “Moccagatta”di Alessandria non si smentì: celebre la sua espressione “la terra ai contadini!”, rivolta al compagno di squadra Filini che aveva appena sbagliato un tiro a rete sollevando una zolla del terreno.
Cosa sia stata l’Inter per i ragazzi usciti dalla guerra lo ha può spiegare meglio di tutti proprio Benito Lorenzi: chi più di lui si è portata l’Inter nel cuore, l’ha rivitalizzata coi suoi furibondi scatti, l’ha arricchita di cuore, di rabbia, in modo particolarissimo di estro? Perché bisogna intendersi o tutto diventa relativo. Non si nasce sempre geni, non si nasce nel calcio sempre Di Stefano o Puskas o Pelè. Si può nascere Benito Lorenzi. Cioè una peculiarità di certi italiani del popolo di non avere peso specifico, di non avere presenza, di essere “brutti anatroccoli” (non che Benito lo fosse) oppure di avere tante altre cose che un gigante non ha, tanto entusiasmo e tanto scatto, inventando in un attimo grattacieli di gol. E Lorenzi fu appunto tutto ciò ed era peggio di “Pel di carota”.
La Milano di quando vi arriva Lorenzi ha perso tutto ma si vuole fare di tutto con gli interessi. Ci sono mucchi di macerie agli angoli delle strade, la guerra ha buttato giù monumenti e cimeli del passato. Il “Piccolo Re” se n’è scappato in Egitto, dal 2 giugno 1946 l’Italia è diventata Repubblica, Umberto di Savoia è in esilio. Ma che giocatore Lennart Skoglund, il dribbling sul fondo prima del cross carezzevole! E che fenomeno è quel Nyers, potente goleador apolide! L’Inter 1949-‘50 risultò terza dietro la Juve vincitrice dei Martino, John Hansen, Praest, Parola, Boniperti, eccetera, e il Milan del “Gre-No-Li”. Giorni duri per il paese, di ricostruzione e di confusione. Cominciavano le speculazioni edilizie, cominciavano finalmente a Milano i lavori della metropolitana ed allenava l’Inter un dottore dai gesti austeri, Alfredo Foni ex terzino juventino e azzurro.
Una formazione dell’Inter nel campionato 1954-’55. Il primo in piedi, da destra, è Lorenzi. Il primo accossciato da sinistra, è un altro grande prodotto del vivaio dell’Alessandria, Ginetto Armano. Di quell’Inter facevano parte anche altri due giocatori legati alla storia dell’Orso Grigio: Giacomazzi e Tinazzi.
Ed ecco l’Inter Campione d’Italia, con Ghezzi, Padulazzi, Giacomazzi, Neri, Giovannini, Fattori, Armano, Mazza, Brighenti, Skoglund, Nyers.
Punti 47, gol fatti 46 subiti 24, una squadra fabbricata sul modulo che Gianni Brera finì per definire all’italiana: ovvero, in porta e nei sedici metri il volante dei portieri, Ghezzi (e quelli come lui si son portati via anche il ruolo lasciandolo ai marcantoni dai robusti lombi), due terzini marcatori e spazzatori, un centromediano fortissimo nel breve ed in sostanza primo libero della storia, ancor più di Parola, cioè Giovannini, un mediano di lancio (Fattori) ed un’ ala di ampi raccordi, di ampia fatica, Armano, proprio lui, il prodotto della nebbiosa pianura dell’Oltrebormida alessandrina, di Litta Parodi. Raccolta nella propria trequarti, l’Inter smaniava con Lorenzi in contropiedi folgoranti. E sui suoi passaggi all’indietro irrompeva per il suo shot vittorioso Stefano Nyers il “terribile”. A seguito di una lunga malattia Benito Lorenzi è deceduto il 3 marzo 2007 all’Ospedale Luigi Sacco di Milano.
Mario Bocchio
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