Székely (a destra) con il portiere grigio Lino Nobili.
È stato indbbiamente un personaggio particolare in un calcio ormai troppo lontano. Ma l’ungherese László Székely incuriosisce ancora oggi.
Allenò per diverse stagioni il Fenerbahçe vincendo il campionato turco nella stagione 1960-‘61. si sedette poi sulla panchina del Galatasaray, per poi guidare nel 1950 la Nazionale di calcio di Israele e nel 1957 quella della Turchia. Fu proprio poi la Turchia a indagarlo e a condannarlo per traffico di valuta.
Nel corso della sua carriera, Székely ha inoltre allenato in Brasile lavorando per la Juventus San Paolo, il Fluminense ed il Gremio.
Székely nel Fenerbahçe stagione 1952-’53.
In Italia spiccano le esperienze a Verona, Venezia, Palermo, Alessandria, Modena ed Albenga. Due le esperienze con i Grigi, sempre sostituendo qualcuno. Iniziò nella stagione 1965-’66, in serie B: l’ingengner Remo Sacco che pur figurando sempre come vice dell’avvocato Gino Testa, era in pratica il vero centro motore, aveva acquistato due nomi illustri: Lojacono e Nicolè. Sostituì il tecnico Federico Allasio con il duo Aristide Coscia–Gino Armano, che erano andati bene l’anno prima. Visto però che le cose non andavano ugualmente per il verso giusto, assunse Székely. In mezzo a tutto questo marasma la squadra riuscì comunque in qualche modo a salvarsi, terminando solo a due punti dalla terzultima piazza che significa retrocessione.
Il campionato successivo, l’Alessandria retrocesse in C. Iniziò l’uruguaiano Ettore Puricelli, nome illustre ed elemento esperto, per poi cedere la mano a Giulio Cappelli. Quindi, ancora Székely, che schierando Bertoni in porta e Ramusani libero riuscì a dare maggior compattezza alla retroguardia. Quando sembrava ormai che la squadra grigia fosse in grado di trarsi definitivamente fuori dal fondo classifica, nella gara interna con il Genoa, anch’essa in brutte acque, crollarono speranze e dignità. In vantaggio infatti di due reti a dieci minuti dal termine, l’Alessandria riuscì a perdere per 3-2 una partita che ebbe dell’incredibile. Le rimanenti gare non ebbero più storia e la serie C schivata per tante volte divenne realtà.
Zingaro e nomade. A Palermo Székely viveva con moglie e due figli su una roulotte, parcheggiata tra il bar e le tribune della Favorita, all’ interno dello stadio. Bravissima persona, cordiale, affettuosa, troppo buona per il calcio, a metà fra il padre di famiglia e il fratello maggiore. Lui raccontava di essere un ex giocatore, centrocampista, ma non se lo ricordava nessuno. Aveva un timbro di voce burbero, i gesti da napoletano, e masticava l’ italiano. Diceva “aprire la toracia”, “fare la respirata”, cose così. Come preparatore non era granché, ma tecnicamente era bravissimo. Dopo l’ allenamento teneva sul campo chi secondo lui doveva ancora fare qualcosa: lui in ginocchio, l’altro in piedi, destro e sinistro, sensibilità e tempi di salto, e pallone con la corda. Era una costante di Székely, ovunque andasse.
Molti lo odiavano, quel pallone. Invece alla fine è stato un maestro. Un giorno Székely fu esonerato dal Palermo per divergenze con il presidemte. Salutò tutti, salì sulla roulotte con la moglie e i due figli, uscì dallo stadio e tornò sulla strada. Uno dei figli, Tommy (foto a fianco con papà László) ha intrapreso senza troppa fortuna la carriera di calciatore, nonostante un inizio al Milan che pareva promettente.
Il 27 novembre 1969 László Székely morì a causa di un incidente con la sua auto, mentre percorreva l’autostrada Voghera-Piacenza, all’altezza di Robecco Pavese. Tornava da Genova, dove i bene informati dissero che si era recato per concordare con il club rossoblu il suo ingaggio in sostituzione di Franco Viviani, che venne poi effettivamente esonerato l’8 dicembre.
A chi gli chiedeva se fosse felice, Székely ha sempre risposto sì.
Mario Bocchio
Contributi
Archivio Storico – La Gazzetta dello Sport
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