Il Wunderteam austriaco negli anni ’30: Sindelar è il sesto da sinistra.
Dopo anni di oblio sulle sponde del Danubio si è tornati a masticare il calcio che conta. Merito delle Nazionali di Austria e Ungheria, capaci di tornare nella fase finale di un campionato europeo. Per il futbol europeo, è stato un ritorno alle origini.
La rivoluzione danubiana prende piede nel periodo tra le due Guerre. L’innovatore in questione è Hugo Meisl, allenatore della Nazionale austriaca, che per sfruttare al meglio le caratteristiche dei propri giocatori inventa un nuovo modulo di gioco. Una sintesi tra il “sistema” inglese e il “metodo” italiano, un gioco fatto di possesso palla e interscambio di posizioni, esaltato dalla tecnica raffinata degli interpreti.
Nel dicembre 1932 il Wunderteam gioca a Londra, dove viene sconfitto 4-3 dall’Inghilterra, ma Sindelar segna un gol fantastico, partendo dal centrocampo e saltando come birilli 8 avversari prima di depositare la palla nella porta sguarnita.
Il Wunderteam è una squadra stellare. Prima vince la seconda edizione della Coppa Internazionale, antesignana dei Campionati europei, poi viene sconfitta dall’Italia di Pozzo nella semifinale dei Mondiali 1934, per opera di uno scellerato arbitraggio. È l’inizio della fine, una conclusione decretata dalla morte di Meisl nel ’37 e dall’Anschluss, ovvero l’annessione dell’Austria alla Germania nazista, l’anno successivo.
Non tutti i giocatori austriaci vestiranno la casacca della Grande Germania, a partire dal ’38. Tra questi, Matthias Sindelar, il Mozart del pallone, centrocampista elegante e stella della Squadra delle meraviglie. L’avversione di Sindelar al nazismo è nota: la sua scomparsa nel 1939, in circostanze misteriose, lascia pensare a un regolamento di conti. L’Austria non saprà più raggiungere i livelli del Wunderteam, pur esprimendo individualità eccellenti, in primis Hans Krankl.
Il fuoriclasse Mathias “Cartavelina” Sindelar.
L’età dell’oro in Ungheria inizia nell’immediato dopoguerra, con la liberazione di Budapest e l’istituzione della Repubblica Popolare. La nazionale viene affidata a Gusztav Sebes, allenatore offensivista e precursore del calcio totale, profeta del “calcio socialista” di condivisione dei compiti. La squadra si fonda sul blocco della Honved e dell’MTK Budapest, ma soprattutto mette insieme campioni del calibro di Bozsik, Kocsis e sua maestà Ferenc Puskas, con un modulo MM che sfrutta il movimento del centravanti arretrato Hidegkuti.
L’Ungheria del capitano Puskas, nel 1953 nel tempio inglese di Wembley.
Dopo la vittoria delle Olimpiadi del ’52, la squadra si rivela al mondo con la doppia, sonante vittoria sugli inglesi tra il ’53 e il ’54. L’Aranycsapat diventa la logica favorita per il Mondiale svizzero, specialmente dopo le vittorie con i maestri sudamericani di Brasile e Uruguay. La finalissima contro la Germania Ovest sembra una formalità, specialmente dopo il 2-0 iniziale dei magiari, ma il vigore atletico dei tedeschi è sorprendente. Miracolo di Berna diranno i più, doping tedesco si è sempre sospettato: 3-2 Germania, termine di un sogno.
Nella storia dei Grigi ci furono anche diversi personaggi provenienti proprio dall’area austroungarica
Béla Révész – nato a Budapest nel 1886 – tra il 1909 e il 1915 giocò nel MTK di Budapest; vanta otto presenze con la Nazionale austroungarica. Esordì in Italia nel 1923, chiamato ad allenare l’Alessandria; ebbe il merito di valorizzare gli emergenti Giovanni Ferrari ed Elvio Banchero nella fortunata stagione 1923-‘24. Ritornato in Ungheria, allenò ancora l’MTK, con cui vinse il campionato 1928-‘29. Nel 1930 fu reingaggiato dall’Alessandria in serie A. Allenò poi la Triestina e collaborò anche con la Federazione azzurra a Roma. Lasciato l’incarico per motivi di salute, allenò poi in patria il III Kerületi. Da notare che negli stessi anni operava in Italia il quasi omonimo Geza Révész, che guidò il Livorno in A e varie formazioni.
I Grigi in tournée in Spagna, 1923. La formazione che incontrò, a Barcellona, il 15 agosto 1923, il Deportivo Europa. Si riconoscono: Gandini, Viviano, Banchero, Lauro, Tosini, il portiere Cagnina, l’allenatore Béla Révész.
Karl Stürmer, viennese, dopo la gavetta nel Wiener Cricket, giocò come terzino nel First Vienna, esordendo in Nazionale nel 1903. Nel 1907 passò al WAC, dove venne schierato come centrocampista. Interrotta la carriera di calciatore dopo la Prima guerra mondiale, si dedicò ad allenare il WAC e poi lo Sport Club Rudolfshügel in Austria. Approdò in Italia nei primi anni Venti, ingaggiato dalla Reggiana che allenò a più riprese. Particolarmente importante fu la sua esperienza al Torino; dopo la nascita del settore giovanile granata (i Balon Boys, dal nome di Adolfo Baloncieri) dedicò gran parte della sua attenzione ai giovani talenti della squadra granata, lanciando tra gli altri i fratelli Aldo e Felice Borel, Janni, Silano e Bo. Sempre sul finire degli anni Venti seguì il Prato, ottenendo l’ammissione alla Divisione nazionale nel 1927-‘28. Dopo un campionato all’Alessandria nel 1931-’32, allenò la Lazio e, dopo l’esonero dell’aprile 1934, la Massese prima di approdare, dopo pochi mesi, al Livorno. Al ritorno all’Alessandria, nel 1935-‘36, costruì una squadra che raggiunse la finale di Coppa Italia; venne poi esonerato alla fine del 1936, pagando gli errori della dirigenza che, tra un campionato e l’altro, aveva ceduto gran parte dei titolari. Passò ad allenare le giovanili della Juventus e affiancò Virginio Rosetta alla guida della prima squadra nel 1938-‘39. Andò poi ad allenare in serie C Cremonese, Verona e Cesena, prima di venire ucciso nel 1943 a Faenza da un uomo tedesco.
Mario Bocchio
– continua –
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