Gli anni Settanta calcistici, devono molto a Perugia. Perché è da quel cuore d’Italia che sono venute tante delle immagini pallonare del decennio di piombo, a partire da Paolo Sollier, calciatore proletario, che in maglia rossa saluta a pugno chiuso la curva laziale di eterna fede fascista. E poi la fotografia di Renato Curi buttato a terra, lui corridore per natura, da un attacco cardiaco assassino che fermò per sempre il calciatore dai mille ruoli, uno dei più “olandesi” della piccola Ajax delineata da Castagner, allenatore di idee che trovò a Perugia il laboratorio miracoloso. Insomma, la prima mentalità di ciò che il mondo sportivo chiamerà “Perugia dei miracoli” partì dalla politica degli anni Settanta, circoli fumosi che cantavano l’internazionale, atmosfera “gauche” che trovò l’apoteosi in Sollier che salutava la nord dell’Olimpico, versione addolcita dello scontro assassino fra gli estremismi di allora.La rosa e lo staff tecnico del Perugia nella stagione 1974-75 (primo classificato nel campionato di serie B (promosso in A) ed eliminato al primo turno della Coppa Italia, qui in posa allo stadio Santa Giuliana di Perugia. In piedi (da sinistra): Molinari (allenatore in seconda), Molini (preparatore atletico), Sollier, Frosio, Marconcini, Sabatini, Zana, Vannini, Farabbi, Vitulano. Seduti (da sinistra): Palomba (massaggiatore), Picella (capitano), Nappi, Scarpa, Castagner (allenatore), Savoia, Marchei, Pellizzaro, Tinaglia. Accosciati (da sinistra): Luchini (massaggiatore), Amenta, Curi, Raffaeli, Malizia, Baiardo, Giubilei, Ricci.
“De Andrè, Gaber e Guccini restano inarrivabili, ma i talenti ci sono ancora. Lo stato sociale: quando cantano ‘Io odio il capitalismo’, ovviamente non rimango insensibile. Poi Casa del Vento, Alessio Lega. E Offlaga Disco Pax, hanno anche citato il mio libro in uno spettacolo”. Il libro di Sollier è ”Calci e sputi e colpi di testa”, pubblicato nel 1976, nel quale il calciatore racconta la propria militanza in Avanguardia operaia e descrive il mondo del calcio da un punto di vista alternativo rispetto ai colleghi.
Sollier sfoglia il Quotidiano dei lavoratori a metà degli anni ’70, con il collega Giancarlo Raffaeli.
Il Sessantotto, nel calcio, attecchì solo nel look. Sollier lo ha ripetuto più volte: “Mi informavo, ero abbonato al Quotidiano dei Lavoratori . Inconcepibile. Nel calcio c’era un muro di gomma. Nel ‘74-‘75 facemmo qualche assemblea con quei sette-otto calciatori ‘impegnati’. Dopo un po’ ci guardammo e dicemmo: ‘Ma che stiamo facendo?’. Finì lì. L’unico politico vero era Rivera. Ho sempre catalizzato delle minoranze destinate a scomparire”.
Sollier in azione al Perugia nel 1974, al tiro contro il Catanzaro.
Già, quel gesto – il pugno chiuso – di un calciatore che veniva da una squadra umbra, quindi di provincia, segnò la definizione di una identità che stava affinandosi, e di un coraggio di esistere che già non era più il sentirsi serie B calcistica. Ma si sa, la forza deve sempre temprarsi nel dramma, e questo fu dato da Renato Curi, caduto sul lavoro nella partita contro la Juve. Quello fu il momento in cui l’Italia per la prima volta si concentrò su uno stadio nel cuore dello stivale, ancora non sapendo che quella attenzione non si sarebbe spenta con l’emozione del dramma, anzi. Riaffiorano i brividi, sull’onda di un singolare scambio via radio. «Scusa Ameri, qui a Perugia…» «Ho già capito tutto, Ciotti, e ti passo la linea». Ma il grande Enrico Ameri non poteva immaginare, come tutti gli sportivi in ascolto quella maledetta domenica, che Sandro Ciotti non chiedeva il collegamento per intervistare qualche personaggio catturato al volo, ma per consegnare un terribile annuncio: «Il centrocampista Curi del Perugia è morto».
Domenica 30 ottobre 1977. A ventiquattro anni appena, il suo sogno si spezzò. In un’intervista, così aveva spiegato il “moto perpetuo “ del suo gioco: «Non so dire come mai corro tanto. Ho polmoni come gli altri, una certa vocazione per la corsa, da ragazzo ero buon mezzofondista, 800, 1500, 3000 metri. E poi ho un cuore matto, capriccioso. Dicevano che ero malato, pensate un pò. Dal Giulianova al Como ebbi un intoppo. E mi mandarono al Centro tecnico di Coverciano perché il cuore aveva battiti irregolari. Però è un cuore di atleta, si assesta appena compio degli sforzi. Quando corro, quando mi affatico, i battiti diventano perfetti. Come capitava a Bitossi, il campione ciclista che chiamavano appunto Cuore matto».
Poi per il Perugia venne la stagione perfetta, o meglio quasi. Senza sconfitte (prima squadra nella storia) ma anche senza scudetto, a differenza del Verona venuto anni dopo che fece gli stessi miracoli ma aggiunse anche il tricolore sulle maglie. L’avrebbe meritato lo scudetto, il Perugia, anche solo per il senso della novità europea che assieme al Torino di Radice aveva saputo portare al belpaese calcistico. Solo che quell’anno venne un Milan capace di conquistarsi la stella dei dieci scudetti, e portarsi a casa qualche vittoria in più, consentita un po’ anche della buona (stella), perché nello scontro umbro si era trovato un Perugia senza Nappi e il capitano Frosio.
Mario Bocchio
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