Milanese-Alessandria 1-3, campionato 1922-’23. Baloncieri cerca di sfuggire ad un difensore.
Il Toro vinse il primo scudetto della sua storia nel 1928, sbaragliando ogni avversario, mostrando un calcio devastante e offensivo. In realtà, però, per tutti i giocatori di quell’epoca lo scudetto fu il secondo sul campo, ma ci arriveremo.
Partiamo invece da un personaggio, Adolfo Baloncieri.
«Mezzala goleador di limpidissimo stile», veniva lodato da Gianni Brera per la «nevrile eleganza», il «genio» e l’«istinto goleadoristico». Lo stesso Brera lo definì «il più classico prodotto del calcio italiano negli anni ’20 e uno dei più classici di sempre».
Franco Ossola junior scrisse su di lui: «sapeva fare veramente di tutto: impostare, dettare i tempi dell’azione, scattare, dribblare, contrastare e andare, a volte meravigliosamente in gol». «Capace di dare nerbo non solo alla sua, ma anche all’altrui azione» è considerato da molti critici «il primo vero, autentico regista del nostro calcio». Per Antonio Ghirelli aveva «il senso della manovra, la percezione del movimento, l’intuito della posizione, la rapidità del tiro».
Adolfo Baloncieri e Emilio Carli Moretti. Due colonne degli anni ’20: Baloncieri il re dell’attacco e Moretti (in realtà aveva un doppio cognome) pilastro della linea mediana.
Renato Casalbore sottolineò che, forte della sua esperienza di vita in Argentina, esportò nel nostro calcio elementi stilistici tipici dei giocatori sudamericani inediti nel gioco all’italiana, come il tocco elegante, il virtuosismo, l’arte della manovra. «Con la sua andatura caratteristica – scrisse Vittorio Pozzo – scattava dalla posizione arretrata che è solito assumere, sgusciava via all’avversario, ed un suo tocco della palla generava un attacco, inscenava un’avanzata».
Dopo aver militato nella Juventus, formazione amatoriale alessandrina, esordì a 17 anni nella prima squadra dell’Alessandria; per diverso tempo si è indicato come giorno del suo debutto il 28 marzo 1915: in quell’occasione l’allenatore George Arthur Smith lo schierò all’ala sinistra, in sostituzione dell’infortunato Bosio, contro il Milan. La partita, decisiva per l’esito del girone semifinale del campionato 1914-’15, terminò 0-0. Nel 2010 Ugo Boccassi ha invece anticipato la data del debutto al 6 dicembre 1914, in Alessandria-Andrea Doria (2-2): Baloncieri giocò per sopperire all’assenza di Della Casa,in una partita non brillante della linea d’attacco dell’Alessandria. In seguito allo scoppio della guerra, la società interruppe temporaneamente le attività.
Durante il periodo di guerra Baloncieri, come altri giocatori dell’Alessandria, disputò alcune partite amichevoli con l’Unione Sportiva Alessandrina, squadra dilettantistica sorta in quel periodo per sopperire all’assenza di società calcistiche in città.
Baloncieri, nel 1921. Tenta di sfuggire al suo.guardiano. In qualche occasione, come questa, l’Alessandria giocò indossando la maglia bianca.
Ritornò tra i Grigi dell’Alessandria nella primavera 1919, in occasione della Coppa Brezzi, competizione organizzata dalla stessa società e vinta superando Valenzana, Juventus e Casale. Negli anni seguenti l’Alessandria disputò campionati nazionali di buon livello, senza mai riuscire a vincere il titolo, ma sfiorando le finali per tre volte (1920, 1922 e 1923) e raggiungendole nel 1921, quando fu sconfitta dalla Pro Vercelli. Baloncieri, che faceva parte di un famoso trio di centrocampo con Guglielmo Brezzi e Carlo Carcano, contribuì con continuità al conseguimento di questi risultati, segnando, a seconda delle fonti, tra le 72 e le 75 reti, dato che lo colloca al quarto posto tra i giocatori più prolifici in maglia cinerina.
Nell’estate 1923 fu aggregato alla rosa del Genoa per la tournée sudamericana che vide i rossoblu impegnati tra l’altro contro la Nazionale uruguaiana e quella argentina.
Sebbene fosse ormai considerato il simbolo dell’Alessandria, secondo diverse fonti attorno al 1925 il suo rapporto con la società era prossimo ad incrinarsi. Chiesa riporta che «l’Alessandria», dove era «costretto a fare la vedette», «ormai gli andava stretta».
Certo furono avviate segretamente trattative per la sua cessione al Torino del conte Marone Cinzano; i granata offrirono la cifra, fra le più alte per l’epoca, di 70 000 lire. La dirigenza dell’Alessandria accettò, e il presidente Ronza si giustificò con i tifosi amareggiati esclamando «Non è il caso di disperare, abbiamo ceduto un vecchio ronzino».
Il rapporto con dirigenza e tifosi dell’Alessandria si sarebbe riallacciato solo nel 1929, quando nell’amichevole per l’inaugurazione nel nuovo stadio Hardturm di Zurigo contro il Grasshoppers Baloncieri avrebbe accettato d’indossare nuovamente la maglia grigia.
Quello di Baloncieri al Torino fu, per la cifra e per il valore del giocatore, uno dei primi trasferimenti clamorosi nella storia del calciomercato italiano, assieme a quelli di De Vecchi dal Milan al Genoa e di Rosetta dalla Pro Vercelli alla Juventus. Nel Torino Baloncieri andò a far parte con Julio Libonatti e Gino Rossetti del cosiddetto «Trio delle Meraviglie», terzetto offensivo «a dir poco irresistibile» all’interno di un modulo «prettamente danubiano», in cui anche il centravanti Libonatti contribuiva alle incursioni in area avversaria dei compagni di reparto.
Secondo Ossola il Torino, con l’innesto di Baloncieri, fece «un salto di qualità eccezionale». La squadra granata vinse il campionato 1926-’27, superando le più accreditate Bologna e Juventus, per poi vederselo revocare dalla Federcalcio per il “Caso Allemandi”; Baloncieri considerò la sottrazione del titolo il rimpianto più grande della sua carriera e, denunciando in prima persona presunti lati oscuri dell’indagine, dichiarò che «il dilemma venne risolto in maniera sbrigativa».
Il Torino nel campionato 1926-’27.
L’anno successivo il Torino si ripeté; il 5 febbraio 1928 Baloncieri segnò sette reti nel 14-0 con cui i granata sconfissero la Reggiana, record non più eguagliato o superato da nessun giocatore granata. Avendo segnato in totale 100 gol con la maglia del Torino si trova all’ottavo posto della classifica dei marcatori del club granata, club del quale vestì ì colori fino alla fine della carriera, datata 1932.
Baloncieri in granata e la Principessa Jolanda di Savoia al “Filadelfia”.
Il fratello maggiore Mario fu calciatore dilettante nell’Alessandrina e poi giornalista, mentre il cugino Guglielmo Brezzi, morto in giovane età, fu suo compagno di squadra nell’Alessandria e in Nazionale. Fu colpito da altri lutti per via delle premature dipartite del fratello Carlo, annegato a Finale Ligure nell’agosto 1933, e di un figlio. Con la figlia, Flora, insegnante, e una sorella visse a Genova negli ultimi anni. Morì nel 1986, pochi giorni prima di compiere 89 anni, per una broncopolmonite.
Lo scudetto revocato
Campionato di calcio 1926-’27. Il Torino del presidente Marone Cinzano conquista il suo primo scudetto grazie ai gol di Baloncieri, Rossetti e Libonatti. Giusto il tempo di festeggiare, poi un giornale romano, “Il Tifone”, getta ombre sulla regolarità del derby disputato il 5 giugno 1927 e vinto dal Torino per 2 a 1.
Leandro Arpinati.
In un calcio che è sempre più fenomeno di massa ed è ormai completamente assoggettato al fascismo, conduce l’inchiesta il presidente della Federazione Leandro Arpinati. È uno degli uomini più potenti d’Italia, è podestà di Bologna, vicesegretario del partito, proprietario di un paio di giornali e in procinto di diventare sottosegretario agli Interni. Nella notte tra il 3 e il 4 novembre 1927 viene emessa la sentenza: la combine è stata provata e al Torino viene revocato lo scudetto.
Il giocatore juventino che si è lasciato corrompere, per 25.000 lire, è Luigi Allemandi (foto a fianco) e per lui scatta la squalifica a vita. Giustizia è fatta e il primo scandalo del calcio italiano viene frettolosamente archiviato. Ma che cosa accadde davvero intorno a quel derby?
Dove eravamo rimasti? O meglio: dove era rimasto il Torino? Dove è finita quella promessa di Urbano Cairo? Dove è finito quell’annuncio dato dal presidente granata davanti a 10 mila tifosi, lo scorso 17 ottobre, in occasione della posa della prima pietra al Filadelfia? «Andiamo a riprenderci lo scudetto del ‘27 che ci tolsero ingiustamente!», tuonò Cairo, non a caso, non per caso. Già, proprio lo scudetto del 1927: revocato ai granata e mai più assegnato.
Stando a “Tuttosport”, lla recente partita del Toro contro il Bologna – altro club al centro di quella controversa vicenda di 89 anni fa – porterebbe ad accendere nuovamente i riflettori sulla questione: non solo o non tanto sul cosiddetto scandalo Allemandi, quanto, per l’appunto, su quella promessa d’un Cairo tonante. Fu soltanto un modo per catturare il plauso della folla, in quel giorno così emozionante, con il battesimo del nuovo Filadelfia da ricostruire? No, fino a prova contraria. L’indiscrezione L’ufficio legale del Torino è al lavoro per redigere una sorta di dossier e presentare entro fine maggio una richiesta formale alla Federcalcio. Il patron granata ha dato ordine di muovere un passo ufficiale nei confronti dell’ente federale, attraverso i passaggi canonici, entro la fine del campionato.
«Il Torino fa bene a rivendicare lo scudetto del 1927. Sono diversi i motivi per cui la Federcalcio potrebbe dargli ragione. E lo dico non per ragioni di tifo, ma per amor di giustizia». A parlare è Massimo Lunardelli, scrittore, bibliotecario, autore di “Indagine sullo scudetto revocato al Torino nel 1927” (Blu Edizioni, 2014): il lavoro migliore, più ricco e accurato, dedicato a quella controversa vicenda. Che è tornata per l’ennesima volta d’attualità, sull’onda dell’entusiasmo di Cairo: che vuole dunque chiedere di riaprire la vicenda, nella speranza di farlo riassegnare al Toro, quel tricolore senza padroni. Proprio l’accurata opera di investigazione e ricerca di Lunardelli è oggetto di studio dei legali e dei collaboratori di Cairo. Perché nel libro si trovano le prime chiavi per capire cosa successe davvero. E per individuare dove e perché il Torino può avere ragione. Quello stesso Torino che fu accusato da Arpinati, tifoso del Bologna arrivato secondo. «E che il Bologna fosse protetto era noto a tutti – dice Lunardelli -. Nel libro ho dimostrato anche come riuscirono incredibilmente a far rigiocare la partita col Torino, che i rossoblù avevano perso, poco tempo prima di quella strana vicenda della presunta corruzione del difensore juventino Allemandi, nel derby col Toro del giugno ‘27».
Il famoso memoriale Allemandi.
Non si può riassumere in un articolo un volume di quasi 200 pagine, espressione della sintesi di «un enorme lavoro di ricerca durato due anni», ricorda l’autore. Si possono dare delle pennellate fondamentali, questo sì. Allemandi si proclamerà sempre innocente. Chiederà di essere ascoltato, e (invano) di essere messo a confronto diretto col suo grande accusatore, Francesco Gaudioso, studente siciliano che a Torino viveva nella stessa pensione di Allemandi. Il difensore della Juve, accusato al termine dell’inchiesta quasi a sorpresa, sarà squalificato a vita. Ricorrerà al Coni, nel 1928 stilerà un memoriale, «in cui si possono facilmente individuare le grandi contraddizioni del processo, la necessità per i vertici fascisti di trovare a tutti i costi un colpevole, le faide tra i protagonisti, la non esistenza di prove materiali, conosciute». Allemandi scriverà in quel memoriale: «Sono stato giustiziato, non giudicato». Lunardelli: «E quante inesattezze sono state riportate in questi ultimi decenni. Anche da grandi giornalisti come Ghirelli e Brera. Alla gente viene fatto credere che Allemandi fu sentito da un giornalista, Renato Ferminelli, litigare con Gaudioso per avere altri soldi: un’invenzione. Cade così una delle prove: il testimone diretto».
Mario Bocchio
Bibliografia
“1927: Lo scudetto di nessuno”, “Storie di Calcio”
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