L’ organico dell’Alessandria 1980-’81. Da sinistra, in piedi: Ballacci (allenatore), Gaudenzi, Zerbio, Soncini, Falco, Zanier, Pasquali, Favot, Piccotti, Maniscalco, Colusso, Burroni, Viganò (massaggiatore); accosciati: Colombo, Calisti, La Loggia, Fabris, Poli, Rossi, Russo, Piazza, Negri, Evangelista.
Dino Ballacci aveva fatto il partigiano. Brigata Osoppo. Combatteva per liberare la sua terra proprio come aveva imparato a combattere sui campi di calcio, fin da ragazzino. E come avrebbe fatto ancora per anni a guerra finita, vestendo per dodici lunghe stagioni la maglia del suo Bologna.
Aveva iniziato a tirar calci all’oratorio di Sant’Egidio, e lì l’avevano scoperto Biavati e Sansone. Trafila nelle giovanili rossoblù, poi appunto la guerra e un ritorno in campo non immediato, perché il presidente Dall’Ara si accorse che il ragazzo non era tornato dalle colline con la condizione dell’atleta. Qualche settimana a fare l’impiegato, poi finalmente (e di nuovo) una maglia rossoblù da indossare. Stando dietro, in difesa, a controllare gli avversari più pericolosi. Con una grinta e una tenacia che ne avrebbero fatto un titolare inamovibile di lì a un paio di stagioni. Un metro e ottanta di carica e “cattiveria” agonistica, un gladiatore quasi insuperabile sulla fascia sinistra. E un carattere altrettanto combattivo.
Restano nell’aneddotica rossoblù le estenuanti trattative con Dall’Ara per i rinnovi del contratto, col presidente che, narra una leggenda non molto lontana dalla realtà, lo riceveva con una pistola in bella mostra sul tavolo della scrivania, e allora Dino aveva preso l’abitudine di presentarsi anche lui con un revolver alla cinta, sai mai. Poi, comunque, alla fine l’accordo si trovava sempre.
E ancora, quello storico faccia a faccia con Gipo Viani, che gli agitava i pugni davanti alla faccia. E lui non arretrava un metro: “Come allenatore la rispetto, come uomo non provi a mettermi le mani addosso o la rovino…”. Forte come una roccia, generoso come chi ha passione per quello che fa. 306 presenze in rossoblù, che gli valgono un posto tra i primi venti “fedelissimi” di tutti i tempi. Una presenza anche in azzurro, a Milano contro l’Egitto, subentrando a Cervato. Nel Bologna, nel suo Bologna, fino al 1957, prima di andare a chiudere la carriera passando da Lecco, Lucchese, Portogruaro. Dove avrebbe fatto anche l’allenatore-giocatore scoprendo ragazzini che si chiamavano Furlanis e Cimpiel, e segnalandoli subito al suo Bologna. Perché l’amore è tutto.
Ai tempi della promozione in B dei Grigi, al termine del campionato 1973-’74.
E poi una lunga trafila da tecnico, a Reggio Emilia, Prato, Catanzaro, Catania, Arezzo, Pistoia, Ancona, Massa, Isernia. La provincia profonda dove il pallone è un Dio minore che incanta e innamora. Ad Alessandria ce lo ricordiamo bene: perché è stato il tecnico dell’ultima promozione in B, ormai poco più di quarant’anni fa, e perché un giorno attaccò al muro un giovane piuttosto arrogante che aveva parlato male di lui, tale Luciano Moggi.
Alla guida dell’Arezzo è rimasto dal 1970 al 1973 e poi dal 1976 al 1979, diventando il tecnico più longevo della storia del cavallino, davanti a Serse Cosmi e Antonio Valentin Angelillo. Nelle sei stagioni aretine, Ballacci ha lanciato molti giovani verso il grande calcio: da “Ciccio” Graziani a Neri, da Paolo Conti a Giuliani. Allievo di Viani, amava il gioco d’attacco ma le sue squadre sono ricordate soprattutto per la solidità difensiva.
Fumatore incallito, carattere sanguigno, Ballacci fu anche un bravo psicologo, motivando i calciatori a compiere imprese alla vigilia insperate, proprio come la promozione – ancora dell’Alessandria – dalla C2 alla C1 nel campionato 1980-’81.
Con Renato Colusso al “Moccagatta”.
“Era un uomo di grossa sensibilità e personalità. Si sapeva fare rispettare unendo le due caratteristiche in modo splendido e infatti era riuscito a tirar fuori da ognuno di noi il meglio nell’anno della promozione in B – il ricordo di Gigi Manueli -. In tutte le cose si metteva in mezzo, dalle partite di carte alle partitelle. Mi ricordo che proprio nelle partitelle iniziavamo alle 3 e fino a che non vinceva non si andava a casa. Allora qualche volta lo facevamo vincere alteimenti non smettevamo più”.
Ballacci viveva da tempo nella campagna imolese, dove se ne stava spesso e volentieri in compagnia di chi amava gli stessi colori, tifosi e amici che non mancavano di invitarlo a feste a tema rossoblù. Se ne è andato a ottantanove anni, a raggiungere quelli della gloria e della storia, campioni che non incontreremo più e non dimenticheremo mai. E lì ci sarà posto anche per lui, che non ha mai smesso di battersi per passione.
Mario Bocchio
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Colusso è stato il primo calciatore professionista australiano in Europa continentale