“Durante il derby fischiarono un rigore al Milan. Io approfittai della confusione, andai dal massaggiatore, presi una buccia di limone e la infilai sotto il pallone: Cucchiaroni calciò fuori. Finì 1-0 per noi e dovetti scappare in spogliatoio per non essere linciato”.
Benito Lorenzi, detto Veleno, nacque il 20 dicembre 1925 a Buggiano, vicino Pistoia.
Soprattutto con Inter e Nazionale divenne una punta celebre per la ferocia agonistica, per la sagacia e la capacità d’improvvisazione. I suoi trucchetti da aerea di rigore e le sue marachelle segnarono il calcio del secondo dopoguerra.
Qualche esempio? Lo strizzamento di testicoli degli avversari durante i duelli aerei, gli insulti ai compagni dopo reti sbagliate (Nyers fu addirittura colpito da un pugno) e la creazione di soprannomi canzonatori (come Marisa per Boniperti).
L’appellativo Veleno non fu un’invenzione giornalistica, venne direttamente dalla madre, costretta a sopportare un figlio insopportabile durante tutto il periodo adolescenziale.
Nonostante il suo approccio al campo, Lorenzi fu un cristiano fervente. Dopo il grande tranello della buccia di limone corse immediatamente a confessarsi: leggenda narra che il prete, interista, di fronte al peccato compiuto si limitò a ridere fragorosamente.
Concluse la carriera nel 1960 dopo le brevi esperienze con Alessandria – dove fu compagno di squadra dell’esordiente Gianni Rivera -, Brescia e Varese.
Lorenzi funse anche da secondo padre per i figli di Valentino Mazzola. Dopo la tragedia di Superga, l’attaccante pistoiese cominciò a seguire da vicino i piccoli Mazzola e a portarli anche sul prato di San Siro.
Raccontò Sandro, futura leggenda nerazzurra: “Arrivai all’Inter grazie a Benito Lorenzi, detto ‘Veleno’. Personaggio da romanzo. Cattolicissimo, non perdeva una messa. Buono d’animo, terribile in campo. Prese me e mio fratello sotto la sua protezione: entravamo a San Siro vestiti da Inter, ci sedevamo accanto alla panchina. Se l’Inter vinceva, Lorenzi faceva dare anche a noi le 30 mila lire di premio partita”.