Una fase della partita Italia-Francia 9-4, disputatasi al Velodromo Sempione di Milano, in cui giocarono gli alessandrini Carcano e Ticozzelli.
Il 31 gennaio 1915 Carlo Carcano fu il primo giocatore grigio a vestire la maglia dell’Italia. Il gioco di Carcano era talmente efficace nella sua Alessandria che presto le Commissioni tecniche del tempo – che avevano l’incarico di scegliere gli elementi per la Nazionale – si accorsero di lui. Il suo debutto in azzurro avvenne a Torino contro la Svizzera, che risultò battuta per 3-1. Terminato il drammatico conflitto della Grande Guerra, l’attività calcistica riprese, sia nel campionato che nelle prove internazionali e Carcano venne selezionato nella squadra azzurra cinque volte, giocando l’ultima partita in Nazionale sul terreno di viale Lombardia a Milano dove, il 6 marzo 1921, l’Italia affrontò ancora una volta la Svizzera. Carcano aveva ormai trent’anni e pensò bene di togliersi le scarpe a bulloni per dedicarsi alla carriera di tecnico, diventando famoso alla guida della Juventus. Anche Vittorio Pozzo, nella sua qualità di Commissario unico per la Nazionale, si avvalse dell’opera di Carcano come allenatore per la comitiva azzurra, e la vittoria dell’Italia nel Campionato Mondiale del 1934 non fu soltanto merito dello stesso Pozzo e dei suoi Azzurri, ma parecchio anche di questo tecnico abile, avveduto, consumatissimo: un autentico mago “avanti lettera “. Carcano infatti, non era soltanto un allenatore, ma anche un acuto psicologo che conosceva a fondo i caratteri dei suoi uomini ai quali sapeva chiedere, ottenendolo, il massimo rendimento.
Pozzo e Carcano danno indicazioni ai loroi giocatori prima dei supplementari di Italia -Cecoslovacchia, finale della Coppa Jules Rimet 1934.
Alessandrino classe 1885, Augusto Rangone è riconosciuto uno dei padri fondatori del calcio italiano distinguendosi come abile dirigente e apprezzabile giornalista. Per molti anni egli ha rappresentato la controfigura di Vittorio Pozzo, differenziandosi da lui per la sua concezione romantica del calcio. Infatti Rangone ha sempre lasciato spazio alla libera iniziativa dei calciatori sul campo, a differenza del tecnico biellese per il quale il talento del singolo doveva sempre essere al completo servizio della squadra. Con Pozzo, tuttavia, Rangone ha molte cose in comune: le origini piemontesi, l’essere stato uno dei fondatori di una società calcistica – nella fattispecie l’Alessandria nel 1912 – e l’aver combattuto in prima linea durante la Prima Guerra Mondiale dalla quale è tornato con il grado di capitano. Al termine del conflitto bellico Rangone riprese la sua attività in seno alla Federazione calcistica come capo del settore arbitrale e come membro delle varie Commissioni tecniche della Nazionale. Egli, però, dimostrò tutta la propria abilità di dirigente – come ha evidenziato il collega Ugo Boccassi – quando riuscì a ricucire lo strappo del 1921-‘22, nel momento in cui i dissidi tra le società portarono alla disputa di due campionati. Ricomposta la frattura, Rangone tornò ad occuparsi della Nazionale, prima in seno alle numerose e infruttuose Commissioni tecniche e poi come Commissario unico a partire dal 1925. Ottenne buoni risultati alternati a sconfitte inattese, ma alla fine conquistò una medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928, che furono un’anteprima del Mondiale del ’30 in Uruguay.
L’arrivo della Nazionale azzurra di Rangone ad Amsterdam per le Olimpiadi del 1928.
Tanto che il successo olimpico della Celeste e la successiva vittoria nella prima edizione della Coppa del Mondo, a Montevideo vengono ancora oggi equiparati per importanza. A quell’Olimpiade presero parte anche celebri prodotti della scuola alessandrina quali Baloncieri, Banchero e Viviano.
Italia-Egitto 11-3 alle Olimpiadi del 1928: il grigio Banchero mise a segno ben tre reti (Archivio della Fondazione Museo del Calcio).
“Balòn” in Nazionale mise a segno venticinque gol: considerando che allora non c’erano le difese a zona e che gli Azzurri non giocavano così tante partite come oggi, realizzare venticinque reti in quarantasette partite è stato qualcosa di leggendario, come tutta la carriera di questo centravanti arretrato dai piedi buonissimi ma anche dalla visione di gioco sopraffina, degna di un regista.
Carico di gloria, Rangone lasciò la guida degli Azzurri per tornare dietro le quinte. Però lasciò un bel ricordo tanto che il cavalier Marcora, presidente della Pro Patria, lo chiamò al capezzale della squadra alla fine del 1929.
Il gol d’ apertura di Baloncieri contro l’Uruguay alla semifinale delle Olimpiadi di Amsterdam nel 1928 (Archivio della Fondazione Museo del Calcio).
Con i bustocchi ottienne due onorevoli salvezze. Negli anni Trenta sedette anche sulle panchine di Milan e Torino e nei momenti in cui tornava dietro le quinte, continuava sempre a fornire il suo prezioso contributo come giornalista fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Al termine del conflitto, quando il calcio riprese, per lui non ci fu più posto, come qualche anno dopo accadde per il suo amico e rivale Pozzo. Venne accantonato così quello che è passato alla storia come l’ultimo dei tecnici romantici del calcio.
Mario Bocchio
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