Campionato 1978-’79, Parma-Alessandria 1-1. In primo piano Natalino Fossati e un giovane Carletto Ancelotti. Si riconosce anche il portiere grigio Lucetti.
“È stato un vero peccato, non mi ricordavo di avere avuto la febbre e lei mi ha messo proprio ko il giorno di Alessandria-Milan. Non sai quanto avrei voluto andare all’Olimpico!”.
È rammaricato Natalino Fossati, vecchio cuore granata sì, ma anche e soprattutto grigio. Le radici anagrafiche e calcistiche infatti, non si dimenticano mai.
Classe 1944, Fossati è nato a Mandrogne, è uno dei tanti prodotti di quella che fu la fiorente scuola alessandrina.
Fu un terzino sinistro dinamico, valido sia in fase di copertura che negli sganciamenti in attacco, con una discreta propensione al gol.
Questo perché ai tempi delle giovanili grigie (fu scoperto da Cornara, lo stesso di Rivera) era attaccante, ma poi soprattutto grazie anche all’intenso lavoro su di lui operato da Nereo Rocco e in seguito da Edmondo Fabbri, che ne valorizzò maggiormente l’attitudine offensiva.
La società granata per fargli fare esperienza lo diede in prestito al Genoa nella stagione 1963-’64, dove conobbe Gigi Meroni.
Dopo solo un anno di lontananza tornò a vestire la maglia granata per formare, dalla stagione 1965-’66 – assieme a Fabrizio Poletti – una buona coppia di terzini. Con il Toro rimase fino al campionato 1973-’74 collezionando complessivamente 329 presenze (21 nelle coppe europee) e 19 gol.
“Per il Toro il derby deve sempre essere la partita della vita”. Ne è profondamente convinto. E certamente lo sarà per sempre. “Potremo anche essere ultimi in classifica, ma davanti alle maglia bianconere dobbiamo avere il dovere morale di giocare come se dovessimo disputare la finale della Coppa dei Campioni. Ce lo impone la nostra storia, lo dobbiamo al nostro popolo”. Le parole di questo ex campione riassumono meglio di un trattato che cosa significhi a Torino essere granata. “Ecco perché ho veramente provato disgusto, dopo l’ultimo derby di Coppa Itaòlia vinto dalla Juve per ben 4-0, vedere i giocatori del Toro scambiarsi la maglia con quelli bianconeri scherzando e ridendo come se non fosse capitato nulla”.
Qual è il suo più bel ricordo dei tanti derby da lei giocati?
“Non lo scorderò mai: 26 marzo 1972, vincemmo 2-1. Nel primo tempo la Juve andò in vantaggio con Anastasi e noi pareggiammo dieci minuti dopo con Claudio Sala. Poi nella ripresa andammo in vantaggio con Agroppi e in quel suo gol ci fu molto del mio lavoro. Ma ricordo quel derby con i brividi perché, a causa dell’indisponibilità di Ferrini, io ero il capitano del Toro”.
Già, giocare con la passione e la grinta, la rabbia e lo stile di chi vince solo grazie a ciò che è e non a ciò che ha. Sempre dall’altra parte di Torino, quella “giusta”, quella di chi “lotta con onore per il simbolo del cuore”.
Fossati in maglia granata, abbraccia Gustavo Giagnoni.
Dopo il Toro venne poi ceduto alla Sampdoria, ed in maglia blucerchiata disputò poche partite creando non pochi malumori nella tifoseria, furibonda nei confronti dell’allora presidente Lolli Ghetti che ne aveva avallato l’acquisto cedendo in cambio il forte difensore Nello Santin. Proseguì quindi la carriera con la Biellese e ancora l’Alessandria, proprio dove aveva incominciato.
“Ricordo che i tifosi contestavano il presidente Cavallo, che però se ne fregava delle critiche. L’allenatore era Guido Capello, a cui vennero affidati diversi giorni, mentre vennero comprati il centravanti Picco e il difensore Gardiman. Tra gli anziani c’eravamo io, l’ala Calisti, il mediano Ferrari e la punta Pandolfi. I nostri ingaggi erano veramente bassi. Pensa che a nove giornate dal termine l’Alessandria era addirittura quasi al vertice della classifica”.
Ma improvvisamente il giocattolo si ruppe. C’è chi sostiene – come ha scritto l’amico Marcello Marcellini – che a romperlo sia stato lo stesso presidente che per non salire in serie B dove avrebbe sofferto ben più importanti impegni finanziari, avrebbe preferito perdere sette volte e pareggiarne due nelle ultime nove partite di campionato. Nulla è certo, ma il dubbio su come siano andate realmente le cose rimane. Fossati ride.
“La Stampa” del giorno 27 settembre 1983.
Sulla panchina dei Grigi e Gregucci
Quindi una lunga esperienza come allenatore, quasi sempre su panchine difficili, con squadre che parevano spacciate e che lui sapeva poi resuscitare, come la Rondinella e il Pontedera, dove ho addirittura vinto lo spareggio contro il Novara.
La panchina dei Grigi gli ha lasciato il rammarico di una promozione mancata per una serie di motivi che nulla hanno a ch vedere con il rendimento dei giocatori.
Ad Alessandria erano arrivati i fratelli fratelli torinesi Giorgio e Gianmarco Calleri, titolari della Mondialpol. Il loro era un progetto molto ambizioso.
Arrivarono giocatori importanti come il terzino Marangon, il centrocampista Salvadori, Manueli e il libero Perego. A questi si aggiunsero le riconferme di Gregucci, Camolese e Scarrone.
Quasi subito venne esonerato il tecnico Mirko Ferretti: sul suo allontanamento ancora oggi i motivi sono poco chiari. Lo sostituì proprio Fossati.
Camolese, Gregucci e Sgarbossa passarono poi dall’Alessandria alla Lazio.
“In Coppa Italia ero andato a vedere Imperia-Alessandria, perché sono stato sul punto di dover andare ad allenare i nerazzurri liguri. Vidi giocare un difensore ben messo e con i capelli tinti di biondo. Era Gregucci. Quando arrivai ad Alessandria come allenatore però, non me lo trovai a disposizione per decisione del presidente. Ma come possibile? Andai subito dal povero Giorgio e al mercoledì era a mia diposizione. Da quel momento per me fu una pedina inamovibile. ‘Gregu’ era coraggioso, atleticamente possente, ma la sua dote più grande era l’umiltà, la continua voglia di imparare. Una volta dentro di me dissi: vuoi vedere che questo qui farà l’allenatore?”.
Il Livorno la fece da padrone, non perse mai una partita. I Grigi se la giocarono con l’Asti. L’improvviso fallimento del Quartu Sant’Elena diede il colpo di grazia alle speranze dell’Alessandria. La Federazione escluse i sardi dal torneo cancellando tutti i risultati ottenuti sino a quel momento dalla formazione isolana. Tolse pertanto all’Alessandria, che aveva vinto, due punti così l’Asti – che con i sardi aveva invece perso – la superò in classifica.
“La Stampa” del giorno 19 febbraio 1984.
“Il Livorno era favorito dalla Federazione, inutile negarlo. Me ne resi conto proprio nello scontro diretto contro di noi al Moccagatta, quando l’arbitro ce ne fece di tutti i colori. Ad un certo punto mi alzai dalla panchina e me ne andai disgustato, dicendogli tutto quello dovevo. Pensa che io facevo il corso a Coverciano insieme a Melani, il mister di quel Livorno, e scherzando – ma non troppo -, gli dicevo sempre che gli arbitri avrebbero fatto meglio a indossare anche loro la casacca amaranto, anziché la solita nera”.
“La Stampa” del giorno 21 febbraio 1984.
“La Stampa” del giorno 22 febbraio 1984.
La semifinale di Tim Cup
Natalino, a questo punto ti chiedo se hai visto almeno alla tivù Alessandria-Milan…
“Non sono nemmeno domande da fare, perbacco! I Grigi di ‘Gregu ‘hanno tenuto testa al Milan che non è riuscito a fare prevalere il maggiore tasso tecnico. Ora c’è il ritorno a San Siro e l’Alessandria dovrà solo giocarsela sapendo che tutto quello che verrà di buono sarà oro colato. Chi dovrà evitare la brutta figura è solo il Milan”.
Natalino Fossati e l’attuale presidente dell’Alessandria Luca Di Masi.
Ma come hai letto il match dell’Olimpico?
“Parto con il dire che onestamente questo Milan vale veramente poco. I Grigi hanno tenuto bene durante tutto il primo tempo e si sono arresi solo grazie ad un rigore per un fallo che era stato preceduto da un altro fallo per l’Alessandria non fischiato. La supremazia tecnica del Milan è stata contrastata efficacemente dall’ardore agonistico e dalla dinamicità dell’Alessandria che ha ben poco da rimproverarsi, che ha avuto alcune buone opportunità e ha tenuto testa al Milan facendo una gran bella figura al cospetto di un avversario che ha costretto Mihajlovic a gridare parecchie volte dalla panchina per richiamare i suoi ad una maggiore concentrazione. L’Alessandria non ha mai mollato ed ha avuto, nel secondo tempo, qualche buona opportunità con Bocalon, uno che si vede che ha una marcia in più. Mi è piaciuto molto il centrocampo dei Grigi”.
La vicenda-Mongarli
Concludiamo con un passaggio all’indietro. Nella lunga e travagliata storia dell’Alessandria c’è stata anche la parentesi – fortunatamente breve come la vita di una falena – di Alessandro Mongarli, che avrebbe dovuto comperare la società da Giorgio Veltroni. In quei giorni accanto a Mongarli c’era proprio Fossati.
“Me lo avevano fatto conoscere e non sono certamente stato io a introdurlo in Alessandria. Mi disse che voleva portare a termine questa operazione e che mi avrebbe voluto come consulente sportivo, visti i miei trascorsi. Ad Alessandria sarei venuto di corsa, e pertanto gli dissi di sì. Rimane la triste conclusione che anche io sono stato sconfitto dalla vicenda, e più ci penso e più capisco di essere stato usato. Spero che i tifosi l’abbiano capito o lo capiscano oggi, perché io voglio bene ai Grigi e non avrei mai fatto loro un torto premeditato. Voglio girare nella mia città sempre a testa alta”.
Mario Bocchio