“Pablo era arrivato in Sicilia dopo una grande stagione al Novara e aveva una grande voglia di centrare la consacrazione nella massima serie. Il Palermo poteva comunque contare su un parco attaccanti non indifferente, aspetto che non lo ha sicuramente aiutato in quella parentesi. Lui non è comunque esente da colpe considerato che avrebbe dovuto credere maggiormente in se stesso, provando magari a giocarsi le sue carte piuttosto che cercare fortuna altrove. Per lui comunque poter contare sulla fiducia di tecnico e ambiente è fondamentale, con il suo addio al Palermo che lo ha comunque segnato, considerata la grande voglia di fare bene che lo aveva accompagnato nel suo passaggio in rosanero“. Così l’ex ala del Palermo e dell’Inter Mariano Gonzalez (nella foto sotto), aveva parlato a “calciomercato.it” della breve e fallimentare esperienza in rosa del fratello attaccante Pablo.
Per capire il nuovo acquisto dell’Alessandria, è interessante la “confessione” che aveva rilasciato a “gianlucadimarzio.com” lo scorso mese di maggio.
Mai stato geloso di tuo fratello?
“No, anzi. Al di là del fatto che è mio fratello l’ho sempre stimato tantissimo come calciatore e come uomo. Adesso magari è vicino ad appendere le scarpette, ma l’ho sempre ammirato e ho cercato di ripercorrere la sua importante carriera. Nel mio piccolo ho avuto la mia, Mariano però ha fatto molta più strada di me”.
A lanciare Pablo Gonzalez fu niente poco di meno che Diego Simeone. Primera Division argentina, stagione 2006-‘07: derby di fuoco tra Racing e Independiente. Un giovanissimo Gonzalez venne invitato dal “Cholo” ad affrettare il riscaldamento: in campo c’era bisogno di lui.
“Un’emozione molto particolare – ha raccontato “El Cartero” – Non capita a tutti di fare l’esordio nella massima serie argentina in un derby sentitissimo come Racing-Independiente. Di fronte avevamo il ‘Kun’ Aguero e fu la prima partita in panchina per Simeone. I tifosi ci tenevano tantissimo, ‘El Cilindro’ era una bolgia. Il ‘Cholo’ giocò fino alla partita precedente e già quando eravamo compagni si vedeva che aveva l’attitudine giusta. Poi quando mandarono via l’allenatore, Simeone accettò subito l’incarico. Era giovane, ma aveva già le idee chiare e una grande determinazione e si mostrò subito all’altezza dei migliori”.
Poi la Svizzera, il Locarno.
“Non mi sono mai pentito di quella scelta. Restai solo sei mesi perché in Svizzera ero solo e non mi ambientai bene. Abitudini diverse, ancora non conoscevo la lingua e c’era un calcio molto diverso da quello a cui ero abituato. Decisi allora di tornare in Argentina”.
Pur di non rinunciare al sogno, Gonzalez scese fino alla quarta categoria
“Le squadre potevano prendere pochi giocatori in quel periodo e non ci fu molta scelta. Andai nella squadra suggerita dal mio procuratore, il G. U. de Tandil, la mia città, con la consapevolezza che mi sarebbero serviti sei mesi o un anno per rimettermi in forma. I primi mesi non andarono benissimo, ma mi ripresi. Dato che non circolavano tanti soldi in squadra mi misi a dare una mano a un amico. Da lì è nato il soprannome ‘Cartero’ (il postino, n.d.r.). Perché mi chiamano anche ‘el Puci’? È un soprannome che mi ha messo mia madre quando ero piccolo, non c’è una spiegazione“.
Il gol di Gonzalez al Thun in Europa League.
La grande opportunità arriva tra Palermo e Siena, stagione 2011-‘12.
“In tanti vedono quella stagione lì come una parentesi negativa nella mia carriera. Forse io sono l’unico che invece lo considera un anno positivo. Sono riuscito a fare l’esordio in Europa con un gol, ho giocato più di 20 partite in A trovando anche la gioia della rete. Se pensavo al fatto che tre anni prima mi trovavo a fare il ‘cartero’ in Argentina mi sembrava quasi di sognare. Per me ho fatto il massimo e non so se riuscirei a fare di più”.
Il Novara club speciale?
“Mi hanno trattato benissimo fin dal primo giorno e non sono frasi di circostanza. Sono sempre stati carini, mi hanno trattato con rispetto sia a me che alla mia famiglia: per me non ha prezzo. Mi sono sempre sentito uno di loro, dalla famiglia De Salvo, agli allenatori e ai compagni fino ai tifosi. Arrivando dall’Argentina non era facile adattarsi, ma mi hanno fatto sentire subito a casa, mi hanno dato tutto. Una bellissima sorpresa che non mi aspettavo e non posso che essere grato”.
Da argentino Pablo non poteva che avere un mito in particolare.
“Il mio idolo assoluto è Maradona. Ho avuto la fortuna di vederlo giocare e penso che quello che ha fatto per il Napoli, per l’Argentina e per tutti i club in cui ha giocato non possa farlo nessun altro. In questo momento, invece, l’argentino migliore è senza dubbio Messi, il giocatore più forte del mondo. Cristiano Ronaldo è un fuoriclasse, ma secondo me gli manca ancora qualcosa per arrivare al livello di Lionel. Tra Maradona e Messi? Maradona, senza dubbio. Decideva le partite da solo, rimarrà per sempre il più forte di tutti”.
Segui anche altri sport?
“Quando sono in vacanza mi piace giocare a Padel, uno sport simile al tennis, molto diffuso in Spagna. In tv, poi, mi piacciono tutti gli sport. Tennis, basket, rugby. Non li ho mai praticati, però li apprezzo molto”.
Ci spieghi le tue esultanze?
“Ne ho due. Quella che facevo fine a poche stagioni fa era un’imitazione di un cantante argentino che piaceva molto a mia moglie, Indio Solari. Adesso ho tatuato il nome di mio figlio nel braccio e un piccolo pensiero per mia moglie. Quindi ora punto a mettere in mostra questo tatuaggio che rappresenta tanto per me”.
Mario Bocchio
– continua –
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