I tifosi più anziani si ricorderanno sicuramente di Carlo Tagnin, alessandrino classe 1932, giocatore non appariscente, ma di grande utilità per le squadre dove ha giocato.
Mezzi tecnici discreti, ma non eccezionali, il suo lavoro consisteva nel mettere garretti e polmoni al servizio degli interni, sopperendo alle lacune in tal senso di chi era più portato alla costruzione del gioco.
Diventò famoso solo quando, oramai trentenne, fu ingaggiato dalla Grande Inter di Helenio Herrera che lo utilizzava sempre nella marcatura della mezzala più importante della squadra avversaria.
Faticatore di centrocampo disposto a coprire le spalle a Luisito Suarez e Mario Corso, lasciò il segno per la memorabile prestazione al Prater di Vienna, quando il 27 maggio 1964, in occasione della finale di Coppa dei Campioni, annullò dal campo Alfredo Stéfano.
Aveva cominciato nell’Alessandria per poi passare al Torino con il quale esordì in Serie A nel corso della stagione 1953-‘54. Nel corso degli anni Cinquanta vestì le maglie del Monza (allora si chiamava Simmenthal, dall’industria di carne in scatola del presidente Gino Sada, ancora Alessandria e Lazio. Nella stagione 1959-‘60 approdò al Bari, dove rimase coinvolto in una brutta vicenda di partite truccate e fu squalificato per due anni e mezzo, poi ridotti a un anno. Quindi l’Inter con i successi planetari e ancora l’Alessandria.
Tagnin scomparve nel 2000, a 67 anni, ucciso da un osteosarcoma. Il calcio ci ha regalato la bella storia del campione dei cinque successi europei consecutivi del Real Madrid, celebre in Spagna come la saeta rubia, e del gregario, Tagnin Carlo da Valle San Bartolomeo, Alessandria. Mediano, nel senso più bello e plebeo del termine, quasi un Oriali ante litteram.
Uno troppo normale per avere un soprannome. “Ti seguirei fino al bagno”. Nelle parole di Tagnin c’era una nota implicita di ammirazione. Tagnin voleva dire “non ti mollo mai, perché so quanto tu sia pericoloso”. Ma la sua frase suona ancora oggi quasi come una professione di fede, una dichiarazione di dedizione assoluta da discepolo a profeta: “con te andrei ovunque, portami dove vuoi”. E per una sera il discepolo superò il maestro.
Mario Bocchio