Fa freddo, tanto. Il bianco della neve, ammucchiata attorno al campo, spicca nel grigio del cielo, plumbeo, avvisaglia di altri fiocchi che pare possano cadere da un momento all’altro. Un arcobaleno di colori, in quello scenario appoggiato su un terreno dove fango e acqua sono un combinato. Tempo da Alessandria, campo da Alessandria: i più vecchi ricordano il pulé, agli Orti, dove i Grigi spennavano gli avversari e la gente, su quelle tribune in legno, batteva così forte i piedi che, oltre a restare impantanati, i rivali erano pure storditi.
Gianni, al campo degli Orti, non è mai entrato: è nato quando già il tempio era il Moccagatta, ma di racconti ne ha ascoltati tanti e l’immagine di un pantano su cui la sua squadra danzava, e segnava, come se fosse sul palco di un teatro lo ha sempre affascinato.
Quante volte ha guardato il cielo, in quella vigilia del 19 gennaio 1947: papà Giuseppe gli ha fatto il regalo più grande per un ragazzino di quasi 15 anni innamorato del pallone, che gioca con gli amici in strada e all’oratorio, con un sogno, vedere la sua Alessandria sfidare il Torino, il Grande Torino di Maroso, che nel 1944 aveva vestito il grigio. Virgilio Maroso, un terzino straordinario: anche Gianni gioca in difesa, ma vuoi mettere la classe di quell’esterno sinistro che ha inventato un modo nuovo di difendere: attaccare. Potrà vedere Maroso dal vivo, e Valentino Mazzola, e Loik, Ossola, Gabetto. Neve, per cortesia, risparmiati per i giorni della merla: al Moccagatta arriva il Toro, che sta già scrivendo la storia del calcio, italiano e mondiale, con quel granata addosso che è il colore del sangue, della passione.
Il biglietto stretto in mano già dal mattino, “così non lo dimentico. Anzi, meglio che lo tenga mio papà nel portafoglio. È più al sicuro: mica posso arrivare davanti ai cancelli e scoprire di averlo perso? Quel pezzo di carta vale come oro”.
Per Gianni, per altre ventimila persone. C’è anche lo zio, con papà. “Me lo sono chiesto per anni e ancora non ho capito come ci siamo finiti, in quello spicchio di Moccagatta, dove i piedi sfioravano appena i gradoni e ci tenevamo su uno con l’altro. Quasi volando”.Volano anche i Grigi, un blocco di energie, una volontà sola, undici scatenati su quel fondo slittante, dove il fango ha la sua residenza invernale, e questa volta si è preso davvero tutti i centimetri. Ne ha concessi solo pochi alle pozzanghere di neve sciolta, e stare in piedi è una impresa, figuratevi giocare, e fermare il Toro, e segnare.
Gianni è conquistato da un ragazzo che ha solo quattro anni più di lui e già gioca in serie A, Ginetto Armano. Il calcio li avvicinerà, diventeranno amici, ma quel 19 gennaio nessuno dei due ancora lo sa. Gianni è pronto a sgolarsi, Ginetto a giocare. Più facile per il primo, e a tifare ci si scalda anche, più difficile per Armano. Anche lui, però, capisce che la melma unica del Moccagatta è un alleato prezioso, e poco importa se, il giorno dopo, qualcuno sosterrà che il campo era stato innaffiato prima. Tutte bugie: il Moccagatta è così, al naturale . . .
I campioni del Toro fanno fatica anche solo a stare in equilibrio, di granata addosso ne hanno sempre meno, il fango prende possesso di tutta la maglia e dei pantaloncini, non parliamo delle scarpe, che hanno una pesante zavorra. Vale anche per i padroni di casa, ma per Pietruzzi, Coscia Stradella, Pietrasanta, Rava è la regola e non c’è da preoccuparsi tanto di stoppare il pallone, ci pensa, spesso, quel mix di terra e acqua, provvidenziale a condizione di saperlo sfruttare bene. Meglio anche dei campioni quel giorno. Gianni è rapito, incredibile quante azioni, e quanti che, nella foga, finiscono dentro la neve. Ci prova, l’Alessandria, a segnare, la punizione di Tortarolo che Coscia gira di testa, ma fallisce il bersaglio. Poi il lancio di Bertoni II, Piani, tra i pali dl Toro, non trattiene, ma ancora Coscia non riesce a intercettare come vorrebbe. E gli ospiti? La risposta è una manovra tutta di prima, Ossola, finta di Gabetto e tiro di Mazzola, e tocca a Bodoira opporsi, non senza qualche difficoltà, perché tuffarsi non è facile, si scivola e la sfera pure. Ci prova anche Ginetto, calcia di punta, e il pallone s’impenna.
Gianni sente che il momento dei Grigi sta per arrivare, lo dice al papà e allo zio e quel signore con cui condivide pochi centimetri. Lo guardano tutti con l’espressione di chi prova a crederci, ma non è tanto convinto. E, invece, il ragazzo ha visto giusto: c’è una mischia sulla punizione di Rava, batti e ribatti nel pantano dell’area piccola, Bertoni raccoglie e manda nell’angolino dove Piani non può arrivare. “Papà, hai visto: avevo ragione. Vinciamo noi”.
Maroso, il suo idolo, che nel campionato del ’44, in tempo di guerra, era stato prestato all’Alessandria, per poco non gli rovina la festa. Incredibile la parata di Bodoira, il nuovo eroe del Moccagatta: doppia, sul tiro del terzino e poi sulla ribattuta. Che brivido (e non per colpa della temperatura sotto zero). E che gioia quando Stradella raddoppia, merito anche della finta di Coscia che inganna il portiere. Palla a fil di palo, è come se sul Moccagatta splendesse il sole. Su questi Grigi che a Gianni sembrano proprio irresistibili. Hanno cuore, combattività ed entusiasmo, il dna di chi fa della lotta, dell’appartenenza, dell’orgoglio i fondamenti di una identità che va oltre le categorie.
Passa quasi un’ora prima che quell’ondata di gente lasci lo stadio per fare festa nelle strade di una città ancora con i segni della guerra. Gianni resta per qualche minuto da solo sui gradoni, a guardare la neve, il fango, le pozzanghere, a emozionarsi ancora dentro il Moccagatta. A decidere, quel 19 gennaio 1947, che il calcio sarebbe stato la sua vita. Merito dell’Alessandria, del Toro, anche del fango, che può macchiare la maglia e ovattare i colori, ma esalta e accende l’anima.
Ps: dedicato a mio papà, Gianni, che, ogni volta, si commuoveva ricordando Alessandria – Torino 2-0, 19 gennaio 1947.
Mimma Caligaris