Se lo potesse leggere commenterebbe: “Uà di… à son propï me!”. Ha avuto l’onore ed il piacere di vestire quasi tutti i calciatori alessandrini dei favolosi anni 20: Oreste Mantelli, mio nonno materno. Nacque nel 1908 in un giorno particolarmente beneaugurante, il primo di gennaio, ma alla tenera età di tre anni rimase privo di entrambi i genitori: essendo il più piccolo della nidiata, entrò nell’orfanotrofio San Giuseppe, che occupava l’isolato compreso tra via Lumelli, spalto Borgoglio e piazzetta Bini, e di questa esperienza mantenne solo alcuni ricordi che rimasero, però, indelebili e nitidi per tutta l’esistenza. Il suo carattere ribelle non gli permise di avere un buon rapporto con le severe suore con le quali aveva quotidianamente a che fare. Raccontava di essere stato molto bravo con il cerchio e nella ginnastica.
Gli restò quell’abitudine a tenere in tasca pezzi di pane e grissini (da consumare di continuo per lenire quel suo costante appetito) probabilmente assimilata negli anni in cui era apprendista alla sartoria “Carìa” (come la pronunciava letteralmente), posta sotto i portici all’angolo tra corso Roma e piazza Garibaldi: la strada del ritorno verso l’educatorio si allungava fino a via Dante al numero civico 14 dove la sorella Teresa abitava con il marito, il famoso calciatore grigio Armando Lauro, dove trovava sempre una “rosetta” di pane da sbocconcellare strada facendo.Intanto era esplosa la passione per il fùbbal (fùsbal secondo la sua dizione) nel quale trovò una efficace valvola di sfogo per la sua esuberante vitalità. Molte volte raccontò di come fu scoperto dai talent-scout dell’Alessandria, in Piazza d’Armi, tra centinaia di altri ragazzini; era un grintoso brevilineo dal gioco duro e maschio e compensava con il carattere la ridotta statura: come sovente ricordava, “…aj’era cìt ma a picàva!”. La nonna ci raccontò più volte che era talmente difficile da contrastare in campo che lo dovettero aspettare all’uscita in quattro per potergli spaccare il naso. Entrò a far parte dei “boys” grigi, poi passò nella categoria superiore a disputare il campionato “riserve” ma davanti a lui, in prima squadra, c’era un certo Gandini…
Venne ceduto a Napoli ma la sua avventura partenopea durò, a dir tanto, un mese: quella città non era Alessandria e, soprattutto, gli venne imposto l’ultimatum di Clelia Camagna, sua promessa sposa; messo alle strette, non ebbe altra soluzione che tornare a casa. Con il validissimo supporto della nonna Clelia, silenzioso “amministratore delegato” della sartoria Mantelli, divenne celebre in centro città, dove abitò, prima in via Vochieri poi in corso Roma, come eccellente artigiano ed ancor più per i coloriti monologhi a sfondo politico o calcistico nei quali si esibiva quotidianamente in piazzetta della Lega, salotto cittadino e suo secondo recapito. Famosi restano i gustosi siparietti con l’inseparabile Cresta, dialoghi che il signor Umberto Cattaneo (primogenito del famoso Renato) con l’amico Gino, ottimo imitatore, hanno realisticamente rievocato, mimandone la caratteristica postura lievemente china.
Lo ricordano bene, ovviamente, i nostri cugini Lauro (“il re della piazzetta, un vero personaggio” dice Emilio) ma anche Elio Marchina, e, più di tutti, il calciatore dell’Alessandria Mario Autelli che nientemeno mi ha mostrò una foto che li ritrae insieme, davanti al Bar Moderno; mi piace pensare che, insieme ai cappelli di Borsalino, i Grigi abbiano esibito in tutta Italia ed anche all’estero i suoi abiti, un ormai raro prodotto made in Lisòndria. Il celeberrimo editore Ugo Boccassi lo ricorda come uno tra i personaggi più caratteristici e tipici della piazzetta e conserva, nel suo immenso archivio della storia alessandrina, una sua caricatura. Ciò che mi rimarrà teneramente impresso di lui sarà quel ruzzolone conclusivo della rincorsa ad un’irriverente palla che proprio non ne voleva sapere di essere raggiunta da questo anziano con la “vesta nova”; un minuto prima, però, aveva ammutolito noi nipoti con tre tiri a parabola perfettamente identici per traiettoria e destinazione di rara perizia balistica Il risultato di quel volo fu disastroso, fortunatamente solo per il vestito nuovo; la nonna Clelia non la prese altrettanto bene…
A noi quattro nipoti rimangono i suoi racconti del suo tempo, ormai lontano, dai quali ho assorbito involontariamente la passione per quel calcio d’epoca, fatto di penalties, off-side (opsaid come diceva lui), corner, centromediòn, tersèn, centr’half, centravònt, trainer ma soprattutto il suo idolo, il favoloso Baloncieri, del quale raccontò sempre le gesta con religioso rispetto ed ossequiosa ammirazione. Se n’è andato nell’estate del 1997, tre anni dopo la nonna Clelia. Gli ultimi anni sono stati turbolenti per via della sua malattia e questo mi amareggia troppo. Mi pare giusto sottolineare che se siamo stati in grado di realizzare il libro dei 90 anni è soprattutto merito suo perché queste erano le favole che sapeva raccontare. Ho voluto ritagliargli un minuscolo posticino in questa vetrina: gli sarebbe piaciuto poter essere collocato insieme a coloro che furono per lui amici e campioni; di più gli sarebbe piaciuto poterlo leggere di persona ma, purtroppo, non ho fatto in tempo.
Alberto Ravetti