Mi è stato chiesto espressamente, qualora debba scrivere riguardo a tutto ciò che ruota intorno al presidente Luca Di Masi, di farlo a titolo personale, perché Museo Grigio non vuole suscitare il nervosismo della tifoseria. Allora sono ben contento di scrivere a titolo personale per dissociarmi dai toni che la protesta sta elevando sempre più al punto di produrre come punta dell’iceberg, anche un manifesto di cattivissimo gusto, all’insegna della necrofilia , che offende la fierezza dell’Orso Grigio e che non aiuta sicuramente la squadra alla vigilia di una gara molto importante per la conquista della salvezza.
Ognuno di noi ha il diritto di protestare, dopo aver appurato la reale entità delle verità e non solo per sentito dire o per non verità strumentalizzate dalla malafede. Ognuno di noi ha il diritto di ritenere una persona simpatica oppure antipatica. Ma i toni del dissenso non devono mai sconfinare nell’insulto, sinora passato sotto silenzio anche da parte dei colleghi giornalisti, inasprito da una strategia che arriva addirittura a colpire mogli e figli minorenni con aberranti ricostruzioni del ménage familiare. Oppure, per screditare la persona spingersi pure a deriderne il fisico come le orecchie a sventola, strategia che in passato venne purtroppo adottata da infausti partiti per schernire gli avversari politici. Il passo successivo fu la dittatura. Ebbene, io non accetto più la dittatura in uno stadio dove, anche davanti a realtà incontrovertibili, ti dicono che per esserci devi per forza – anzi sei obbligato – a insultare il presidente Di Masi. No, io in questo stadio non ci metterò più piede, io di questa squadra non scriverò più una sola riga. So che è un paradosso, ma tanto amo i Grigi tanto oggi arrivo ad essere disinnamorato. Potrei discutere su tantissimi fatti che non corrispondono a cosa realmente successo, perché la mia deontologia professionale mi ha spinto a indagare i fatti per come si sono svolti, ma non ho più voglia. Non scriverò più una sola riga perché non accetto che non si possa nemmeno più pubblicare liberamente nomi di giocatori scritti nelle liste di proscrizione della curva, solo perché hanno avuto la colpa di non sapersela ruffianare. Eppure erano e sono uomini “verticali” prima che giocatori. Eppure di loro non si può nemmeno fare cenno, figurarsi citarli: si scatena il diluvio da tastiera.
Alessandria non cambia mai: c’erano quelli che andavano a tirare le pietre nelle finestre del presidente Remo Sacco, quelli che auguravano di morire a Bruno Cavallo alla vigilia dell’operazione chirurgica al cuore, quelli che fecero andare via i fratelli Calleri, quelli che insultarono Gino Amisano ed anche quelli che ancora oggi recriminano con Gianni Bianchi. Dal 1912 ad oggi l’Alessandria ne ha viste di cotte e di crude, compresi presidenti che hanno spolpato le casse sino a vendersi i cimeli della sede. Oggi lamentarsi di gamba sana fa alquanto specie.
Non sto nemmeno ad elencare le colpe che anche Di Masi ha avuto e ha. Non mi va più. Io mi sarei aspettato, soprattutto in questo momento delicato dal punto di vista tecnico con ogni partita che è come una finale da vincere assolutamente per raggiungere al più presto la salvezza, un grande atto di responsabilità nel placare ogni polemica per dedicarsi solo ad un massiccio sostegno ai ragazzi in campo. Mi sarei aspettato manifesti di sostegno alla squadra, di invito alla gente a recarsi allo stadio per non far sentire soli i giocatori, non strumenti per amplificare ed esasperare il dissenso. Mi aspetterei di rivedere allo stadio il presidente.
Essere tifosi è una cosa seria, essere giornalisti altrettanto. Entrambi i ruoli dovrebbero rifiutare l’intolleranza, in una parola, la faziosità, soprattutto quella più turpe. Ecco perché io non voglio più far parte del gioco, perché non accetto più l’alternativa: fai parte dei “beati” se con le pagine di Museo Grigio fiancheggi il contumelioso attacco a Di Masi, dici solo cazzate se ad esempio ricordi che sono dieci anni di sua presidenza.
Adesso mi si mescola tutto nella testa e corro il rischio di arrivare a non capire più se la vita fa schifo perché il Roccopizzopapero di Torino fa realmente schifo.
Sentimento che ha meritato e meriterebbe pagine e pagine, ma qui voglio solo parlare della mia delusione e della scelta di farmi da parte.
E penso a quelli che sono arrivati addirittura a dire che a questo punto sarebbe meglio ritornare ad andare in massa a Castellazzo, Canelli o Cerano piuttosto che continuare ad avere questo presidente, ma credetemi, e lo sapete, non è la stessa cosa. È come la pizza bianca rispetto alla pizza bianca con la mortazza… E dai!!!
Sono stufo di uno stadio dove si sentono solo più chiacchiere da bar, da aperitivo, da pub, anche da ristorante ogni tanto. Sono stufo di colleghi giornalisti di altre realtà italiane che vogliono sapere, anche con una certa dose di interesse:
– Ma anche Museo Grigio chiede che Di Masi debba andarsene?
– Io rispondo che io penso solo a scrivere quello che vedo e interpreto con il mio intelletto di uomo libero.
Ecco allora che mi sento di sostenere che tifare Grigi in questo specifico momento è un’altra cosa da quello che sta accadendo… decisamente più ampia, profonda ed emozionante.
Se il Roccopizzopapero perderà, pazienza, dormirete lo stesso il sonno dei giusti, non penserete che il destino si sia ritorto contro di noi tutti né che la vita sia uno schifo, cercherete un piano D per godervi il campionato quando ricomincerà su improponibili campi di periferia. Poi ritornerete a riempire di insulti un altro presidente e tutti quelli che la pensano in un altro modo. È la giostra che gira. Ma è sempre la stessa giostra. In una città che muore sempre più nella mediocrità di un stupido provincialismo.
Mario Bocchio