“Combi; Monzeglio, Allemandi; Ferraris IV, Monti, Bertolini; Guaita, Meazza, Schiavio, Ferrari, Orsi… Campioni del mondo!”, risuonava retorica e metallica dal microfono della radiocronaca dell’Eiar la voce di Nicolò Carosio, che entrava nelle case dai 250mila apparecchi a disposizione dei 44 milioni di italiani di allora, scandendo i nomi degli “undici eroi” azzurri. Il 10 giugno 1934 furono loro, i ragazzi del commissario tecnico Vittorio Pozzo, ad alzare al cielo la Coppa Rimet, la statuetta d’argento di 2.200 grammi (opera dell’orafo parigino Abel Lafleur) simbolo di gloria per i campioni del mondo del calcio.
Indubbiamente il giocatore più grande che abbia mai vestito la maglia grigia (non ce ne voglia male Gianni Rivera) è stato Giovanni Ferrari, detto Gioanin o se preferite Giovannin. Esordì in Serie A (o Prima divisione come si chiamava allora) quando non aveva ancora 16 anni, nella stagione 1923-‘24, nell’Alessandria allenata dall’ungherese Béla Révézs. Dal campionato 1926-’27 e sino al giugno 1930 giocò per l’Alessandria di Carcano. L’ultima partita in grigio di Giovannin fu a Udine il primo giugno di quell’anno, contro la Triestina. L’anno seguente emigrò a Torino chiamato nella Juventus sempre con Carcano allenatore. Il grande club di Edoardo Agnelli, padre di Gianni, ma diretto dal barone Giovanni Mazzonis che, fra gli altri, poteva schierare il divo Mumo Orsi per un premio di 100 mila lire, una Fiat 509 e 8 mila lire mensili di stipendio, e Renato Cesarini, nato a Senigallia però emigrato a Buenos Aires da bambino. I
l bizzarro, allegro, mattacchione Cesarini era una magnifica mezz’ala destra capace di tutto e, con l’austero Ferrari, formò una straordinaria coppia in bianconero come nella Nazionale. Renato l’impenitente, ascoltava i consigli di Giovanni e la Juventus vinse cinque scudetti consecutivi. Nel campionato 1935-‘36 Giovanni Ferrari emigrò a Milano, sponda nerazzurra, chiamato dal presidente Pozzani, il popolare “Generale Po”. Giocando a fianco di Meazza, Ferraris II°, Frossi, Attilio Demaria, Ferrara I° e Ferrara II°, Giovannin si aggiudicò altri due scudetti con il suo gioco infaticabile, altruista, tecnico, potente e i suoi tanti goal: 32 nell’Ambrosiana in 5 stagioni come ne aveva fatti 67 nella Juventus. Scaricato a Bologna, come giocatore alla fine della carriera Ferrari andò a raccogliere l’ottavo scudetto nel 1940-‘41 in tempo di guerra. Vittorio Pozzo, giornalista e commissario unico degli Azzurri due volte campioni del mondo e campioni olimpici, selezionò per la prima volta Giovanni Ferrari il 9 febbraio 1930 a Roma contro la Svizzera superata 4-2.
Nella Coppa del Mondo 1934 Giovanni Ferrari formò uno straordinario attacco con Guaita, Meazza, Schiavio e Orsi all’ala sinistra invece, a Parigi nel 1938, i suoi compagni di prima linea furono Biavati, ancora Meazza, Piola e Colaussi. Giovanni Ferrari ha confessato: “Ho battuto Zamora nel Mondiale del 1934 a Firenze, però la maggiore soddisfazione la provai l’anno precedente, a Roma, contro gli inglesi. Erano i maestri. Con un lungo tiro ingannai il portiere Hibbs; peccato che, poco dopo, Bastin abbia ottenuto il pareggio che, tuttavia, ci fece onore”. È poco noto il modo con il quale Gioanin fece il suo ingresso nel mondo della palla rotonda. Quando aveva quattordici anni, afferrò al volo qualche frase pronunciata da gente che conosceva il calcio, gente che aveva constatato con quale arte il giovane Ferrari sapeva trattare la palla.
Era un timido ma un pomeriggio, insieme agli amici, stava giocando a palla per le strade di Alessandria quando, urtato da un compagno, cadde a terra e andò a sbattere il mento contro una delle rotaie del tram a vapore che faceva servizio per Spinetta Marengo. Si procurò una lussazione mascellare e una larga ferita al mento. L’incidente, oltre a renderlo inabile al gioco, lo aveva anche liberato dagli impegni di bottega (era aiuto commesso in un negozio di tessuti). Appena le sue condizioni migliorarono, sebbene ancora incerottato, un giorno se ne andò insieme a un amico al campo dei Grigi che dovevano sostenere un allenamento.
Giunto con largo anticipo sull’orario fissato per l’allenamento stesso, si mise a palleggiare (lui in borghese) senza sapere di essere attentamente osservato dall’allenatore Carcano: la sera stessa firmava il cartellino che lo legava all’Alessandria. Disputò il suo primo campionato di Serie A e venne addirittura convocato in Nazionale. Ferrari è stato il continuatore dello stile, della tecnica e dell’idea di gioco del formidabile Adolfo Baloncieri. Era un giocatore che costruiva la partita un’azione sull’altra, come le pietre di un edificio, le imbeccate pronte per tutti, gli occhi attenti a misurare l’ostacolo e a valutare una situazione tattica, un uomo metodico che sembrava possedere un misterioso senso del ritmo. Gioanin Ferrari, giudicato a posteriori, è stato la migliore mezzala sinistra europea.
Mario Bocchio