La saga dell’Ascoli di Costantino Rozzi

giovedì, 17 Febbraio 2022

L’Ascoli 1979-80, quarto in Serie A

Il pensiero è quasi immediato. Ascoli e Rozzi, Costantino Rozzi. 26 stagioni a guidare i Bianconeri, a essere simbolo di una città che è emersa con coraggio e ambizione. Dalla Serie C, fino alla Serie A. E da protagonista, negli anni ruggenti del calcio italiano a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta. In totale: una promozione in serie B, quattro in serie A, una Mitropa Cup, il Torneo di Capodanno, una competizione internazionale in Canada, quarto e sesto posto nel massimo campionato.

Rozzi e Carletto Mazzone

L’Europa a un passo, ma mai raggiunta. La svolta avvenne quando questo geometra specializzato nel costruire gli stadi, prese come allenatore Carletto Mazzone: in soli quattro anni l’Ascoli riuscì nel doppio salto trovando, per la prima volta nella sua storia, la serie B (1971-‘72) e la serie A (1973-‘74). “Bisogna riconoscere le proprie capacità e i propri limiti per riuscire nella vita”: era una frase che Rozzi amava citare e in cui si riconosceva perfettamente. Gli anni Ottanta catapultarono definitivamente l’Ascoli nel gotha del calcio italiano. anche grazie al fiuto per certi affari, rivelatisi geniali.

Ancora Rozzi con Vujadin Boškov

Come quando Rozzi riuscì a ingaggiare dalla Juventus Pietro Anastasi e Liam Brady, considerati nella fase discendente della loro carriera. O quando portò in bianconero attaccanti del calibro di Bruno Giordano, Walter Casagrande e Oliver Bierhoff.  Costantino Rozzi amava Ascoli. E Ascoli contraccambiava, conscia di non poter desiderare un presidente più appassionato e competente. Pane al pane, vino al vino. Lui era un personaggio istrionico e ruspante, che non le mandava a dire. In un’epoca in cui il calcio veniva vissuto sicuramente in maniera più leggera rispetto a oggi, Rozzi personificava l’ideale del patron di provincia.

Rozzi e i tradizionali calzini

Le frasi a effetto si mescolavano ad alcuni riti scaramantici, su tutti i famosi calzini rossi che non mancava mai di indossare quando andava allo stadio, per cavalcare una semplice sedia sotto la curva del tifo bianconero.

Mario Bocchio

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