Ricordati. Niente è verità. Ti diranno che devi credere a falsi profeti e promesse. Ti diranno che sono diversi. Ma non credergli.
Non credere alla filosofia dei ciarlatani, alla vita degli urlatori che dicono di aver sempre ragione. Fuggi lasciando scorie polverose dietro di te. Credi solo a ciò che vedi. Quelle sono verità.
Prendi il calcio. Una palude fangosa di mediocrità, ormai è appiattimento cerebrale. Eppure se guardi bene, esiste ancora chi osa sfidare la corrente. Per talento forse. Ma anche per giusta arroganza e convinzione di essere un semidio con una sfera tra i piedi che un tempo era cuoio. Cristiano Ronaldo.
Ma ci sono anche le sublimità di chi Cristiano Ronaldo non è. Guardalo, con la sua fiera faccia da antico capo Apache. Come Cochise. Guardalo, lui è Felice Piccolo. Gioca in Serie C nell’Alessandria.
Guardalo nella partita dello scorso campionato contro il Tuttocuoio. Davanti a noi un quarto di secondo di verità. Perché la verità dura poco, se ne frega che tu sia umile o primo tra gli arroganti. La verità è gesto. O lo sai fare o non lo sai fare.
E la verità, in quella partita è tutta qui. In questo gesto. Una sforbiciata, una cilena, come si dice in gergo. Fatta la prima volta nel 1914 da Ramon Unzaga. Anche allora, il genio si concesse agli umani. Anche lui ringraziando per l’applauso di uno stadio però semivuoto – il “Mannucci” di Pontedera – non strabocchevole palcoscenico mondiale come l’Allianz Stadium di Torino.
Con Piccolo abbiamo assistito a una delle cose più belle viste nel calcio. E non importa più il colore della maglia. La categoria.
Mario Bocchio
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