“Aveva la palla Sacco, a lato della nostra area di rigore. Mi fece un passaggio in profondità. Sono caduto a terra, ma riuscii a riprendere velocità. Mi affrontò a metà campo Barbiero, lo feci secco e andai in porta. E feci un gran gol”. Sono passati quarantasei anni da quel drammatico spareggio per rimanere in serie B. Alessandria-Reggiana, quella partita di quel lontano torrido pomeriggio a San Siro, la Scala del calcio italiano prestata per un giorno ai cadetti. Ne parlammo nel 2017 nella nostra trasmissione “L’Orso in diretta”.
Sileno Passalacqua avrà in mente per sempre quello che accadde all’83’, quando fissò il risultato sul definitivo 2-1.
“Un gol che ha cambiato la mia carriera. Dovevo andare al Genoa. Avevo già una trattativa in corso. Mi chiesero tutti di rimanere, soprattutto i tifosi. E rimasi. L’anno dopo siamo retrocessi”. Incalzano le domande di Marcello Marcellini, che allora commentò in diretta la gara.
Una in particolare è servita per rendere giustizia al capitano e difensore grigio Valeriano Barbiero, già scomparso, che giocò quella partita da ex, e che pertanto venne accusato di essere stato troppo arrendevole nei confronti di Passalacqua, quasi che lo avesse voluto favorire.
“Non è assolutamente vero, è una cattiveria gratuita. Lui fece solo quello che poteva fare in quel momento, mi affrontò, ma io ebbi la meglio”.
Dopo quella rete, Passalacqua divenne un autentico idolo, tanto che ancora oggi viene ricordato con affetto e ammirazione. Gli hanno anche dedicato un murales.
“Una grande soddisfazione, che mi emoziona ancora, ma alla Reggiana ho fatto anche molto altro. Sono rimasto otto stagioni, di cui sei in B e due in C. Sono molto contento di essere ancora ricordato”.
Le sue qualità di ala molto dinamica le avrebbero consentito di giocare anche nel calcio più veloce di oggi.
“Sì, ero veloce, ma anche un dribblomane. Per questo il pubblico di Reggio alle volte mi beccava, perché tenevo sempre la palla. Oppure qualcuno pensava facessi un po’ il boss, scegliessi io la squadra…”.
Il suo carattere non è mai stato facile però.
“Avevo la lingua lunga, non le mandavo a dire. E spesso ho discusso con presidenti e allenatori. Sono fatto così”.
Dopo lo spareggio la sua storia ha incrociato ancora quella dell’Alessandria.
“E quelli sono ricordi brutti. Nel 1981 passai dal Perugia, in serie A, all’Alessandria. Ma giocai solo sei partite, segnai un solo gol e poi andai via. Discutevo con l’allenatore Ballacci, avevo sempre in mente la partita di San Siro. Un impatto tremendo”.
“La mia povera mamma, mi fece una maglia di lana tutta bianca con i polsini neri. Non pensai a farla vedere ai miei amici, anzi, il mio primo pensiero vedendola fu: questa è la maglia di Anzolin. Quando iniziai a fare il portiere, a casa in quegli anni il pallone era un lusso, mi arrangiavo con una palla di gomma. Il pomeriggio la facevo rimbalzare sul muro e mi gettavo a terra come se fossi su un campo di calcio. E quando la riprendevo, mi sentivo come Anzolin e dicevo: ‘parata di Anzolin’, come se fossi un cronista. Era il nostro divertimento e passavo delle ore a fare questi gesti”.
Anche Maurizio Memo, classico portiere da figurina introvabile, fu tra i protagonisti di quello spareggio.
“Era l’ultimo giorno di mercato, anzi l’ultima ora, mi chiamò Scagnellato che allora faceva il segretario del Padova e mi disse che mi avevano dato alla Reggiana. Mi disse che aveva telefonato a Pietro Grevi, suo amico, caldeggiando il mio acquisto. Quest’ultimo mi prese, come si suol dire in questi casi, a scatola chiusa. Dovevo andare a Reggio Emilia a fare il secondo a Bartolini perché Boranga era andato al Cesena. Io andai con la mia umiltà di fare la riserva, gratificato dal fatto che la Reggiana era un club di serie B e aveva una buona tradizione. Invece, dopo quattro-cinque partite, divenni il portiere titolare. E c’era Tito Corsi come allenatore che mi fece debuttare in B, giocando tutto il campionato, salvandoci proprio in quello spareggio”.
Marcellini gli ricorda che il pareggio dei Grigi ad opera del povero Dalle Vedove fu anche una sua mezza “papera”. Memo ride.
“È proprio vero. Allora vi racconto un particolare che ha fatto entrare questa partita nella storia della mia famiglia. La domenica dopo mi sarei dovuto sposare, era già tutto pronto. Scesi in campo a San Siro con un tremendo mal di schiena e quando l’Alessandria segnò fui attraversato come da un brivido di paura. Se avessimo pareggiato, visto il regolamento di allora, la partita sarebbe stata rigiocata proprio il giorno del mio matrimonio. Che cosa sarebbe successo? Rinunciare alla sfida o rimandare le nozze? Passalacqua mi ha fatto il regalo più bello, alla fine lo baciai e abbracciai più volte. Sul momento lui non capì e mi guardò in maniera strana”.
Alessandria e Reggiana arrivarono allo spareggio dopo un rocambolesco finale di campionato. I Grigi in casa contro la Sambenedettese, i granata contro il Foggia.
Ancora una risata di Memo: “Dopo lo spareggio venni ceduto proprio al Foggia, dove ho contribuito alla storica promozione in A”.
Memo dunque, portiere come detto da figurina. Indimenticabili quelle con il Bologna e l’Atalanta.
Attilio Maldera e Sergio Baisi raccontano quella drammatica stagione dal punto di vista dei Grigi. Maldera è un cognome pesante nella storia del calcio italiano: tre fratelli, tre storie diverse, tre pezzi di stoffa pregiata per cucire quelle bandiere che purtroppo oggi non ce ne sono più di quella foggia.
“Giocavo anche con le caviglie gonfie, una volta addirittura con la tibia scassata e fasciata stretta stretta quasi da bloccare la circolazione del sangue” ricorda Attilio, ovvero Maldera II.
“Complici gli infortuni di Baisi e Reja, finimmo per entrare in apnea. Ma alla fine sembravamo potercela fare, soprattutto quando venne chiamato Mister Giorcelli. Battemmo il Genoa e all’ultima giornata ci giocammo le possibilità di salvezza contro la Sambenedettese, guardando a distanza il match della Reggiana contro il Foggia. La differenza reti era leggermente favorevole a noi, per cui un successo con il medesimo scarto di Grigi ed emiliani sulle rivali di turno avrebbe garantito all’Alessandria la permanenza in B”.
Il racconto passa a Baisi: “Invece la Reggiana ne segnò tre al Foggia, e noi solo due ai già salvi marchigiani: al novantesimo una gran palla fu sui piedi di Volpato che, ricevuto il pallone da destra, mirò l’angolino. Il portiere sembrava battuto, ma purtroppo la sfera uscì a fil di palo fra la disperazione dei tifosi. Si andò dunque all’inevitabile spareggio, ma noi eravamo una squadra forte, che non avrebbe dovuto retrocedere. Falcidiati dagli infortuni, dalle troppe assenze – anche a San Siro contro la Reggiana – in pratica ci complicammo da soli la vita”.
“Ci trovammo senza volerlo a dover disputare uno spareggio che solo un mese prima sarebbe stato impensabile – conclude Maldera –, proprio come questa Alessandria, che si è ritrovata ai playoff in maniera assurda, dopo che ha illuso tutti di poter dominare in scioltezza il campionato”.
Mario Bocchio