Teodoro Rino Lorenzo con la maglia grigia dell’Alessandria.
L’auto è invasa dalla musica, il dj mette in onda Storie di tutti i giorni di Riccardo Fogli. Dopo l’incontro, mentre ritorno ad Alessandria, mi metto a riflettere sulle parole e scopro che hanno una sorprendente analogia con la vicenda che vi stiamo per raccontare. Storie ferme sulle panchine in attesa di un lieto fine. Ed ancora: un giorno in più che se ne va, un orologio fermo da un’eternità …Trentasei anni è proprio quasi un’eternità e per Teodoro Rino Lorenzo le lancette della sua storia professionale e umana si sono fermate al trentesimo minuto di una partita giocata il 25 maggio 1986.
Da allora, questo uomo che nonostante giocasse al pallone ha voluto a tutti i costi laurearsi ed oggi è avvocato, non ha più avuto pace. Un tarlo gli rode dentro e ha finito per condizionagli la vita e anche quella delle persone più care che gli sono vicino, la moglie e i figli prima di tutto.
Quando ci siamo sentiti al telefono la sua voce era come disperata, ho percepito forte la richiesta di aiuto di chi vuole finalmente ristabilire la verità. E non ho potuto dire di no. Anche questo fa parte della storia centenaria dei Grigi.
A volte è sorprendente come nella vita delle persone certe date si ripetano a segnare eventi spiacevoli e drammatici.
Stagione 1983-’84, l’Alessandria che sconfisse il Derthona in Coppa Italia. In piedi, da sinistra: Salvadori, Lorenzo, Cavaglià, Carraro, Gregucci. Accosciati: Marangon, Manueli, Fratena, Camolese, Scarrone e Rastelli.
Classe 1962, figlio della Calabria trapiantata a Torino, Lorenzo era un giovane che calcisticamente stava crescendo nella Juve: prima i Nagc (Nuclei addestramento giovani calciatori) poi via via tutte le altre categorie, plasmato dalla mano sapiente di Massimo Pedrale. La Primavera, anticamera della prima squadra, gli aveva già messo gli occhi addosso se non che, nel maggio del 1979 ad un torneo ad Abbiategrasso, la disgrazia lo colpì con la frattura scomposta del femore destro. Dovette essere operato per ben tre volte e anche il medico storico bianconero, il dottor Francesco La Neve, era scettico su un suo ritorno in campo, tanto che Giampiero Boniperti, visto che la Juve è una grande famiglia che non abbandona nessuno, si era già interessato per aiutarlo a trovare un’alternativa. Ma la forte tenacia ed il grande amore per il pallone fecero il miracolo, anche se Lorenzo dovette ricominciare tutto da capo in serie D, con il Pinerolo.
Prendeva il pullman per recarsi agli allenamenti, sempre serali, ritornando nella notte per poi al mattino andare a scuola. Un immane sacrificio, sempre con la sensibilità di non gravare sulla famiglia.
Poi avvenne il trasferimento, sempre in D, ad Ivrea: fu qui che si crearono i presupposti per il successivo trasferimento ad Alessandria, vista la presenza dei fratelli Calleri. Ben presto Lorenzo divenne un beniamino della tifoseria dello stadio “Pistoni”, al fianco di un esperto giocatore quale Calloni e di un certo Pistis, anche lui poi attore in riva al Tanaro.
Lorenzo nell’Ivrea 1982-’83. In piedi, da sinistra: Calloni, Berruto, Campanile, Paunini, Palladino. Accosciati: Biscatto, Lorenzo, Busolin, Rocci e Matolo.
Quando gli stessi Calleri, Gianmarco e Giorgio, comprarono l’Alessandria anche Lorenzo fu chiamato a vestire la maglia grigia. La stagione 1983-’84 partì con Mirko Ferretti in panchina, arrivarono rinforzi di qualità, giovani emergenti come Fratena, Sgarbossa, Marangon e Pagano, ed esperi come Salvadori, Manueli e Perego. La partenza fu troppo lenta e due pareggi senza gol costarono il posto a Ferretti. Al suo posto Natalino Fossati, che entrò in rotta di collisione proprio con Lorenzo, al quale preferì Perego. “Il fallimento del Quartu Sant’Elena rivoluzionò la classifica e a beneficiarne fu l’Asti, che si trovò con due punti in più rispetto a noi”, ricorda Lorenzo, che in totale collezionò 9 presenze e 1 gol (segnato a Carbonia) in campionato; e 8 presenze con zero reti in Coppa Italia.
Stagione successiva: “Feci tutta la preparazione con i Grigi, dove nel frattempo era arrivato Ciccio Marescalco. Ma l’allenatore Mari, che sarebbe poi stato esonerato, mi disse chiaramente che avrei fatto la riserva e io non accettai. La gentilezza e la totale disponibilità nei miei confronti dell’Orbassano, ancora serie D, fecero in modo da convincermi ad essere ceduto in prestito, anche se il Casale mi voleva a tutti i costi. E sapete perché non ho indossato quella maglia? Perché non mi ero accordato con il segretario sui rimborsi per i viaggi in treno. Quando lo venne a sapere il presidente Cerutti andò su tutte le furie, ma io avevo già dato la mia parola ai dirigenti dell’Orbassano”.
Ancora la canzone di Fogli: parla di un amore che non è grande come si vorrebbe. E quello tra l’Orso Grigio e Lorenzo è stata una passione, che non ha potuto diventare amore per un gesto. Che è diventato una notte che non finisce mai.
Stagione 1985-’86, l’Alessandria disputa il quinto campionato di serie C2 della sua storia. La stagione inizia in modo travagliato a causa dell’abbandono di Gianmarco Calleri, la squadra sopravvive grazie all’impegno di una finanziaria toscana che fa capo al presidente della Massese Domenico Bertoneri, e può disputare un nuovo ed insperato campionato di vertice, senza però riuscire ad ottenere la promozione.
“Presto capolista, la nostra squadra allenata duo Tagnin-Colombo, pagò lo scarso feeling con la vittoria – sottolinea Lorenzo –, malgrado l’imbattibilità iniziale in campionato si fosse prolungata sino al 16 febbraio e nonostante l’inviolabilità della porta del ‘Moccagatta’, incappammo troppe volte in pareggi che, nel girone di ritorno, costarono i sorpassi di Spezia e Lucchese”.
La “rosa” dell’Alessandria 1985-’86. Prima fila in alto, da sinistra: Quaglia, Panizza, Gregucci, Carraro, Caracciolo, Moro, Beccari. Seconda fila al centro: Sgarbossa, Torti, l’allenatore Colombo, il massaggiatore Viganò, l’allenatore Tagnin, Lorenzo, Marchetti. Terza fila: Ferrarese, Manueli, Briata, Camolese, Magagnini, Frara e Mocellin.
Con davanti un futuro societario incerto (l’interesse ventilato dal patròn della Cairese Cesare Brin, quello che sarebbe poi stato assassinato dalla Guerinoni, non portò mai a trattative concrete per la cessione del sodalizio) la squadra andò a perdere le ultime due decisive gare di campionato.
Tuttavia disse Tagnin: “Se avessimo tentato di costruirla in questo modo, non ci saremmo riusciti così bene”. Quando cadde il Pergocrema, i Grigi rimasero i soli imbattuti delle 144 squadre professioniste.
“Siamo partiti pensando alla salvezza – non ha dimenticato il capitano Giancarlo Camolese – e ci trovammo inaspettatamente in testa, ma i problemi non finirono. La squadra infatti faceva fatica a percepire gli stipendi ed i premi, ciò nonostante l’entusiasmo dei giocatori non mancò mai”.
Ci avviciniamo all’epilogo. Contro la forte Entella la rete di Lorenzo (splendida e limpida per esecuzione) non venne convalidata dall’arbitro Manfredini. La gara finì 0-0 e alla fine ci fu il tentativo di invasione di campo. L’arbitro venne assediato per più di due ore negli spogliatoi e venne pure preso a sassate il pullman del club ligure.
Una frase di Fogli è impietosa alle orecchie di Lorenzo: amici che cambiano strada se li saluti. E lui, in tutti questi anni, ha sempre deciso di ritornare ad Alessandria in incognito, per rivedere i luoghi di quel suo spicchio di esistenza, ma soprattutto per recarsi fuori dal “Moccagatta”, lato curva Nord. Per chiedersi: “Perché tutto questo?”.
Il gol annullato contro l’Entella, che scatenò i tifosi al “Moccagatta”. Lorenzo, fuori quadro, ha segnato con un grande tiro, ma il guardalinee ha segnalato una presunta irregolarità di Frara, ininfluente ai fini della realizzazione.
Ancora maggio, domenica 25 dell’anno 1986: è il 30’ del primo tempo della partita Alessandria-Torres, Lorenzo fa autogol davanti a seimila spettatori che cercano di spingere i Grigi in C1, visto che è la penultima giornata e l’Alessandria è seconda in classifica davanti allo Spezia.
“Da quell’istante ho avuto anch’io la mia lettera scarlatta incisa sulla pelle, ero segnato per sempre; non ero più il giovane talento ma sono diventato per tutti ‘quello dell’autogol contro la Torres’, il responsabile della mancata promozione in C1 – confessa Lorenzo -. E’ stata una grande sofferenza per me, acuita dalla consapevolezza di non avere alcuna colpa, né sull’esito finale del campionato né sull’azione dell’autogol. Siamo andati sotto di un gol al 30’ del primo tempo, non all’ultimo minuto del secondo; c’era tutto il tempo per raddrizzare la partita. E comunque, anche dopo la sconfitta eravamo ancora in piena promozione. Se avessimo vinto l’ultima partita contro il Pontedera di Marcello Lippi avremmo fatto lo spareggio con lo Spezia, invece la perdemmo”.
Poi lo sfogo liberatorio, che chiede giustizia: “I chiodi della mia crocifissione hanno continuato a fare male per tutti questi anni e nonostante il tempo trascorso nessuno ha dimenticato e io continuo ad essere ‘quello dell’autogol contro la Torres’. Adesso dico basta. Sono moralmente obbligato a difendere la mia storia calcistica ed il mio nome, non posso più passarci sopra. Certo, il passato non si può modificare, ma la verità non ha tempo ed è un dovere di tutti inseguirla e riaffermarla, in ogni settore della vita. Allora vi dico che io in quell’autogol non ho alcuna responsabilità; la colpa è stata tutta di Renato Carraro, il nostro portiere”.
Abbiamo recuperato proprio la fotografia di quell’infausto istante. Su un lancio degli avversari Lorenzo scatta insieme ad un giocatore della Torres, lo anticipa e poi, di esterno destro, appoggia indietro la palla.
Nella foto non si vede Lorenzo, che è sulla sinistra, in posizione laterale e abbastanza lontano dalla porta.
L’autogol di Lorenzo contro la Torres.
Osserviamo il portiere: è completamente fuori posizione. La porta è interamente sguarnita. Lui avrebbe dovuto stare in porta. Lorenzo, pressato dall’avversario, ha passato indietro il pallone dove sapeva esserci il portiere. Ma lui non era a protezione della porta; era fuori dai pali, parecchio fuori. Nella foto lo si vede in tuffo. Guardate allora le sue gambe e immaginatelo in piedi prima del retropassaggio di Lorenzo e del suo tuffo. Praticamente era in curva con i tifosi.
“Non si capisce poi perché abbia dovuto buttarsi. Se vedi che la palla ti sta passando davanti, al di fuori della tua porta (a causa, si ribadisce, della tua errata posizione), non ti devi buttare; corrile dietro e cerca di recuperarla, magari con una scivolata con i piedi per allontanarla dalla porta”, si è sempre detto in tutti questi anni Lorenzo.
La palla ha attraversato tutto lo specchio e si è infilata rotolando lentamente vicino al palo di sinistra, di destra guardando la fotografia.
Lorenzo in azione al “Moccagatta”.
L’immagine rende evidente la totale assenza di responsabilità di Lorenzo. Che conclude: “Perpetuando l’ingiustizia si offende non solo la mia storia personale, ma anche quella dell’intera Alessandria. Se la storia è un organismo vivo, un falso è un virus che finisce con l’infettare l’intero organismo. Se c’è un falso nella vicenda storica, in ogni vicenda storica, va ristabilita la verità. E non importa quando ma bisogna farlo. Galilei fu riabilitato dalla Chiesa quattrocento anni dopo. Sono stato condannato al rogo senza colpa e chiedo un atto di giustizia. E’ la mia vita e non ci voglio scherzare sopra”.
E Teodoro Rino Lorenzo vuole che quell’orologio riprenda a correre partendo da quel momento, quando per lui la carriera calcistica e la vita non sono mai più state come prima. Vuole che quell’episodio diventi finalmente un anello di fumo dimenticato da rumori della città.
Per ritrovarsi. Lui, uomo senza trionfi, ma anche senza grossi pesi sulla coscienza.
Mario Bocchio