Marcolini per lasciarci alle spalle un 2017 orribile

domenica, 07 Gennaio 2018

Il corsivo di Mario Bocchio

 

Il presidente Di Masi allibito sul campo di Tivoli. Questa l’immagine della maggiore delusione del calcio grigio. La Serie B sfuggita di mano in maniera incredibile.

Una “Caporetto” sportiva che ha pochi precedenti nella storia del calcio italiano.

Si sono scritte e dette tante, troppe cose. Molte con cattiveria, instillando anche infondati sospetti diventati calunnie. Quei disgraziati si sono vendute le partite!

Molto più realisticamente ci siamo trovati davanti ad una doppia realtà. Prima una squadra che si sentiva già ampiamente promossa e che ha perciò cercato di vivere di rendita, tirando i remi in barca. Poi i primi segnali di cedimento sono probabilmente stati presi sottogamba e la successiva ansia di dover chiudere assolutamente la pratica ha manifestato i limiti mentali e caratteriali di un gruppo di giocatori e del suo allenatore.

Ma andiamo per ordine.

Dopo il ko ricevuto con il Livorno qualcosa si è rotto ed il cammino dei Grigi si è fatto maledettamente più complicato, con un direttore sportivo, Giuseppe Magalini, incapace di fare da collante tra la squadra e la società.

Il presidente Di Masi (toccato massicciamente nel borsello) ha finito ingiustamente per essere il principale responsabile di questa catastrofe sportiva, che ha avuto invece come cause principali i personalismi, chi aveva gestito il mercato, la debolezza del carattere dei giocatori, tutte condizioni che hanno dato vita alla crisi del sistema. Incapace di reagire.

La responsabilità ricade ovviamente su un tecnico arrivato ad Alessandria con un notevole curriculum, ma che alla fine si è rivelato mediocre e non all’altezza del compito. Si era affidato allo stato di grazia di Gonzalez, stratosferico nel girone d’andata, poi vittima di un naturale calo fisiologico. Difendere a centrocampo e spingere la palla in avanti, sperando in Bocalon e nel Cartero. Per farlo bisognerebbe avere indietro difensori scattanti e pronti a chiudere i varchi in caso di pallone perso. Dietro però i nostri difensori, seppur di esperienza, erano usurati dal tempo, incapaci a murare i passaggi. La disfatta di Como è emblematica.

Poi le responsabilità dirette dei giocatori, che dopo il pareggio casalingo con il Prato sono sembrati smarriti ed incerti. La delusione per i presunti top player come Iocolano, non all’altezza del fuoriclasse annunciato, e Bocalon andato in difficoltà quando è arrivato Evacuo.

I “senatori” Sosa e Mezavilla finiti nel mirino della tifoseria saranno per sempre le immagini più drammatiche della disfatta grigia.

Ecco, la delegittimazione di Sosa, a mio avviso è uno degli episodi più dolorosi e ingiusti di quanto successo. Uomo vero, dai valori con la “V” maiuscola, solo per non aver voluto ricercare l’adulazione della curva e per aver sempre parlato chiaro, è diventato il capro espiatorio. Come Mezavilla dopo il diverbio di Tivoli. Sosa e Mezavilla (penalizzato da troppi infortuni), sarebbero stati però gli unici con il potenziale di uomini-spogliatoio, capaci di prendere in mano un gruppo che – a dire il vero – lo stesso Braglia aveva finito per giudicare caratterialmente debole.

Mister Pillon ha avuto il merito di ricomporre i cocci, creando le condizioni mentali per arrivare sino alla finalissima con il Parma.

Poi, come praticamente richiesto da tutti, c’è stato bisogno di una rivoluzione.

Iniziata nel verso giusto da Sensibile, che però ha clamorosamente steccato sulla scelta del tecnico. Mister Stellini è una persona certamente perbene, ma troppo vittima di quel sistema che ormai sta rovinando sempre più la categoria degli allenatori, dove finiscono per contare sempre più le analisi video rispetto alla fantasia e al coraggio.

Ha dato l’impressione di preoccuparsi più di come giocavano gli avversari che di come schierare i propri giocatori, martellati per tutta la settimana sino a creare una sorta di stato depressivo.

Michele Marcolini ha accettato un’impresa ardua, che richiede uomini di coraggio e spessore, con tanta umiltà da calarsi nello spirito della Serie C (il campionato di Serie C lo si vince con giocatori da Serie C o capaci di ridimensionarsi) per rifondare un intero sistema dalle fondamenta.

 

 

 

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