Il 15 dicembre 1929 il nuovo stadio di Alessandria ospitava l’Ambrosiana allenata da Árpád Weisz. Inaugurato qualche settimana prima contro la Roma, con una bella vittoria dei Grigi propiziata da Giovanni Ferrari, l’impianto, in quella decima giornata del campionato a girone unico, vedeva ora all’opera i futuri campioni d’Italia che “pur tra scatti improvvisi e assopimenti” superavano i padroni di casa guidati in panchina da Carcano, al termine di un match dall’esito “inatteso e sorprendente” come definivano le cronache del tempo. Il Littorio di Alessandria era uno degli stadi di nuova edificazione che sorsero in Italia, in una fase in cui il regime investì ingenti energie nell’affermazione del concetto di sport-spettacolo come strumento di propaganda e indottrinamento ideologico. Nel volgere di pochi anni, infatti, in quel periodo, si inauguravano, tra gli altri, lo stadio di S. Siro a Milano nel 1926, il Littoriale a Bologna nel ‘27, il Berta a Firenze nel ‘31, il Mussolini a Torino nel ‘33. Quella domenica di dicembre era la prima volta di Meazza ad Alessandria.
Era una giornata quasi mite ma il pubblico non si presentava numerosissimo, nonostante Il Piccolo, uscito il giorno prima, avesse caricato l’attesa del match con parole altisonanti “L’Ambrosiana scende ad Alessandria con il suo bagaglio di gloria e di allori. La sua inquadratura è veramente possente, non solo per i grandi nomi che in essa figurano ma anche per la bella intesa di gioco fra gli undici atleti”. Pur avendo compiuto da poco vent’anni, Meazza aveva già maturato un bel vissuto con l’Ambrosiana: 48 gol in tre stagioni, di cui 34 segnati nella stagione precedente; guidava l’attacco dei suoi, forte degli otto gol segnati nelle nove partite giocate fino ad allora in campionato. Quel giorno non andò in gol ma, quasi a confermare il suo talento poliedrico, entrava nell’azione del gol del vantaggio nerazzurro. Riceveva palla da Gipo Viani, con una finta di corpo si liberava di un avversario, per poi prodursi in un’apertura geniale e millimetrica con cui serviva Serantoni che, sopraggiunto in area, segnava di slancio con una botta sotto la traversa.
Pur governata dal carisma e dalle qualità di Allemandi, Serantoni, Castellazzi, Blasevich e “Poldo” Conti, il primo probabilmente a coniare il soprannome di Balilla per il giovane compagno di squadra, quell’anno la formazione milanese si riconosceva indiscutibilmente nell’ enfant prodige di Porta Vittoria. Meazza aveva un repertorio di giocate, a tratti, irresistibile, segnava e faceva segnare, acrobatico ed estroso, sapeva essere lucido sotto porta, tanto, a volte, quasi da irridere il portiere avversario. A Milano, pur se giovanissimo, era già un idolo. Qualche mese dopo la partita di Alessandria, Meazza debuttava con l’azzurro della Nazionale, a Roma. Era il 9 febbraio 1930, avversario la Svizzera e giocava al centro dell’attacco, al posto di Attila Sallustro, icona del calcio napoletano. I tifosi di Sallustro, originariamente accorsi allo Stadio nazionale del Partito Fascista per contestare Meazza, finirono per rimanere incantati dal suo estro e i fischi, come per incanto, diventarono applausi a scena aperta. Ma il bello doveva ancora arrivare… e arrivò in una domenica di maggio, in Ungheria. nella gara decisiva per aggiudicarsi la Coppa Internazionale, una sorta di campionato europeo per nazioni.
Meazza guidava l’attacco azzurro, allenata da Vittorio Pozzo, in una partita che aveva assunto valori emblematici che sconfinavano in un inevitabile orgoglio nazionalista. In quei luoghi, teatro di lutti per tanti italiani, nella Grande Guerra, la voglia di riscatto trasformò gli azzurri in furie col sangue agli occhi, a cominciare proprio da Meazza che nel conflitto aveva perso il padre e giocava abitualmente sul campo di via Goldoni, a Milano, intitolato a Virgilio Fossati, capitano di Inter e Nazionale, caduto proprio nel conflitto.
Finì 0-5 con tre gol del Balilla che quel giorno affermava definitivamente il suo talento, mentre la coppa di cristallo, trofeo consegnato ai vincitori, finiva in frantumi, nei pressi Monfalcone per una brusca frenata del treno che stava riportando gli uomini di Pozzo in patria. Quella vittoria fu il trampolino definitivo per la carriera del Balilla. Di lì a un mese, avrebbe portato l’Ambrosiana al suo terzo scudetto, al termine di una partita rocambolesca contro i diretti concorrenti del Genoa, per guidare poi i suoi nell’avventura europea della Mitropa dove a suon di gol avrebbe consolidato la sua fama di cannoniere. Meazza ritrovò i Grigi ad Alessandria, in campionato, nell’autunno del ’30, “orfani” di mister Carcano e Ferrari passati alla Juventus. Non andò benissimo, quel giorno, per merito soprattutto dell’estremo difensore alessandrino Balossino che, in quella circostanza, sembrò ingaggiare un duello tutto personale con lui, superandosi in più circostanze.
Il riscatto nel ritorno, quando all’Arena, su un campo reso fangoso dalle piogge di quel fine aprile del 31, con una doppietta fu proprio lui a superare i Grigi, quasi da solo. In quella stagione, lo stadio alessandrino vide sfilare, tra gli altri, i grandi protagonisti del calcio italiano e mondiale degli anni successivi, compreso, proprio in quel campionato 1930-‘31, con la maglia del Genoa, il mitico Guillermo Stabile, “El filtrador” capocannoniere del Mondiale di quell’anno, vinto dal suo Uruguay. Un palcoscenico straordinario sul quale Meazza tornò negli anni, da Campione del Mondo fino all’ultima gara giocata nel gennaio del 1937, ultimo per i Grigi, in A. Due gol del Ballila e uno di Frossi siglarono l’affermazione dei nerazzurri, in una stagione non positiva per entrambe le squadre. Ma non era l’ultimo atto.
Grigi e Meazza si ritrovarono per l’ultima volta il 4 maggio del ‘47. S.Siro, di fronte due campioni del mondo del ’38, Meazza, appunto, e Rava con gli ospiti. Finì 4-2 per l’Inter. Quel giorno, Meazza giocava con l’8 e guidava il centrocampo di un’Inter lontana dai giochi che contavano, con un Torino ormai irraggiungibile, proiettato verso lo scudetto. Per Meazza quello fu l’ultimo campionato da giocatore. Avrebbe chiuso, il 29 giugno da allenatore-giocatore nella gara interna col Bologna, vestendo la maglia nerazzurra per la 366a volta.
Gigi Poggio