Liquidare Aristide Coscia con i soprannomi, seppur suggestivi, che ne hanno accompagnato la vita di calciatore non rende certo onore a un calciatore che ha rappresentato un prototipo di modernità, in tempi ormai lontani. A chi si accontenta di ricordarlo, appunto come Bolide o Ridolini lasciamo questo “privilegio”; noi andiamo un po’ più in là o almeno cerchiamo di farlo.
Coscia esordiva giovanissimo in Grigio nella cantera ricca di talenti e qualità gestita da Umberto Dadone; i riferimenti erano prestigiosi e impegnativi, da Baloncieri a Ferrari ma le doti non mancavano e certi giudizi su Coscia reggevano decisamente la prova del campo.
Toccava all’austriaco Karl Stürmer, allenatore della prima squadra, nel 1936-‘37, fiuto da talent scout e negli anni precedenti al Torino inventore della scuola calcio dei Balon boys, sdoganare il talento di Coscia e farlo esordire poco più che diciottenne nella trasferta di Roma. Quel giorno finiva 1-0 per i giallorossi e, ironia della sorte, il gol vittorioso lo segnava il “dottor” Bernardini, come sottolineavano le cronache contemporanee, fresco di laurea in Scienze Commerciali ma soprattutto, negli anni successivi, sostituito proprio in giallorosso da Coscia.
La prima esperienza in Grigio si concludeva dopo due campionati dall’epilogo particolarmente sfortunato; il primo nel ‘36-‘37 con la retrocessione in B e il secondo con una promozione in A, sfumata in extremis. Per Coscia 45 presenze e 9 gol, segnati tutti nella seconda stagione, di cui 4 decisivi ai fini dell’esito della gara. In più, la prova di quanto fosse già evidente una dote che poi l’avrebbe caratterizzato in futuro e cioè quella di uomo-assist, vista la straordinaria prolificità degli attaccanti Grigi Massiglia, Celoria e Robotti, tutti e tre in doppia cifra in quel campionato. Senza contare la capacità di usare indifferentemente destro e sinistro, una straordinaria potenza nel tiro e un istinto da killer nel calciare i rigori.
Ceduto alla Roma, anche per rimpolpare il bilancio della società Grigia, Coscia entrava da subito nella storia del club, servendo, nella prima gara in giallorosso, l’assist per la vittoria al compagno Anghisi.
Il suo gioco razionale e incisivo, unito alle qualità dell’altra mezzala, il talentuoso Cappellini, voluto espressamente dall’allenatore romanista Schaffer, era l’architrave su cui poggiava la manovra dei capitolini che nel 1942 portava il primo scudetto della storia nella capitale. Un successo epico, ammantato anche di una luce noir e in cui si tornava a parlare di Coscia.
In anni successivi infatti, dopo una inconcepibile e misteriosa scomparsa, veniva ritrovata la coppa assegnata alla Roma, in occasione della vittoria dello scudetto. Il rinvenimento casuale era dovuto alla passione e alla memoria fotografica di un artigiano romanista a cui era rimasta impressa l’immagine di quella coppa che proprio Coscia aveva portato sotto i popolari festanti dello stadio P.N.F. di Roma il giorno del trionfo.
La guerra fermava l’esperienza romana di Aristide, anche se, probabilmente non le sue frequentazioni. Ai dischi arrivati dalla capitale, infatti, dobbiamo la formazione jazzistica e musicale di un altro Coscia illustre, Gianni, cugino del 10 romanista che proprio su quei 78 giri conosceva un fisarmonicista votato al jazz: Gorni Kramer.
Nei campionati successivi, Coscia vestiva il nerazzurro dell’Ambrosiana, allenato da Giovanni Ferrari e il biancorosso del Varese, guidato da Meazza, prima che i nazisti requisissero lo stadio Masnago per trasformarlo in un campo di concentramento, per poi andare alla Juventus e fare ritorno in Grigio nelle due stagioni giocate in A nell’immediato dopoguerra. Poi Sampdoria con Baloncieri in panchina e l’esperienza napoletana nel Dopolavoro Cirio, nella duplice veste di giocatore e allenatore.
Da metà degli anni ‘50, Coscia tornava nei ruoli tecnici dell’Alessandria, come tecnico o osservatore per poi concedersi un’avventura professionale in Turchia, all’Altay di Smirne, tornare in Grigio e lavorare anche per la Juventus, nel segno di un’amicizia mai venuta meno negli anni con Giampiero Boniperti.
Gigi Poggio