Dalla panchina dell’Inter (e dalla mitologica “Gabbia” di Appiano) all’Alessandria e alla tv quando lo chiamano come opinionista
Corrado Orrico è il nuovo allenatore dell’Alessandria, che si trova all’ultimo posto del girona A della C1. Orrico è stato chiamato dal presidente Gino Amisano, su indicazione del dg Renzo Melani, e sostituisce Giuliano Zoratti, che è stato esonerato dopo la sconfitta interna di con il Como di domenica 12 ottobre 1997. Al termine del campionato 1997-’98, i Grigi retrocessero dopo il doppio e drammatico incontro dei playout contro la Pistoiese.
Orrico e la Carrarese
Indubbiamente Orrico è stato un personaggio del calcio. Dopo la stagione 1990-’91 e l’exploit da allenatore della Lucchese, fu scelto dal presidente dell’Inter Ernesto Pellegrini per sostituire Giovanni Trapattoni nel campionato 1991-’92. Orrico era visto come la risposta interista a Arrigo Sacchi, «ma con uno stipendio da operaio specializzato, per sentirmi in sintonia col partito che ho sempre votato», com’ebbe a precisare lo stesso tecnico massese.
Che fine ha fatto oggi Orrico? Dopo essere rimasto fermo quattro anni, è tornato ad allenare nella stagione 2012-’13, quando ha accettato l’offerta del Gavorrano che militava nel girone B della Lega Pro Seconda Divisione, subentrando all’esonerato Renato Buso. Il Gavorrano chiuse il campionato al quindicesimo posto. Ai playout sconfisse l’HinterReggio e giocò la finale contro il Rimini: perse e retrocesse.
Per capire chi è quest’uomo, basta organizzare un mini sondaggio tra i tifosi interisti: nonostante la sua gestione non sia terminata in gloria, la maggior parte di loro lo ricorda con affetto.
Lui si piazzava davanti ai microfoni senza troppe sovrastrutture, pochi tatticismi, la sua narrazione era, ed è, senza i filtri comuni. Con i giocatori si confrontava, si entusiasmava, si incazzava, li strigliava, ci parlava, organizzava gli allenamenti intorno alla sua celebre “gabbia”, una struttura chiusa dove il pallone non usciva mai.
Sudore e fiatone per i vari Berti, Fontolan, Matthäus e gli altri. Poi la fine, il ritorno in provincia, in mezzo ai suoi libri, riflettori spenti. Nessuna lagna, alcuna recriminazione, aveva toccato il Paradiso e da quel Paradiso era stato cacciato, troppo indigesto. Molto interessante per capire l’uomo-Orrico, è l’intervista che rilasciò ad Alessandro Ferrucci del “Fatto Quotidiano“, lo scorso novembre.
La pressione mediatica ai tempi dell’Inter.
Eppure dentro uno spogliatoio c’è chi vive il ruolo dell’allenatore come la figura più vicina a Dio…
“Leggende. In realtà chi guida una squadra deve avere essere in grado di comprendere le sfumature, deve mantenere una mentalità di medio carattere. Magari applicare gli insegnamenti di Heidegger”.
Ma lei è certo di aver passato gran parte della sua vita su un campo di calcio?
“Sì, e lo rivendico, è il mio elemento. Un elemento molto distante da lei, uno dei mondi maggiormente chiusi su se stesso. È un luogo pieno di opportunisti, dove ogni opinione è frutto di interesse personale o di gruppo, non esistono pensieri semplici. Hanno più volte tentato di manipolare i miei principi berlingueriani”.
Si spieghi meglio…
“Mi riferisco ad alcuni dirigenti poco avveduti con le scelte della squadra, o a interessi particolari verso l’uno o l’altro giocatore. Vede, il calcio ha preso molto dalla politica, il calcio è politica, soprattutto dopo che sono arrivati i soldi veri, i numeri alti, il business estremo, e se non si ha la schiena diritta, è facile venir travolti”.
Com’è oggi la sua vita?
“Quasi da mendicante, anche a causa di tragedie indicibili e delle quali non intendo parlare” (il suicidio del figlio, N.d.R.).
Poco prima di dimettersi da allenatore dell’Inter.
Va bene, ma vive solo?
“Sì, e senza una lira, con una pensione decurtata, ma non va male, ogni tanto vado in televisione (al Processo del lunedì o alla Domenica sportiva). E poi sono circondato dai miei libri”.
Si diverte ancora a parlare di calcio?
“Molto, è una passione, solo che in tv se ne parla poco, si dà più spazio a chi fa colore, si cerca più la forma della sostanza”.
Corrado Orrico al “Moccagatta” durante la sua esperienza all’Alessandria.
Quando parla sembra uno dei pochi senza diaframmi tra mente e concetto.
“Sono un uomo libero, e la mia libertà me la sono conquistata e difesa. E mi è costata cara”.
Errori da non ripetere?
“Non regalerei più tutti quei soldi alle società”.
Spesso si è dimesso.
“Appunto, una stupidaggine, frutto di decisioni intempestive. Oggi non è bello combattere con problemi di sussistenza”.
Lei anni fa ha dichiarato: “vivo del mio orto”.
“Oddio, ora le devo rivelare un altro aspetto della mia vita”.
Se non vuole…
“Ma no, non importa, ma ho una protesi all’anca, mi hanno detto che dura circa dieci anni, quindi per non consumarla evito movimenti particolari come zappare o seminare. Ho lasciato solo qualcosa di semplice”.
Non ha mai nascosto le sue idee di sinistra.
“Però considero l’appartenenza politica quasi sacrale, e per questo non amo parlarne”.
La settimana scorsa in televisione ha citato Pasolini.
“Conosco le sue poesie, i suoi film, i suoi libri. Lui fa parte della nostra storia, ha contribuito al nostro bagaglio culturale”.
Anche Renzo Ulivieri è un allenatore, suo coetaneo, e di sinistra.
“Però non mi piace la sua ostentazione politica, ribadisco: certe idee vanno custodite, non sbandierate”.
I suoi ricordi più belli d’allenatore.
“La mia prima panchina con il Sarzana, avevo appena 26 anni e vinsi subito. Arrivammo quasi in C1, a quei tempi una categoria molto importante. Poi Lucca, Carrara…”.
La sua frase tipica dentro lo spogliatoio?
“Vi ricordo che siete liberi di fare quello che voglio io”.
Nella sua carriera, dalla provincia è finito all’Inter: la differenza maggiore nel trattare i calciatori.
“Con i big è necessario parlare molto, soprattutto di questioni extra-calcio, perché riguardo al pallone vogliono solo direttive precise. Comunque è bene stragli appresso, dedicargli tempo”.
Pasolini che gioca a calcio.
E quali erano gli argomenti extracalcio?
“Con Jürgen Klinsmann discutevamo di arte, mentre con Lothar Matthäus di finanza”.
Di finanza?
“Sì, ma non mi dava mai retta, andava sempre di testa sua. La finanza è un animale imprevedibile”.
Le manca l’odore dello spogliatoio.
“Ho nostalgia del rapporto con le persone, le loro ansie, la loro ambizione. Ho nostalgie delle dinamiche, degli incroci, la complessità dei rapporti, la crescita del ragazzo, la soluzione dei problemi e il superamento delle debolezze. Questo mi manca, e molto più dei soldi. Le ripeto: ho sbagliato alcune scelte per colpa del mio carattere, ma sono qui e leggo. A proposito: lei conosce il pensiero di Gramsci?”.
Mario Bocchio