Uruguay – Argentina, il Clasico del Rio della Plata per rifare grandi i Grigi

giovedì, 16 Aprile 2015

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La partita più antica del mondo è dopo tutto un affare di quartiere, perché si dice che Montevideo e Buenos Aires siano due barrios della stessa città sull’una e sull’altra sponda del fiume, anche se poi l’estuario del Rio della Plata (perciò, Argentina-Uruguay si chiama il Clasico Rio platense) è largo quanto un mare: difatti, quando si mettono a giocare a calcio è come se fossero separate da un oceano.

Argentini e uruguayani, di solito, vanno d’accordo, al punto che stanno coltivando l’idea di organizzare assieme i Mondiali del 2030. “Sono i nostri fratelli charruas”, dicono a Baires, usando il nome della prima popolazione indigena che si insediò a Nord del Rio della Plata.
Litigano solo per due motivi: il pallone e il tango, in nome del più grande tanguero della storia, Carlos Gardel, del quale non s’ è mai saputo se sia nato al di là o al di qua del fiume (e neanche quando, per la verità: era così povero che non venne mai registrato all’ anagrafe).
È argentino per gli argentini, uruguayano per gli uruguayani. Nel calcio non ci sono queste mescolanze, la separazione è netta, scavata in 114 anni di storia, perché Selecciòn contro Celeste si gioca ininterrottamente dal 16 maggio del 1901. Uruguay-ArgentinaEscluse le sfide tra rappresentative britanniche, è la partita tra Nazionali più vecchia che ci sia e si è già disputata addirittura 183 volte: 85 ha vinto l’ Argentina, 56 l’ Uruguay, ma quello che conta è che abbiano conquistato 2 Mondiali a testa e 15 Coppe America la Celeste e 14 l’Albiceleste.
Nell’Alessandria che vuole ritornare grande, in serie B, la grande disponibilità e l’immenso amore per questi gloriosi colori da parte del presidente Luca Di Masi ha messo a disposizione della squadra proprio due giocatori di primissimo livello, uno uruguaiano e l’altro argentino: Cristian Sosa e Santiago Morero.Centenario

La garra charrua, carattere uruguagio. Una delle caratteristiche degli uruguaiani è proprio questa, l’ostinazione. Non mollano mai, nemmeno quando l’impresa sembra impossibile. Ma il fatto è che nella storia dell’Uruguay si trovano una miriade di personaggi cocciuti, caparbi, che non si danno per vinti. Uno è José Gervasio Artigas. Nel 1813, dopo che l’Argentina firma un patto di amnistia, con un manipolo di uomini porta avanti la guerra di indipendenza dello stato sudamericano contro l’impero spagnolo, e infatti viene considerato il vero artefice dell’indipendenza dell’Uruguay. WORLD CUP 1930È colpa di quei cromosomi testardi, se sono nati i grandi condottieri, i grandi campioni. Il 16 luglio del 1950, a Rio de Janeiro, la Nazionale di Lopez Fontana affronta il Brasile nella finale di Coppa del Mondo. I brasiliani giocano in casa, credono di aver già vinto. Ma un gol di Schiaffino e un altro di Ghiggia ribaltano il risultato e annullano quello di Friaca. Passerà alla storia come “Maracanazo”, come qualcosa di inatteso, inaspettato. Jules Rimet, il presidente della federazione internazionale, disse: “Era tutto previsto, tranne il trionfo dell’Uruguay”. In Uruguay crescono tutti cullati da quel mito. Anche Sosa. E quando incomincia a giocare nel Defensor Sporting, non smettono mai di raccontarglielo, di dirgli che tutto si può fare, si può realizzare, che tutto è possibile.

Cittadella - Padova

La versione argentina della garra charrua è l’orgullo gaucho. Lo sa bene Morero, che sui sempre infuocati campi argentini lo ha imparato nel Club Atlético Tigre, ne ha fatto tesoro, e lo ha poi messo in pratica con le maglie del Chievo, del Cesena e del Siena.

Morero Chievo

Oggi la sfida secolare che si portano dentro è diventata la voglia di lottare per la maglia grigia.

Morero e Sosa (1)

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La Selecciòn è più forte, ma l’Uruguay è il Davide del calcio, è l’aguafiestas, il guastafeste (“Siamo la mosca nel latte”, dice Sosa), proprio dal giorno in cui violò il Maracanà vincendo i Mondiali in casa del Brasile.

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Di mezzo c’è Messi, c’è l’enorme peso dell’obbligo di vincere che grava sull’ Argentina, c’è una squadra ancora imperfetta costruita in funzione della Pulce.
“L’ Argentina è Messi più altri dieci, come ai tempi di Maradona”, ammicca Morero, sottintendendo che invece gli uruguayani sono sempre come minimo undici, ma sembrano uno solo.

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“Messi o non Messi, possiamo fare cose che né lui né altri ci possono impedire” è la filosofia di Sosa. L’ Uruguay ha vinto tutte e sette le Coppa America che ha organizzato e pure l’unico Mondiale che abbia mai ospitato, nel 1930, il primo della storia: in finale batté proprio 4-2 l’ Argentina. Le due squadre non riuscivano a mettersi d’accordo su quale pallone usare, nel primo tempo usarono quello portato degli argentini (al riposo in vantaggio 2-1) e nel secondo quello degli uruguayani, che ribaltarono la frittata: a Buenos Aires hanno sempre pensato che ci fosse stato un qualche trucco, ma forse era solo una mosca che nuotava nel latte.

Mario Bocchio

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