Dino Galparoli intento a marcare l’interista Evaristo Beccalossi.
Il “Galpa” è uno che non si può dimenticare: difensore con tanto cuore e polmoni che in campo non mollava mai.
Dino Galparoli aveva 24 anni quando vestì per la prima volta la casacca dell’Udinese: nelle foto ufficiali appariva però più maturo, pervia di quei baffi che lo distinguevano.
Chiuse la propria carriera nel Cuneo, in Interregionale, dopo aver militato due stagioni nell’Alessandria, conquistando la promozione dalla C2 alla C1.
Oggi vive a Vedelago, un paese poco distante da Castelfranco Veneto, e confessa di non essere più innamorato del pallone.
Iniziò tardi a giocare, a quattordici anni, entrò nel vivaio della Reggiana, dopo un anno vissuto al Giorgione, la squadra in cui ha giocato anche Guidolin. Gli mancavano i rudimenti base, la tecnica. E infatti i suoi piedi non sono mai stati molto educati. L’importante, però, è essere consapevole dei propri limiti. Galparoli facevo il difensore e recuperata palla la davo al compagno più vicino. All’Udinese ha sempre avuto un’ampia scelta.
Arrivò in Friuli proveniente dal dal Brescia che era appena retrocesso. L’Udinese si era salvata proprio a spese delle Rondinelle. Aveva dei dubbi: l’anno prima rifiutò il passaggio al Genoa, a Brescia avevano costruito la squadra per risalire, ma il richiamo della massima categoria era troppo forte.
L’Udinese di Galparoli davanti si schierava con Causio, Miano, Mauro, Zico e Virdis. Chi difendeva?
Già. Perchè poi c’erano Edinho, Gerolin e Tesser che si sganciavano e dietro rimanevano solo Galparoli e Cattaneo. Si diceva che l’anello debole di quella squadra era la difesa, ma non tanto per le qualità dei singoli, quanto per come erano strutturati.
Quella squadra era stata costruita per arrivare un giorno a lottare per lo scudetto. Cosa le mancò?
Difficile dirlo. Un po’ di mentalità, anche qualche episodio chiave sfortunato che può cambiare la stagione.
Quella squadra era in crescita, con l’arrivo di gente come Causio e Zico il gruppo si sentiva più forte, più importante, ma – come detto prima – venne meno qualcosa e già nella seconda stagione di Zico il giocattolo si ruppe. Nella sua seconda stagione l’entusiasmo c’era solo tra i tifosi, il Galinho aveva perso serenità, era in sofferenza e visse con fastidio le vicende extracalcistiche.
Zico era un leader taciturno, un trascinatore in campo per come si muoveva. Un giorno gli disse: “Galpa, se ci fossi stato tu nella difesa del Brasile avremmo vinto il Mundial del’82 a mani basse”. Il più bel complimento che Galparoli abbia mai ricevuto.
Causio invece, aveva una personalità molto più spiccata. Lui era il vero punto di riferimento dello spogliatoio e un professionista super. In apparenza era burbero, ma sapeva anche essere simpatico.
Sulla panchina sedeva Enzo Ferrari,, che sarebbe poi diventato allenatore anche dell’Alessandria un grande maestro per Galparoli. Appena arrivato lo mise subito a suo agio, dandogli fiducia e consapevolezza nei suoi mezzi. Non c’era mai tensione prima di una partita con lui.
Ma la vera “mente” di quell’Udinese è stato senza ombra di dubbio il direttore sportivo Dal Cin, il riferimento per tutti.
L’attaccante più forte che abbia mai marcato Galparoli?
«Dovrei dire Maradona, ma Diego non si riusciva a marcare davvero e quindi lo metto fuori classifica. Un grande è stato sicuramente Van Basten, poi ci metto Rumenigge, Paolo Rossi, Altobelli, Pulici e Graziani anche se gli ultimi due erano a fine carriera».
L’attaccante che più soffriva?
«Fanna. Era velocissimo, e poi svariava molto non dando mai punti di riferimento. Mi ha sempre fatto ammattire».
Galparoli (nella foto a fianco com’è oggi) ha giocato nove anni a Udine. Sono tanti. In particolare non ha mai dimenticato due momenti.
Le tourneè in Canada e negli Stati Uniti.
«Certo, trovavamo i friulani ad accoglierci. E poi con Zico in squadra avevamo sempre mille occhi addosso. Il tempo non ha affievolito i ricordi, e oggi riesco a dare ancora più valore a quei momenti».
Udinese-Verona 3-5.
«Partita straordinaria. Se al Verona avessero convalidato il gol dello 0-4 che probabilmente era regolare, quella partita sarebbe passata sotto silenzio, così, invece è diventata una delle più belle di sempre. Vinse il Verona, ma poteva anche finire 5-4 per noi».
I due campionati ad Alessandria
Campionato 1990-’91, i Grigi erano passati sotto l’amministrazione di Vittorio Fioretti, uomo di calcio con precedenti niente male a Pordenone e Venezia che con un amico padovano, Alberto Benelle, decise di provare un’avventura apparentemente molto rischiosa. Allenatore era “Tato” Sabadini, ottimo ex-calciatore di serie A (Sampdoria e Milan), ma con una modestissima esperienza in panchina visto che il suo passato da trainer era quello di allenatore in seconda del Venezia-Mestre. La squadra della precedente stagione venne letteralmente smantellata: i nuovi responsabili si affidano a giocatori esperti, quasi a fine carriera, che costavano poco pur di raccogliere ancora qualcosa dal calcio.
Arrivarono così Galparoli, Bencina, Roselli, Mazzeni, Galli, e giovani speranzosi come Bianchet e Zanuttig o giocatori addirittura senza squadra come Accardi. Dopo un avvio in sordina il mixer iniziò incredibilmente una cavalcata esaltante che sbaraglò il lotto delle concorrenti e riconquistò la C1 arrivando prima. Il tabellino di sintesi a fine stagione fu grandioso: quattro sole sconfitte, 14 gol al passivo, otto partite consecutive senza subire reti, 15 vittorie di cui 5 esterne e un terzino, Accardi, goleador con ben 7 reti. Non si deve però pensare ad una cavalcata senza ostacoli perchè le avversarie si rivelarono ostiche: citiamo il Livorno guidato dall’ex Melani, il miliardario Viareggio allenato dall’esperto Riccomini e la Massese che alla fine fece compagnia ai Grigi nella salita in C1.
La “rosa” dei Grigi nella stagione 1991-’92.
Nel campionato successivo, sei pareggi, una vittoria e una sconfitta nelle prime otto giornate costarono il posto a Sabadini che venne sostituito da Enzo Riccomini che tanto bene aveva fatto la stagione precedente a Viareggio. La squadra venne rinforzata con quattro pedine di notevole levatura come il centravanti Cinello, i difensori Ramponi e Storgato e il centrocampista ex interista ed ex nazionale Antonio Sabato. La terapia Riccomini non funzionò e la sconfitta patita a Massa nell’ultima gara dell’andata gli divenne fatale. Ritornò Sabadini che, con non poca fatica riuscì ad ottenere la salvezza in extremis. Fu l’ultima apparizione di Galparoli nel calcio professionistico.
Mario Bocchio
Contributi
Articoli correlati
Dalla vittoria al “Bernabeu” alla panchina del “Mocca”