Museo Grigio - Archivio Storico

Stagione: 1959/1960
Serie A
24-01-1960 - Giornata: 16 - Milano - San Siro


Internazionale FC - Alessandria US 3 - 1 (2 - 0)
RETI: 23. Angelillo A. [In] , 32. Corso M. [In] , 62. rig. Lindskog B. [In] 66. Tacchi J.[A]

Alessandria US Stefani Ideo, Nardi Aldo, Giacomazzi Giovanni, Forin Romano, Boniardi Umberto, Girardo Antonio, Maccacaro Cesare, Filini Giancarlo, Rivera Gianni, Migliavacca Giancarlo, Tacchi Juan Carlos All.: Pedroni Franco

Formazione avversaria
INTERNAZIONALE FC: Matteucci; Fongaro, Guarneri; Masiero, Cardarelli, Invernizzi; Bicicli, Lindskog, Angelillo, Venturi, Corso. All.: Achilli Camillo; D.T.: Campatelli Aldo.

Arbitro: Gambarotta Carlo (Genova)
Note
Angoli: 6-8 (5-1) oppure 7-8 (4-0). Punizioni: 18-30. Spettatori: 15.000 (paganti: 7.393). Incasso: lire 5.811.909. Giornata umida di nebbia e nevischio. Inizio gara ore 14:30.

Commento
Bisogna proprio dire che l’Alessandria è andata in cerca della sconfitta. Diamine, com’è possibile rinunciare in partenza alle fasi d’attacco e chiudersi in difesa sperando in un miracoloso pareggio? Il giovane Rivera, sul quale si puntavano gli sguardi dei pochi spettatori che avevano affrontato il freddo e l’umidità di San Siro, vagava solo a centro campo e l’unico che tentava di dargli una mano era il mediocre Filini. Gli altri stavano tutti nei pressi di Stefani. L’estroso Tacchi, per esempio, poteva essere scambiato per un terzino. Contro nove difensori, l’Inter avrebbe potuto trovarsi in difficoltà, ma a smuovere le acque ci pensò subito Lindskog. Il lungo svedese lavorava per quattro e, con una precisione quasi millimetrica, metteva in azione ora Angelillo, ora Corso. Si comportava benino anche Venturi e, nonostante gli svarioni di Bicicli. La rete di Stefani era in continuo pericolo. Apriva la marcatura di un goal di Angelillo e sette minuti dopo segnava Corso. Erano trascorsi 32’ di gioco e l’Alessandria poteva considerarsi spacciata. Testardi come muli, i grigi attesero di essere irrimediabilmente sconfitti prima di far vedere qualcosa di buono. Difatti, nel secondo, uscirono dal loro guscio solo dopo il goal di Lindskog su rigore, cioè sul 3-0 per l’Inter. Da questo momento (a 27’ dalla fine), Tacchi divenne ala sinistra e ognuno assunse il proprio ruolo. Matteucci venne impegnato da tiri piuttosto pericolosi e Invernizzi si salvò in extremis in due occasioni. Ma l’Inter era già in carrozza. A conti fatti, nessuno degli alessandrini è degno di lode, perché nessuno ha potuto esprimere il meglio di sé stesso. Nell’Inter, che in alcuni momenti ha manovrato con eleganza, è salito invece in cattedra Lindskog e sono piaciuti Angelillo e Corso. Non è il caso, comunque, di dare molta importanza a questa vittoria dei neroazzurri, poiché l’avversario ha fatto veramente poco per contrastare il successo. L’Inter poteva segnare altre due o tre reti, però va detto che sul secondo goal c’è l’ombra di un fuori gioco. E non parliamo del rigore: in casi del genere, novantanove arbitri su centro avrebbero chiuso un occhio, invece il signor Gambarotta indicò il dischetto bianco e… uccise l’Alessandria. Tutto considerato, non c’è molto da raccontare. Prima di segnare, l’Inter mancava un paio di occasioni con Angelillo. Inoltre, Giacomazzi si faceva applaudire per un salvataggio acrobatico su Lindskog. Sull’altro fronte, Matteucci passeggiava avanti e indietro per riscaldarsi. Il povero Stefani era preso d’assalto e se la cavava tuffandosi a destra e a sinistra. Una tempestiva sua parata di pugno (19’) su fucilata di Lindskog, ed eccoci al primo goal. Lindskog in azione sulla sinistra, cross dello svedese, Angelillo è sulla palla e da un paio di metri insacca. Continua la giostra dell’Inter. Al 32’ Angelillo serve Corso, che viene a trovarsi solo davanti a Stefani; l’estrema sinistra – credendosi in fuori gioco – si ferma un attimo e poi segna. Reclamano i grigi, ma per l’arbitro è tutto regolare. Dal nostro posto di osservazione ci è sembrato che, prima di Corso, in posizione di «offside» si trovasse Lindksog. L’Inter è ormai a cavallo e la partita non ha più interesse. C’è un calcio di punizione a favore dell’Alessandria (con tiro di Tacchi che sfiora il montante) e c’è Bicicli che perde tempo, dando modo a Stefani di rubargli la palla. All’inizio della ripresa, un perfetto allungo di Lindskog mette in azione Angelillo che entra in area e tira: la palla batte sul palo e finisce fra le braccia di Stefani. Il signor Gambarotta ha il compito facile e dovrebbe tirare a campare, giusto come fa l’Inter. Nossignori, al 18’ il signor Gambarotta fischia un rigore a favore dell’Inter. Motivo: un tiro di Masiero viene respinto involontariamente da un braccio di Girardo. Lindskog batte la massima punizione e per Stefani è il terzo dispiacere. Finalmente, l’Alessandria si fa viva. Al 21’, su azione Filini-Rivera-Tacchi, questo ultimo infila la porta di Matteucci: l’onore dei piemontesi è salvo. (Gino Sala, «l’Unità», 25 gennaio 1960) Ordinaria amministrazione. Mezz’ora di ottimo foot-ball di stile nerazzurro e due reti a coronare l’impegno e l’assiduità nel gioco offensivo. Poi, com’era fatale accadesse, una ripresa di tono dimesso con gli ospiti finalmente arditi (dopo avere incassato il terzo gol); e premiati anche da una rete, quella dell’onore, non certo demeritata. Il distacco di classe tra i due complessi è tuttavia emerso in modo sin troppo lampante per soffermarsi sul risultato. Esso, in certo modo, suona a conforto dei grigi i quali, se appena Angelillo e compagni avessero avuto in animo di strafare, sarebbero stati travolti. La gara, sotto il profilo tecnico, è vissuta, come s’è detto, soltanto sino alla seconda rete nerazzurra. In quel periodo, si è ammirato il miglior Angelillo della stagione, lucido, preciso, onnipresente. Già domenica prima, contro l’Udinese, il «capitano» s’era mosso in scioltezza, ma ieri ha aggiunto alla spontaneità classica in fase d’impostazione, la misura nel tiro e la sapienza della accorta infiltrazione a rete. Sono doti che Angelillo possiede intrinsecamente, ma che rifulgono quando la sua vena è, come ieri, pura e scintillante. Angelillo e Lindskog, con la più frequente – rispetto a otto giorni avanti – collaborazione di Corsi, si sono adoperati al meglio, orchestrando da quei campioni che sono e disorientando una difesa avversaria che aveva spodestato Girardo sul centravanti interista, Forin sullo svedese, retrocesso largamente i due interni e liberato Boniardi. Nonostante ciò, si è assistito durante quel primo scorcio di gara ad autentiche azioni su manovra degli attaccanti nerazzurri con passaggi svelti, con scambi «di prima» entusiasmanti. Per giudicare il gioco dell’Inter, occorre dunque rimanere a quella fase. La squadra ha evitato gli eccessi di spavalderia in cui era storditamente incorsa contro i friulani. Ha tenuto Invernizzi costantemente a contatto con l’estrema retroguardia, ha controllato con Venturi la zona di mezzo campo avanzando Masiero per gli scambi. Un’Inter saggia, dopo i fatali ammaestramenti. L’Alessandria ha subito la prevalenza offensiva dei padroni di casa e solo si è risvegliata quando il suo portiere ha subito la terza rete. Allora è uscita dal guscio, ha impostato con discreta classe (Rivera, Filini, Tacchi, Maccacaro) taluni temi di manovra che tuttavia non possedevano la dovuta incisività. Comunque, il gol dell’onore è arrivato e non staremo a sofisticare sulla complicità della difesa nerazzurra apparsa, in quella circostanza, completamente ferma. Su questa retroguardia dell’Inter ci sarebbe da aggiungere qualche nota critica: la si è vista talvolta irresoluta. Bisogna che faccia attenzione, non sempre gli attaccanti avversari perdonano. L’arbitro Gambarotta ha concesso il «rigore» all’Inter con longanimità, forse a compenso di due inesistenti fuori gioco ch’egli aveva fischiato in precedenza fermando Angelillo ormai scatenato a bersaglio. La sua direzione non ha arrecato danno alle squadre, ma non è parsa perfetta. La cronaca. Giornata umida, oltre che fredda. Acquerugiola durante l’intero incontro. Spettatori sui 15.000, di cui settemila paganti. Nessun incidente di rilievo. L’Intera piena andatura. Ottiene subito un angolo, poi al 5’ intesse con Angelillo, Lindskog e Venturi una trama stupenda conclusa da un tocco dello svedese al «capitano». Questi potrebbe tirare ma allunga a Bicicli, il cui stop, sottomisura, è imperfetto: Stefani rimedia. Due minuti dopo, Lindskog, proiettato a rete da Angelillo, spara sul portiere. Quindi (8’), una bella girata a rete di Corso, previo scarto di un avversario. Al 10’ un tiro dello stesso mancino è bloccato da Stefani. Stupendo Angelillo all’11’ con un servizio a Lindskog; testa e fondo. Una punizione (18’) per fallo di Boniardi su Corso è toccata da questi a Lindskog, il cui possente tiro viene deviato da Stefani in angolo. Il gol è maturo. Arriva al 24’, semplice e bello; su rilancio dalla sinistra va via Lindskog, il quale fionda la sfera al centro; sbuca Angelillo e, imparabilmente, insacca. Si ripete l’azione al 30’, ma questa volta il tiro del «capitano» termina sul fondo. Seconda rete al 32’: Angelillo si impossessa della palla appena fuori dell’area, si sposta verso sinistra, poi fulmineamente gira di esterno destra al centro; guizza Corso tra i grigi che si sono arrestati, controlla e spara; è fatta. Una punizione parabolica di Tacchi al 40’, un angolo per l’Inter al 43’; tempo. Ripresa. Fuga di Angelillo (5’) e tiro di sinistro; palo e successivo salvataggio di Stefani. Lo stesso portiere respinge di pugno al 12’ una punizione di Lindskog. Rete della sicurezza assoluta per l’Inter al 18’; traversone di Masiero che coglie il braccio di Migliavacca. L’arbitro concede il «rigore» e Lindskog, con un perfetto rasoterra, trasforma. Qui l’Inter si dichiara paga, l’Alessandria si avventura verso Matteucci, del quale non aveva sinallora fatto conoscenza. E al 21’ lo batte: velocissima manovra Filini-Rivera-Tacchi e tiro secco dell’ala, che manda la sfera a battere sulla faccia interna del palo, quindi in porta. Ancora l’Alessandria avanti, ma su contropiede, al 29’. Angelillo è di nuovo fermato in presunta posizione di fuori gioco. Gran tiro di Tacchi al 30’, deviato a stento in corner da Matteucci. Altro angolo al 35’ per gli ospiti, che concludono la loro sfuriata con altri tre angoli. L’ultima prodezza è di Angelillo, che duetta con Bicicli e infine serve a pennello Lindskog: lo svedese, al volo, fulmina… i popolari. (Angelo Rovelli, «La Gazzetta dello Sport», 25 gennaio 1960) L'INTER SCONFIGGE L'ALESSANDRIA NONOSTANTE LE PARATE DI STEFANI Senza fortuna i grigi - Il nerazzurro Angelillo, dopo aver realizzato nel primo tempo fugge per non tirare un rigore Il gioco dell’Inter è stato brillante nella fase iniziale, ma si è andato progressivamente arruffando, come se la nebbia umida e pesante che avvolgeva lo stadio di San Siro si fosse insinuata anche nella mente degli atleti. Il mediocre secondo tempo ha addirittura scontentato gli scarsi spettatori. La tattica del fuorigioco, attuata dai grigi con avvedutezza e con tenacia, è valsa probabilmente a disorientare gli attaccanti dell’Inter, che troppe volte sono caduti nella pania, o correndo troppo avanti, o trascurando palloni preziosi; tuttavia, il sistematico spostarsi in avanti da parte del difensori alessandrini richiedeva anche la massima attenzione da parte del guardalinee e dell’arbitro, con tutti i rischi relativi, com’è accaduto in occasione del secondo goal nerazzurro, convalidato nonostante i dubbi di molti e le proteste dei grigi. Se si considera poi che nessun direttore di gara avrebbe interpretato come intenzionale il fallo di mano commesso da Migliavacca per legittima difesa (il traversone teso di Masiero ha richiesto un’intercettazione istintiva a protezione del basso ventre, senza alcuna responsabilità per il difensore), si fa presto a desumere che l’Alessandria avrebbe meritato di cavarsela meglio. Nel primo tempo, il protagonista numero uno della partita è stato il portiere Stefani, entrato in campo al posto di Arbizzani. Stefani è stato artefice di una mezza dozzina di interventi difficili, due dei quali entusiasmanti (su Angelillo e Lindskog). La prima linea dei grigi è apparsa invece evanescente, perché poco idonea non solo ad impegnare a fondo la retroguardia avversaria (Matteucci è rimasto quasi sempre inoperoso), ma anche a palleggiare con un minimo di continuità. Probabilmente, ciò dev’essere dipeso anche dalle cautele adottate (Girardo su Angelillo, Boniardi battitore libero e Migliavacca mediano). Occorre aggiungere che Rivera e Maccacaro non sempre hanno lottato validamente per la conquista di certi palloni che forse sarebbero stati recuperabili. Le prodezze del portiere non potevano salvare tutte le situazioni critiche che Angelillo e Lindskog, in forma splendente, riuscivano a creare con frequenza nell’area di rigore alessandrina: al 25’ Lindskog sfuggiva sulla sinistra ed il suo preciso spiovente trovava pronto ed inesorabile Angelillo a mandare in rete da pochi passi con una staffilata dal basso all’alto. Un senso di sfiducia sembrava diffondersi negli ospiti, che stentavano a contenere la pressione dei nerazzurri, ormai lanciati: al 32’ un allungo di Angelillo vedeva Corso pronto allo scatto, mentre i difensori grigi rinunciavano all’inseguimento, chiedendo il fuori giuoco. Di tale opinione non erano né l’arbitro né il guardalinee, cosicché Corso poteva avvicinarsi a Stefani e batterlo con un forte tiro di sinistro. A questo punto si è avuta l’impressione che la partita si fosse esaurita, non soltanto per l’ansietà del risultato finale, ma anche per le sue indicazioni generali; difatti, il secondo tempo, giocato con visibilità ridotta (la nebbia, mista alla pioggerella, si era infittita) ha mostrato l’Inter in tono piuttosto dimesso, soprattutto in fatto di coordinazione, mentre l’Alessandria, di fronte all’evidente calo degli avversari, ha dato segni di risveglio come se avesse ritrovato di colpo aggressività e baldanza. Al 5’ Angelillo, infiltratosi nel dispositivo della retroguardia alessandrina, riusciva a prevenire il portiere in uscita, ma il pallone picchiava contro la base del palo, permettendo il successivo salvataggio di Stefani; poi, al 18’, sopraggiungeva l’episodio del calcio di rigore a dare la spinta definitiva alla vittoria nerazzurra. Diciannove arbitri su venti non sarebbero stati così severi: comunque, al momento del penalty, «fuggito» Angelillo fino all’altezza dei propri terzini per esimersi dal tiro, spettava a Lindskog realizzare dagli undici metri il terzo goal dell’Inter. Quasi per ribellarsi alla palese ingiustizia, Tacchi, tre minuti dopo, avanzava deciso tra i difensori nerazzurri e con un pallonetto beffardo, che urtava contro la facciata interna del palo opposto prima di entrare in rete, lasciava di stucco Matteucci e indicava al compagni di squadra la via della riscossa. Successivamente Stefani rimaneva azzoppato (stiramento muscolare, dopo quasi due anni di assenza dalle partite ufficiali) tanto da dover saltellare su una gamba sola; ma la pressione dei nerazzurri si era alquanto alleggerita e straripavano anzi gli avanti alessandrini, che nella fase finale avrebbero ridotto al minimo il loro scarto se Matteucci non fosse riuscito a deviare di misura in angolo un forte tiro di Tacchi e quindi a salvare una situazione quasi disperata per la sua porta. Naturalmente, pure i nerazzurri hanno sfiorato altre volte il goal (a quattro minuti dal fischio di chiusura Angelillo, giunto solo solo con il pallone davanti al menomato Stefani, ha preferito lasciare a Lindskog, che ha messo a lato da pochi passi); ma il vibrante ritorno dei grigi ha in sostanza sollevato e animato una partita che andava languendo, sul terreno reso sempre più molle e viscido dal pulviscolo gelato che scendeva dal cielo basso e grigio. L’Alessandria ha superato l’Inter in fatto di calci d’angolo (sette a sei) tirandoli tutti nella ripresa, e ciò documenta la validità dell’impennata che nessuno più si attendeva. (Leo Cattini, «Stampa Sera», 25 gennaio 1960) L’Inter è squadra da un tempo solo? L’interrogativo è legittimo dopo aver assistito, come ci è capitato, a molti incontri dei neroazzurri. Come a Palermo, anche qui a San Siro contro l’Alessandria la squadra di Angelillo ha giocato in scioltezza il primo tempo, per poi calare paurosamente nella ripresa. Cause e concause di questi cedimenti sono probabilmente da ricercarsi nella sommarietà dell’impostazione tattica e nella deficiente tenuta di alcuni uomini chiave. Contro l’Alessandria, segnati i due magnifici gol con Angelillo e Corsi, i neroazzurri hanno dominato con ottime trame tutto il primo tempo, tuffati nel nevischio e nella foschia di un tristissimo San Siro, che li trasformava in ombre vaganti. Pareva che l’Inter dovesse passeggiare contro la pur valida Alessandria, che pareggiò domenica scorsa con la Fiorentina e che si cautelava con il tradizionale catenaccio (Boniardi battitore libero, Girardo su Angelillo, Migliavacca arretrato a mediano). La ripresa ha invece mostrato l’altra faccia della luna, cioè una lunatica Inter quieta ed arrendevole a subire l’iniziativa e la pressione avversaria. Un’altra squadra più solida in attacco della compagine grigia avrebbe forse messo in crisi l’affannata difesa neroazzurra: invece, è venuto, per la poca incisività di Rivera e soci, il solo gol di Tacchi, bilanciato per altro da un magnanimo rigore di Lindskog. In ultima analisi, è giusto così. È giunto il risultato, che non scontentava Pedroni negli spogliatoi a fine gara. «L’Inter è troppo forte per noi – diceva l’allenatore dei grigi – è troppo forte perché ha ritrovato il suo Angelillo, che ha imperversato. Noi siamo venuti a San Siro quasi rassegnati ad una onorevole sconfitta, sperando solo in una piacevole sorpresa. Nulla più. Angelillo non lo si può tenere né con uno, né con due, né con tre uomini. Se si muove con lo stile che lo distingue, fa quello che vuole, e allora a che vale una tattica? Angelillo è come Sívori, forse è meglio di Sívori». Ecco, Angelillo. Ha calzato gli stivali magici del gatto della fiaba trasformandosi quasi nell’Angelillo dello scorso anno. Saltava gli avversari come danzasse, suggeriva il gioco con sagacia, ma la nera giornata di Bicicli e la scarsa prova di Venturi, il calo del pur bravo Lindskog gli hanno tarpato un po’ le ali. Solo Corso lo ha assecondato con spunti classici, ma talora intempestivi. Questa Inter si è identificata, come spesso avveniva lo scorso anno, in Angelillo; ma se dobbiamo mettere il dito sulla piaga, essa difetta sempre di un equilibrio, ha una strana fiducia ed una instabile tranquillità. La sua difesa amorfa balbetta se un minimo pericolo si profila, perde le battute e la calma. Così è stato anche oggi contro l’Alessandria nella ripresa. L’Alessandria, generosa e semplice, ha fatto una degna partita, balzando dal suo catenaccio in azioni di contropiede che, nella ripresa, hanno assunto i toni ed i contorni di una vera e propria manovra d’attacco a tutta pressione. L’Inter è rimasta quasi prigioniera nella sua area per lunghi momenti. Hanno fatto spicco nelle file alessandrine il portiere Stefani, che rientrava dopo quasi due anni di assenza in prima squadra, il bravo terzino Nardi, l’intramontabile Boniardi e, all’attacco, il peperino Tacchi, il solo che abbia tirato decisamente a rete. La partita è iniziata con una magnifica azione impostata da Masiero al 4’. Angelillo ha scambiato con Lindskog ed ha poi tirato con qualche precipitazione a rete, sbagliando il tiro: il pallone è finito sui piedi di Bicicli, l’inabile Bicicli, il quale non ha trovato migliore soluzione che quella di lasciarsi anticipare dal portiere. Era questa l’avvisaglia della «buona volontà» dei neroazzurri, ribadita al 6’ da una magnifica azione di Angelillo, che da centro campo è scattato superando tutti gli avversari: trattenuto, sballottato, è filato avanti, cautelato dalla regola del vantaggio sulla quale l’arbitro aveva oculatamente deciso di non intervenire. Un tiro in area del cannoniere neroazzurro è stato respinto a pugno da Stefani; altro tiro di Corso a fil di montante; buone trame dell’Inter, nuovo tiro di Corso, colpo di testa di Lindskog a fil di traversa, fortissima punizione dello svedese a terra, deviata in angolo da Stefani: un monologo, una dittatura dell’Inter. L’Alessandria è chiusa nella sua area, non riesce a imbastire neppure un contropiede. In simili condizioni, logico che il goal neroazzurro non tardi ad arrivare al 24’. L’azione viene impostata da Masiero, che porge a Lindskog, il quale scende sulla sinistra superando in dribbling due avversari, poi, con l’esterno del piede destro, centra a mezza altezza; di piatto, lanciatissimo, interviene Angelillo e il pallone, da cinque metri, è collocato imparabilmente in rete. Sembra questo l’inizio di una vendemmiata neroazzurra e, al 29’, un nuovo tiro di Angelillo sfiora la traversa. Sempre Angelillo al proscenio: eccolo driblare due, tre avversari, smarcare a centro area Corso, mentre tutti i difensori si fermano, invocando il fuori gioco. Corso, invece, avanza e con un gran tiro di sinistro sotto la traversa batte per la seconda volta il bravo Stefani. L’Alessandria, frustata dal doppio passivo, tenta una vibrante reazione. Attacca, ma nessun tiro parte dagli sfocati Tacchi, Rivera e Maccacaro. L’azione più pericolosa, a conclusione del primo tempo, è manovrata da Bicicli, al 44’, il quale riprende una respinta al centro area di Stefani e, anziché tirare subito in gol, si fa precedere ancora dal portiere, cincischiando con il pallone fra le gambe. Bicicli commette questo errore, che non è il solo della sua incolore partita. Nella ripresa, il volto dell’incontro muta: parecchie grinze si profilano nel gioco dell’Inter, che riesce a segnare al 18’ grazie ad un longanime calcio di rigore che l’arbitro concede per un braccio di Migliavacca in area su tiro di Masiero. Tutti i giocatori e il pubblico vorrebbero il bravo Angelillo come giustiziere dagli undici metri. Angelillo, invece… fugge a metà campo. Batte la massima punizione Lindskog con un forte tiro a terra e l’Inter è così in vantaggio per tre reti a zero. L’Alessandria non si rassegna al grave passivo e da questo momento inizia una serrata manovra di attacco, che si protrarrà sino alla fine della partita: Tacchi, al 29’, segna dopo un veloce cambio alle soglie dell’area di rigore con Rivera. Il tiro della piccola ala alessandrina batte contro l’interno del palo e schizza in rete. La squadra neroazzurra diminuisce sempre più il suo ritmo e il suo gioco e ne approfittano Tacchi, Rivera e compagni per portare diverse minacce a Matteucci, il quale si salva con alcuni egregi interventi. Dall’altra parte, resta invece inoperoso Stefani che, in uno spericolato intervento, si produce uno stiramento alla coscia destra e sta zoppicando appoggiato al montante della porta. L’Inter, in questo periodo, palesa più incertezze difensive, ma gli alessandrini non sanno trarne profitto. Così, senza che la partita dica più nulla, finisce nello squallido scenario di un San Siro avvolto nel nevischio e in una nebbiolina che sfuma tutti i contorni e rende i giocatori simili a ombre. Un’ombra è stato anche il gioco, che avrebbe dovuto esaltarsi in qualche azione più degna e in manovre più razionali. (Ferruccio Berbenni, «Corriere dello Sport», 25 gennaio 1960) I GRIGI SCONFITTI A MILANO DALL'INTER (3-1) Domani l’Alessandria a Roma contro la Lazio Domenica scorsa, contro l’agguerrita e solida Inter, l’unità alessandrina ha dovuto abbassare bandiera, ma non per essere stata dominata sul piano tecnico ed agonistico bensì per la sfortuna ed il direttore di gara che le furono nettamente ostili. Le nostre recriminazioni, purtroppo, non giovano a far recuperare all’Alessandria il punto che così ingiustamente le è stato carpito, ciò non di meno servono ancora una volta a mettere a fuoco il comportamento poco ortodosso degli arbitri nei confronti delle squadre provinciali. L’evidentissimo «fuori gioco» di Corso, che ha dato ai padroni di casa la possibilità di realizzare indisturbati la seconda rete, e l’involontario fallo di mani di Migliavacca che ha consentito al sig. Gambarotta di sanzionare il calcio di rigore trasformato in goal da Lindskog, rappresentano preziosissimi doni che gli arbitri, ai fini di accattivarsi simpatie di personalità della Lega, si compiacciono di elargire, frequentemente, ai complessi metropolitani, come se questi soltanto avessero diritto di sopravvivenza. Per l’umile provincia, non vi sono che i danni e le beffe. Ieri le beffe ed il danno toccarono all’Udinese, oggi all’Alessandria. E non si può nemmeno avanzare un reclamo, in quanto le decisioni degli arbitri sono riconosciute insindacabili dagli organi federali, che le ritiene perfette e lineari, mentre in realtà esse appaiono sovente più gibboso della groppa di un cammello. Alla vigilia dell’ultima tappa del girone di andata, la situazione della nostra Alessandria appare sempre più precaria. Al suo attivo, vi sono una vittoria casalinga, quattro sconfitte esterne ed una interna, sette pareggi tra le mura, amiche e tre su campi avversari. Un consuntivo francamente demoralizzante, perché non consono alla vera capacità dei singoli componenti la compagine, e di riflesso di tutto l’assieme. Le cause che hanno relegato i grigi in fondo alla classifica sono molteplici, e da tempo di pubblico dominio. L’assoluta mancanza di iniziativa e di intraprendenza in primo luogo, ed in secondo luogo la costante e meticolosa trasformazione dell’unità. Nel primo caso dobbiamo ammettere con soddisfazione che la situazione si va normalizzando. Difatti, dai dati che abbiamo sottomano, possiamo rilevare che l’Alessandria nel corso delle precedenti 14 partite disputate all’insegna del «catenaccio» realizzò il misero bottino di sette reti, mentre negli ultimi due incontri, giocati in clima di libertà e di decisione, le reti segnate sono state quattro di cui una – la prima dell’attuale campionato – fuori sede. Se si pensa inoltre che 3 delle predette reti sono state segnate contro la Fiorentina squadra notoriamente salda in difesa il nostro motivo di rallegramento e soddisfazione prende più consistenza. L’attacco alessandrino, a ragion veduta, dimostra una sterilità inferiore a quella attribuitagli dai suoi stessi dirigenti e tecnici. Noi non abbiamo dei campioni qualificati, comunque abbiamo degli elementi che, se ben guidati e amalgamati, possono compiere imprese di ordinaria e straordinaria amministrazione. L’assenza di Pedroni è stata proficua, in fatto di reti. Ciò dimostra chiaramente che la tesi sostenuta dall’allenatore-giocatore, sull’utilità del «catenaccio» e sulla eccessiva fragilità del settore avanzato, è completamente errata nella sostanza. Alla luce dei fatti noi ci domandiamo se valeva la pena di spendere quel che si è speso per Taddei e Maccacaro, quando concordemente tecnici e dirigenti si erano prefissi di rinunciare a qualsiasi azione offensiva per limitare il compito dei loro uomini esclusivamente alla difesa. In questo caso specifico, sarebbe bastato rinunciare alla vendita di Pistorello e Traverso per raggiungere lo scopo. La squadra alessandrina sino a poco tempo addietro ha dato l’impressione di giocare con tre terzini ed otto mediani avendo, per effetto del «catenaccio», sovvertito il ruolo degli attaccanti in quello di mediani. A prescindere dal fatto che il «catenaccio», come abbiamo visto, impedisce alla squadra di conseguire le vittorie agognate dagli sportivi, esso concorre altresì a svalutare eccessivamente gli atleti, i quali, in virtù della ristrettezza dell’espletamento dei loro compiti, mai potranno far emergere, pur se ne sono dotati, le loro doti, richiamando in tal modo l’attenzione dei tecnici e dei critici, così necessaria ai fini delle eventuali cessioni. Per questo motivo, ma soprattutto per la salvezza dell’Alessandria, noi, modestissimi azionisti della benemerita Finanziaria, invochiamo ancora l’intervento fattivo dell’avv. Peverati e dei suoi valorosi collaboratori affinché tempestivamente operino nell’interesse di tutti gli azionisti e non azionisti per il bene, la prosperità ed il migliore avvenire della gloriosa ed intramontabile U.S. Alessandria. Non avanziamo pretese eccessive, il nostro desiderio si arresta ad una attuabile richiesta: dare alla compagine grigia una guida che sappia plasmarla, darle la sua antica fisionomia, l’orgoglio e la dignità di una unità nel vero senso della parola: una guida che sappia bandire la codardia della rinuncia e ridare all’Alessandria vigore e prestigio. (Romolo Vite, «Il Piccolo», 30 gennaio 1960) Anche se il divario tecnico tra le due squadre è notevolissimo, possiamo dire che la Alessandria poteva anche ottenere un risultato positivo sotto forma di pareggio perché il secondo goal interista è stato molto probabilmente segnato in fuori gioco (dalla nostra posizione era difficile giudicare) ed il terzo con un calcio di rigore che l’arbitro poteva anche non decretare. Quanto sopra per la cronaca arida che si basa soltanto sulle cifre, ma in campo, nel primo tempo, si è potuto chiaramente osservare che esisteva una sola squadra, l’Inter, contro undici uomini che si battevano alla disperata nella loro metà campo, sperando di resistere il più a lungo possibile. Angelillo imperversava duettando ora con Corso, ora con Lindskog ed era follia sperare che la difesa grigia non capitolasse. A risultato acquisito, l’Inter ha cominciato a gingillarsi e l’Alessandria, troppo tardi, ha tentato qualche azione che è sempre riuscita perché la difesa dei neroazzurri è una difesa da Serie B e non da squadra da scudetto. Bravo Stefani. Una partita splendida, qualche parata eccezionale, un coraggio non comune specialmente quando, menomato da uno stiramento muscolare, ha detto «no» ad un paio di tiri degli avversari. L’anticamera non gli ha nociuto e ne siamo lieti perché Stefani ha sempre fatto il suo dovere qui da noi. Caos in prima linea: sì, perché i componenti della linea avanzata dell’Alessandria non sanno bene in quale ruolo giocano e che cosa debbono fare. A Milano, Maccacaro stringeva naturalmente verso il centro per poter svolgere il suo gioco naturale, Filini era costretto a spostarsi spesso all’ala, Tacchi giocava a centro campo in posizione arretratissima, come se fosse un giocatore capace di dettare temi di gioco e Rivera veniva sempre preso in mezzo dai compagni e non aveva spazio per manovrare o, per lo meno, per tentare qualche azione. Non parliamo di Migliavacca che avrà passato la metà campo tre volte. Peccato, perché contro la difesa dell’Inter si potevano tentare azioni piratesche come quelle dell’Udinese la domenica precedente se la prima linea avesse qualche idea chiara in testa ed i giocatori sapessero ciò che dovrebbero fare. Ma ormai anche questa partita è passata all’archivio come le altre e domenica prossima gli stessi errori verranno nuovamente commessi come al solito. Sui giornali di Torino, «Tuttosport», corrispondenza da Alessandria, e sulla «Stampa» abbiamo letto con piacere che carovane di sportivi sarebbero partiti con ogni mezzo alla volta di Milano. Le notizie puzzavano di «balla» lontano un chilometro, ma per un attimo ci siamo illusi; poi abbiamo pensato che gli sportivi stentano ad andare al Moccagatta, figuriamoci se con quel tempo sarebbero partiti per Milano. Infatti, sul campo, il «vuoto», qualche timido «forza grigi» e basta. (Egi, «Il Piccolo», 30 gennaio 1960) RISULTATI: Atalanta-Bologna 3-0 Fiorentina-Bari 4-2 Padova-Lazio 2-0 Palermo-Genoa 1-1 Roma-Napoli 3-0 Sampdoria-Juventus 0-2 Spal-Milan 0-3 Udinese-Lanerossi Vicenza 2-2 CLASSIFICA: Juventus 26; Internazionale, Milan 22; Fiorentina 21; Spal 20; Bologna, Padova 17; Atalanta, Roma 16; Lanerossi Vicenza, Sampdoria, Udinese 14; Lazio* 13; Alessandria, Napoli, Palermo 12; Bari 11; Genoa* 7. MARCATORI: 11 gol Sivori (Juventus) 9 gol Brighenti (Padova), Charles (Juventus), Hamrin (Fiorentina) 8 gol Altafini (Milan) 7 gol Bettini L. (Udinese), Firmani (Inter), Pivatelli (Bologna), Selmosson (Roma) 6 gol Angelillo (Inter), Conti O. (L.R. Vicenza), Lindskog (Inter), Pascutti (Bologna), Stacchini (Juventus) Il punto sul campionato Nel campionato di calcio serrata lotta fra le tre prime LA SAMP E UNA SERIE DI DISAVVENTURE HANNO FERMATO LA JUVENTUS CAPOLISTA I bianconeri scesi in campo, a Genova, in formazione rimaneggiata hanno avuto Castano infortunato, ma sono riusciti a vincere - Anche Milan e Inter superano i rispettivi avversari I risultati della penultima giornata del pirone d'andata del campionato non hanno modificato in nulla la fisionomia del gruppo di testa della classifica, ma ne hanno, in certo quai senso, più. nettamente determinato i contorni. Davanti a tutti, sono rimaste le quattro .grondi unità che, ftn dall'inizio, dominano la equazione: Juventus, Milan, Internazionale e Fiorentina. Le quali, in modo e tono diversi l'una dall'altra, hanno superato vittoriosamente le rispettive fatiche Dal gruppo si è staccata invece, senza perdere contatto però, quella Spai di Ferrara che, pur-avendo sorpreso un po' tutti per le prestazioni fornite, era sempre stata considerata più come una aggregata che come una effettiva al plotone del comando. Ad opera di un Milan che sta ritornando in efficienza, i ferraresi hanno, per tre reti a zero, subito la loro prima sconfitta casalinga. Ciò, mentre l'Internazionale batteva per tre a uno l'Alessandria a San Siro, e mentre la Fiorentina, pure sul proprio terreno, costringeva alla resa il Bari per quattro reti a due. Ma la giornata, tutto considerato, è dominata dalla prodezza di carattere speciale, alla quale si è librata la Juventus a Genova. Si è trattato di un collaudo di carattere particolare. I bianconeri si sono trovati colla loro squadra colpita dal fuoco tambureggiante di disavventure di tutti i tipi e le qualità. L'undici nazionale t dalle stellette» ha prelevato loro tre elementi di valore: li hanno sostituiti con altri tre, che alla prova pratica non hanno demeritato affatto. Dopo una ventina di minuti di giuoco si sono visti privati dei servigi di uno dei loro terzini: hanno rimaneggiato la formazione, ed hanno tirato avanti con dieci uomini soli. Più avanti nel corso dell'incontro, hanno avuto un paio di altri elementi duramente toccati: hanno reagito gettando sulla bilancia il peso palino per il Genoa, che, nella lontana Sicilia, ha chiuso con un pareggio per uno a uno il confronto col Palermo. E' poca roba, un punto, ma per i liguri, che si trovano nella situazione in cui si trovano, è giù qualche cosa: è un appiglio. Un pareggio che ha, per il momento, un notevole valore morale. (La Stampa - Vittorio Pozzo)