Museo Grigio - Archivio Storico

Stagione: 1958/1959
Serie A
08-03-1959 - Giornata: 22 - Alessandria - Giuseppe Moccagatta


Alessandria US - Milan AC 1 - 2 (1 - 0)
RETI: 11. Tacchi J.[A] 53. Altafini J. [Mi] , 73. Altafini J. [Mi]

Alessandria US Cuman Pacifico, Boniardi Umberto, Giacomazzi Giovanni, Snidero Cirano, Pedroni Franco, Pistorello Giancarlo, Castaldo Ercole, Manenti Michele, Lorenzi Benito, Girardo Antonio, Tacchi Juan Carlos All.: Pedroni Franco

Formazione avversaria
MILAN AC: Buffon; Fontana, Zagatti; Liedholm (I) Nils Erik, Maldini, Occhetta; Danova, Galli, Altafini, Schiaffino, Bacci. All.: Bonizzoni Luigi; D.T.: Viani Giuseppe Ferruccio.

Arbitro: Rigato Gino (Venezia)
Note
Angoli: 1-3 (1-2). Spettatori: 15.000. Giornata serena, terreno fangoso. Inizio gara ore 15:00.

Commento
DUE ERRORI DEI DIFENSORI DELL'ALESSANDRIA SPIANANO AL MILAN LA VIA DELLA VITTORIA Tacchi colpisce un palo e porta i grigi in vantaggio nel primo tempo - Rete di Altafini nella ripresa Il Milan ha vinto ad Alessandria non una partita, ma una battaglia. Il gioco è stato un corpo a corpo continuo, vigoroso, aspro. I cultori di statistiche dicono che il Milan non vinceva da ventidue anni ad Alessandria. Pensate, è passata tutta una generazione di giocatori, e finalmente ieri ha rotto l’incanto. Alla fine, il pubblico l’ha fischiato. Non era stato soddisfatto del gioco, e aveva ragione; le due reti di Altafini erano scaturite da due errori della difesa, era mancata insomma la espressione della forza, quella superiorità di gioco che sola poteva giustificare e fare accettare in silenzio il risultato. È stato infatti un brutto Milan quello che s’è visto ieri, forse il più brutto della stagione, perché crediamo che giocar peggio non possa. Di fronte ad un avversario così deludente, l’Alessandria, che alla vittoria non ci pensava, s’è dapprima illusa, poi è rimasta mortificata. Vediamo che cosa è successo. Contro ogni attesa, la prima ad attaccare è stata l’Alessandria. Al 1’ una cannonata di Tacchi su punizione da venti metri ha colpito lo spigolo alto della porta alla destra di Buffon. È stato un momento di brivido. L’Alessandria giocava contro sole, il campo era pesante e le scarpe affondavano nel fango, la manovra diventava difficile e occorreva semplificarla. Come previsto, la squadra grigia giocava tutte le sue carte sulla difesa. Le punte dell’attacco erano Lorenzi e Tacchi, il resto si trovava a far massa nelle retrovie. Girardo, che era mezzo sinistro, era dedicato alla guardia di Altafini, Snidero stava su Schiaffino, ma quando vi sono otto difensori contro quattro o cinque attaccanti, la distribuzione dei compiti diventa fittizia, è tutto lo schieramento che si mette in azione. Ultimo baluardo, Pedroni, battitore libero. Con questo schieramento, l’Alessandria imbrigliò per tutto il primo tempo il Milan, mentre all’attacco operavano i due guastafeste di cui sopra. Ed ecco il colpo di scena. Al 12’ la coppia diabolica si metteva in azione. Avanzava Lorenzi che giungeva fino ad una ventina di metri dai pali. Galli cercava di ostacolarlo, ma sbagliava il tempo dell’intervento, Lorenzi, libero per un momento, allungava a Tacchi che già stava scattando, l’ala sinistra giungeva sola in area, Buffon usciva alla disperata ma non c’era più nulla da fare. Andata in vantaggio, l’Alessandria non aveva certo motivo di mutare schieramento. Il Milan si buttò con impeto nella mischia. Tutta la metà campo era sua, i grigi non pensavano nemmeno a ostacolarlo in questa zona, stavano rannicchiati nella loro area e aspettavano che gli avversari avanzassero. Ma questi avversari apparivano tutt’altro che in vena. Liedholm sgobbava per tutti, mentre Occhetta, Bacci, Schiaffino, Galli non apparivano certo degli sfondatori. Il terreno, rallentando lo scatto degli avanti e ostacolando la manovra a terra, favoriva indubbiamente la difesa. Il Milan si vide quindi costretto ad operare con passaggi lunghi e alti, che è il gioco meno adatto ad una squadra che voglia stabilire la sua superiorità tecnica. I palloni cadevano nella mischia ove erano preda dei difensori più numerosi, la casualità delle traiettorie facilitava questo lavoro di sbarramento, cosicché in tutto il primo tempo si può dire che mai Cuman venisse impegnato seriamente. A quattro minuti dal riposo, il colpo di mano dei grigi fu ad un pelo dal ripetersi. Il contrattacco era iniziato da Castaldo e continuato da Tacchi, spostato nel ruolo di estrema destra. Svelto, insinuante, abile, il sudamericano scartò tre avversari, giunse fino a pochi passi dalla porta e fu allora che cercò di passare rasoterra al centro, ove era appostato Lorenzi. Buffon intuì e fu questione d’un attimo; lo favorì la relativa lentezza del passaggio, si buttò in tuffo sulla sua destra e riuscì ad abbrancare la palla a un metro da Lorenzi. È stata questa l’ultima occasione dei grigi di tutta la partita. Essi diedero tutte le loro forze, generosamente, ed il premio era stato degno della grande volontà agonistica dimostrata. Occorreva ora resistere. Nel secondo tempo riprese il solito gioco: mezzo campo libero, sbarramento al limite dell’area, contrattacchi di Tacchi e Lorenzi ai quali si aggiungevano, se l’azione insisteva, Castaldo e Manenti. Le speranze di poter resistere duravano appena otto minuti. A questo punto, un centro di Liedholm, sul quale si era portato Pedroni, faceva maturare il pareggio. Sul passaggio si precipitavano da direzioni opposte Galli e Cuman, dall’urto la palla schizzava a lato, pronto Altafini la riprendeva e la spediva nella porta vuota. Il bel sogno dei grigi era finito. Il gioco del Milan si fece più minaccioso mentre si notava un principio di rilassamento nella Alessandria. Al 15’ Altafini mancava, scivolando, un’occasione da pochi passi, al 16’ un tiro di Schiaffino era bloccato da Cuman che si lasciava poi sfuggire la palla oltre il fondo. Il momento di crisi doveva riuscire fatale ai grigi. Al 29’ scendeva Danova sulla destra, passando quindi a Bacci che aveva stretto al centro. Su Bacci stava in quel momento Girardo, l’uomo migliore dell’Alessandria. Egli volle passare indietro a Cuman, ma un po’ il terreno pesante che ha frenato il passaggio, un po’ la lentezza di Cuman nell’uscire dai pali, fecero fallire il tentativo. Il carro armato Altafini, che stava all’agguato, scattò lui, raggiunse la palla prima di Cuman e la infilò nella rete. Ci fu ancora, al 36’, un salvataggio di Girardo sulla linea della porta su tiro di Bacci, poi si iniziò lo splendido e inutile serrate dell’Alessandria. Forse, se la squadra grigia avesse avuto più coraggio, l’andamento della partita avrebbe potuto essere diverso. Certo, un Milan come quello di ieri poteva essere un bel boccone, ma è vero che anche il prestigio di una squadra finisce col fare classe e gioco, ed è la stessa compagine avversaria a spianare la strada. Come è accaduto ieri. L’Alessandria era sicura di perdere e lo stato d’animo di chi può vincere non lo ebbe mai, nemmeno quando si trovò in vantaggio. Il Milan è stato invece vigoroso e disordinato e l’atmosfera della squadra destinata a vincere la respira sempre. La prima poté uscire a testa alta dal campo benché battuta; il secondo poté, da parte sua, dare ad una vittoria tanto tirata e sudata quasi il sapore di un fatto del tutto normale. (Ettore Berra, «Stampa Sera», 9 marzo 1959) Gridò «ladri, ladri» il pubblico alla fine, eppure mai tale appellativo è parso fuori luogo ed ingiusto, e addirittura paradossale. Ma come ladri? Una squadra attacca per ottanta minuti su novanta, riesce financo a far del buon football su di un terreno impossibile e la si tratta così? Il pubblico alessandrino, troppo a lungo cullato dall’illusione di quel gol di vantaggio, si è lasciato prendere dal dispetto, forse, quando il punteggio è stato capovolto. Da qui un certo senso di reazione che è sfogato appunto nell’illogico «coro» finale. S’era messa brutta per il Milan, questo sì. A dimostrazione che un vice-Grillo (il Grillo sensazionale delle ultime domeniche di campionato, beninteso) non si improvvisa. Grillo era (e sarà) pedina determinante per la realizzazione per la realizzazione degli schemi rossoneri. Lui legava i due tronconi di retroguardia e di attacco con un lavoro continuo, e prezioso, ed espresso attraverso una carica dinamica che aumentava il ritmo dei temi d’offesa e li rendeva più razionali, più efficaci. Tutto ciò che, insomma, oggi è mancato. Un Milan freddo, quello visto al Moccagatta, un Milan troppo stilizzato, troppo «primo della classe». Sull’infame fondo fangoso ha preteso di poter giostrare in punta di bulloni, come se il tappeto fosse ideale. E poiché la vena non ispirava il regista in attacco (Schiaffino, per l’occasione), e Carletto Galli giostrava in retroguardia come suole da tempo, ed Occhetta sbagliava sciaguratamente tutto in fase d’impostazione, ecco che il guizzante Danova e lo scatenato Altafini (non val la pena di parlar di Bacci, oggi opaco e fuori registro) mai trovavano il lancio ad hoc per l’impennata esaltante. Così il super-catenaccio alessandrino aveva gioco facile, facilissimo. Pedroni aveva piazzato Girardo alle costole di «Mazzola», che lui aspettava tranquillo sulla seconda battuta. Pistorello agiva libero sul centrocampo, coadiuvato da Manenti e Castaldo, sicché le punte grigie si limitavano ai soli Lorenzi e Tacchi. E la manovra del Milan – armonica ed elegante in fase d’avvio – si frantumava regolarmente alle soglie dell’area piemontese. Disco rosso, tabù (e gran nostalgia di Grillo). A complicar la faccenda era giunto, dopo soli 12’ scarsi, il gol di Tacchi, al quale un errore di Galli aveva dato il «la». Né col passar dei minuti il Milan dava l’impressione di poter rimediare, pur attaccando – male – senza soluzione di continuità. L’incontro, tuttavia, trovò la chiave della sua soluzione nella ripresa, allorché due errori della difesa alessandrina (un ambizioso dribbling di Pedroni il primo, un debole tocco all’indietro di Girardo il secondo) capovolsero il risultato, in ossequio alla logica ed alla reale differenza dei valori tecnici in campo. Non ci si può difendere per ottanta minuti su novanta a catenaccio senza mettere in preventivo qualche errore. La compagine piemontese ne ha commessi due e li ha pagati cari e salati. Il Milan della ripresa ha comunque legittimato quel successo che nella prima parte della gara sembrava irraggiungibile. Guidato dallo stupendo Liedholm, orchestratore principe nella fascia centrale, ebbe un Galli su di giri alla distanza; ed il puntiglio di Schiaffino supplì in parte alla deficienza del giocatore in fase di impostazione. Aggiungasi un Danova superbo per scatto e varietà di temi e l’implacabile Altafini, che in zona gol pare ispirato da n sesto senso ed avrete un quadro abbastanza fedele dell’aspetto migliore che il Milan ha presentato oggi. Gli è inoltre che, a lungo andare, s’era fatto corto il fiato dell’Alessandria, e pese le sue gambe (sembrava camminasse, il Milan, ma faceva correre la palla; e chi si trovava per disgrazia in quella ragnatela di passaggi andava a finire che ne usciva stordito); ed allora, come era fatale avvenisse, i nodi sono giunti al pettine. Così, alla distanza, anche le prove negative dei vari Bacci, e Occhetta, e Zagatti – che si erano stagliate nitide ed accusatrici nella prima fase del match – si stemperarono alla distanza; al pari di talune incertezze di Buffon (ma non chiede la palla ai suoi compagni, allorché si appresta ad uscire?) e di Maldini. Fontana, lui tenne il suo posto, sempre, con l’autorità del campioncino; e Tacchi non scherzava affatto. Che dire dell’Alessandria? Di più, forse, in coscienza non poteva fare. S’è difesa con ordine e sicurezza nel primo tempo, si è disunita allorché la stanchezza ha appannato i suoi riflessi e più incisiva s’era fatta l’azione avversaria. Senza colpe Cuman, bravissimi quasi sempre Pedroni (ah, quel voler strafare, a volte come costa!) e Giacomazzi. Sulla linea del normale rendimento Boniardi e Snidero. Deludente Pistorello, che mai ha trovato tempo, posizione e misura. Ottimo Girardo, che ha fatto da sentinella ad Altafini ed all’occorrenza non ha mancato di rendersi utile in fase di propulsione. Lodevole l’attività di Castaldo, a corrente alternata quella di Manenti. Delle due punte, Lorenzi s’è spento dopo un promettente avvio e Tacchi, isolato com’era, di più non avrebbe potuto rendere. Un’Alessandria, per concludere, che esce a testa alta dal confronto. Non l’ha mortificata il punteggio, non l’ha mortificata il gioco. L’arbitro Rigato ha diretto con polso fermo e decisioni tecniche che non prestano il fianco a critiche; in ciò è implicita una lode. Cronaca, taccuino alla mano. «Mani» di Galli al limite dell’area rossonera, al 1’. Punizione: batte Tacchi, una gran sventola mancina, la sfera colpisce l’incrocio dei pali e poi schizza sul fondo. Dopo che Altafini viene anticipato da Pedroni su calibratissimo lancio di Liedholm, tenta Bacci – fiaccamente – il tiro a rete: Cuman para facile (è il 4’). Un’altra punizione battuta da Tacchi è fermata con sicurezza estrema da Buffon. Gran salvataggio di Galli su Lorenzi (sfuggito a Maldini) al 7’. Sventola di Occhetta (al 9’): Cuman arresta benissimo in tuffo. Non sorte esito un calcio franco tirato da Altafini all’11’. 12’: un indugio di Galli è fatale al Milan; Lorenzi soffia la sfera all’interno rossonero e serve Tacchi, scattato solissimo a rete; un tocco deciso ed il gioco è fatto. 1-0! Sterile la pressione rossonera. Altissima (22’) una fucilata di Occhetta, debole un tiro di Danova (25’). Su centro di Galli (36’) e finta di Danova, Bacci s’impappina al momento giusto: e l’occasione sfuma. Centro di Zagatti al 40’ e gran capocciata di Altafini per la deviazione a rete: Cuman para tranquillo. Terribile il contropiede grigio al 41’: scendono in tandem Castaldo e Tacchi, sinché l’oriundo, da posizione angolata – incerto fra il passaggio al «libero» Lorenzi ed il tiro diretto –, sparacchia maldestramente addosso a Buffon. Tempo. Blanda pressione del Milan all’inizio della ripresa. Metà campo da vendere. Pareggio al 7’, e pare il gemello del gol alessandrino: Pedroni vuol snobbare un poco e Liedholm gli soffia la sfera, indirizzandola – rasoterra – al centro: Boniardi manca il tackle con Galli e la palla finisce ad Altafini, che facilmente fa centro nel bersaglio. Occasionissima mancata da Danova al 12’. Tre minuti dopo, Altafini fallisce l’aggancio su magistrale cross dell’impareggiabile Liedholm. Saetta improvvisa di Schiaffino al 16’; Cuman rimedia alla disperata in corner. Stratosferica una punizione calciata da Altafini (18’). Si gioca sempre ad una porta sola. Tiro a candela di Galli al 24’: ma il portiere alessandrino non si fa sorprendere. Nettamente fuori una sventola di Altafini (27’). Ripassa il Milan al 29’: lungo lancio di Danova in favore di Bacci; Girardo lo anticipa e poi tocca indietro – debolmente – al portiere; come un falco, Altafini è sulla palla e la sua fucilata non perdona. Due a uno! Adesso i grigi (per forza!) escono dalla loro tana e la retroguardia rossonera è impegnata a fondo. Azionissima di Danova al 36’: tocco a «Mazzola», apertura a Bacci e tiro; a portiere battuto, Girardo salva sulla linea fatale. Stupendo assolo di Danova al 40’: troppo alta la conclusione. Battimani a scena aperta per il super-Liedholm. Il generoso serrate dei grigi. Non c’è altro. (Emilio Violanti, «La Gazzetta dello Sport», 9 marzo 1959) Una partita facile da raccontare. Tre errori delle difese (uno del Milan, due dell’Alessandria) hanno determinato il risultato in favore della capolista. Si tratta di errori che si rassomigliano l’uno all’altro come tre gemelli. Passaggi maldestri fra i difensori sui quali si potevano inserire gli attaccanti avversari che si avvalevano del loro scatto. Il terreno è stato senz’altro la causa determinante di questi errori. Chi conosce il fango del Moccagatta sa che è appiccicaticcio come l’edera al vecchio tronco. Si attacca alle scarpe e alla palla e tradisce così le intenzioni dei più bravi. Ma è anche vero l’Alessandria ha favorito i suoi avversari. Toccatole il privilegio di andare per prima in vantaggio all’11’, ha pensato bene di rinunciare quasi totalmente alle sue velleità di poter raddoppiare. Al quarto d’ora del primo tempo, una metà campo era abitata soltanto da Buffon, perché gli altri ventuno atleti lottavano nel campo alessandrino. Potevano i grigi resistere alla pressione avversaria? Le impressioni potevano essere favorevoli. La pressione esercitata dal Milan era costante, ma non presentava il carattere di una assoluta padronanza dell’azione. Vogliamo dire che manifestava con esagerata parsimonia le sue possibilità offensive. L’azione milanista, imbastita da Liedholm, Galli e Schiaffino, era studiata in tutti i particolari al punto di perdere di vista il fine. Un attacco al rallentatore sul quale aveva buon gioco la difesa dell’Alessandria, tale da non richiedere l’impiego di tutti gli uomini disponibili per fronteggiarlo. Tutto il primo tempo durò questo placido assedio che non portava costrutto alcuno e l’Alessandria, per una volta che si lanciò a fondo, andò ad un palo dall’aumentare il vantaggio. Ma non volle insistere. Nella ripresa, la stessa solfa, senonché dalla pressione nacque il primo svarione dei difensori grigi ed il Milan pareggiò: venne il secondo ed il Milan vinse. Allora l’Alessandria abbandonò la sua prudenza ed uscì dal guscio. Poté allora avvedersi di aver impiegato male il suo tempo. Una partita decisa da tre errori delle difese costituisce di per sé una condanna per gli attacchi. In verità, poco o nulla di buono hanno saputo offrire uomini del valore di [Altafini], che pure ha segnato i due gol, di Schiaffino e di Galli. Il Milan si è intravisto soltanto per la regia impeccabile di Liedholm e per alcune risolutive puntate di Danova. E l’Alessandria, fatte le debite proporzioni, non ha affatto sfigurato nei suoi confronti ed ha presentato con Tacchi e Girardo una difesa brillante: un complesso in possesso di possibilità non sempre manifeste. La partita aveva un avvio deciso. Su punizione, un tiro di Tacchi al 1’ già incocciava all’incrocio dei pali. All’11’, il primo gol: Galli, in posizione difensiva a tre quarti di campo, cercava con un passaggio un mediano laterale, ma il fango faceva da freno al pallone e lesto Lorenzi scattava sullo stesso correndo verso l’area; Buffon usciva e Lorenzi allora passava a Tacchi, che segnava. Il Milan si impadroniva del campo, recitava la sua lezione all’attacco. Sembrava l’alunno che, avendo mandato a memoria la lezione, la ripetesse in tono monotono. Al 36’ Girardo allontanava davanti alla porta un pallone deviato da Danova, ma al 40’ era Buffon che in tuffo intercettava un passaggio di Tacchi a Lorenzi, sceso sotto porta. Tutto lascia credere che la ripresa, con la stanchezza dei giocatori, sarà alquanto avara di emozioni, quando all’8’, su un ennesimo attacco del Milan in prossimità dell’area, Boniardi tenta un passaggio a Cuman. Il terreno rallenta la corsa della palla e Cuman intuisce il pericolo ed esce. Tocca la palla, ma pressato da Galli non può fermarla, sicché Galli la spedisce verso [Altafini], che segna. Il Milan, liberato dall’incubo della sconfitta, si fa più audace. Danova è protagonista felice e l’Alessandria continua a sopportare la pressione avversaria per difendere il pareggio. Non ci riuscirà, poiché al 28’ un altro passaggio indietro di Girardo a Cuman sarà intuito da [Altafini] che, con uno scatto, ghermirà il pallone per mandarlo in rete. Si ravviva di colpo la partita. L’Alessandria si distende all’attacco ed il Milan controlla le azioni avversarie. La partita esce dai binari angusti su cui aveva viaggiato e respira. Un tiro di Lorenzi scuote la rete dall’esterno; un tiro di Bacci a porta vuota è respinto da Girardo, sostituitosi al portiere uscito per deviare un precedente tiro di [Altafini]. Due buone occasioni di Danova non hanno fine ed al 45’, in una disperata offensiva, l’Alessandria ottiene il primo calcio d’angolo. La partita era andata, se non ai migliori, certamente ai più furbi. (Piero Molino, «Corriere dello Sport», 9 marzo 1959) L’aspettativa del folto pubblico è andata delusa. Un Milan al piccolo trotto ed una Alessandria eccessivamente rinunciataria hanno, infatti, dato vita ad uno spettacolo calcistico di bassa lega, solo raramente ravvivato da emozioni e da preziosità stilistiche, anche a causa del terreno ridotto a pantano per la pioggia caduta fino a ieri sera. Il Milan, evidentemente, non si attendeva di dover rimontare un goal dagli avversari: ciò indubbiamente lo ha innervosito e costretto, sin dall’inizio, ad un duro «forcing» cui la capolista è da tempo (e per suo merito) disabituata. Gli alessandrini, asserragliati in area, abbarbicati ai pali della loro porta, con Girardo incollato su Altafini, Pedroni libero, Castaldo e Manenti «tornanti», si difendevano come tanti leoni, respingendo ogni palla alla «sperindio» e fidando sul contropiede di Lorenzi e Tacchi. Per tutto il primo tempo la capolista ha trepestato nel fango alla ricerca di qualcosa che si avvicinasse al gioco. «Questo il Milan?», si domandava la gente. Il fatto era che a metà campo i rossoneri avevano un vuoto pauroso e Grillo – oggi assai rimpianto – non era a colmarlo con la sua inesauribile vitalità. Liedholm – il solito, grandissimo Liedholm – suggeriva i temi in continuazione e il rientrante Occhetta lo secondava valorosamente, ma Galli e Schiaffino oggi erano in giornata palesemente contraria, giravano a vuoto come trottole, cercando invano ritmo e posizione. Altafini, dal canto suo, non riusciva a districarsi dalla guardia inesorabile di Girardo (il migliore e il più sfortunato dei grigi) e Bacci, pesante e sperduto, cincischiava sulla sinistra. Il solo Danova, in definitiva, riusciva a rendersi pericoloso. Danova oggi ha smentito coloro i quali spesso lo definiscono «cuor di coniglio», disputando una partita vibrante e generosa. Il piccoletto non si è lasciato intimorire dalle robuste entrate di Giacomazzi e ha lottato sempre con grande decisione, oltreché con la furberia che lo distingue. Coi tempi che corrono, un posticino in Nazionale non lo usurperebbe davvero. Se l’attacco del Milan si è visto poco, quello dell’Alessandria si è visto ancora meno: dal che si può dedurre che razza di partita sia stata quella odierna. Inizio a spron battuto dell’Alessandria, che al 1’ sfiora la segnatura per un «mani» di Galli. Tacchi batte una punizione da 20 metri e il pallone, fortissimo, colpisce lo spigolo esterno della traversa alla destra di Buffon. Calmissima la reazione del Milan e tiro fiacco di Bacci, sparato, al 3’. Al 7’ Lorenzi, servito da Pistorello, evita sullo scatto Maldini e corre incontro a Buffon in uscita. Tra i due si insinua Galli (che gioca costantemente arretrato) e salva. Goal dei grigi al 12’: Galli, sul limite della propria area, farfuglia col pallone e Lorenzi, svelto come ai bei tempi, glielo toglie; lancio preciso a Tacchi, che avanza sicuro e infila Buffon in uscita. Il Milan riprende, un po’ innervosito, il suo «tran-tran». L’orso alessandrino si rintana del tutto e lo spettacolo va a farsi benedire. Lunghi minuti di sterile predominio milanista con Altafini, Bacci e Schiaffino che non riescono a imbastire un’azione decente. Primo pericolo per Cuman al 36’: su cross di Galli perde la palla, ma Snidero ci mette una pezza. Ora l’area alessandrina assomiglia alla Galleria Vittorio Emanuele in un giorno festivo: non si circola più. Al 40’ Altafini svetta di testa e colpisce secco, ma Cuman, ben appostato, neutralizza. Pericolosissimo il contropiede dei piemontesi, un minuto dopo: Castaldo e Tacchi, in tandem, seminano il panico sulla destra e l’ala sinistra, per un soffio, non conclude. Ripresa. Al 7’ l’Alessandria restituisce il regalo al Milan sotto forma di un passaggio all’indietro di Boniardi a Cuman; il portiere esce, ma si scontra con Galli e Altafini deposita il pallone in fondo al sacco. Inspiegabilmente, l’Alessandria si siede e il Milan ha buon gioco. Al 23’ l’Alessandria eccede in gentilezza e il Milan va in vantaggio. Girardo arresta un cross di Danova, si rigira e tocca indietro al portiere. Il passaggio non è ben dosato e Altafini, con uno scatto bruciante, prevede l’uscita di Cuman e insacca. I grigi non hanno la forza né la volontà per riprendersi e l’incontro si trascina fiaccamente alla chiusura. Le uniche cose buone le produce l’indiavolato Danova. Al trillo finale dell’ottimo Rigato, la folla intona il coro «Ladri! Ladri!» all’indirizzo del Milan: non siamo d’accordo, accettare i doni degli altri non è rubare. (Rodolfo Pagnini, «l’Unità», 9 marzo 1959) UNA SCONFITTA CHE POTEVA ESSERE EVITATA In margine alla partita dei "grigi,, col Milan E il Milan ha vinto! Brancicando nel buio, alla stregua di un avvinazzato, costruendo azioni arruffate e prive di mordente, scevre di tecnica e di stile, il Milan ha vinto. Per nulla irresistibile, il tanto decantato Milan è riuscito a fregiarsi, al Moccagatta, dell’alloro della vittoria. Deludendo, profondamente, i ventimila spettatori che presenziavano alla competizione per la sterilità dei temi di gioco svolti, il Milan venne… vide… vinse! Riflettendoci, sembra un controsenso: invece, è realtà! Una realtà che lascia interdetti non solo i tecnici ed i critici qualificati, ma anche i profani in materia calcistica. L’insuccesso alessandrino, pur tenendo in debita considerazione il valore degli antagonisti, ha dell’inverosimile. Spiegare le cause che hanno spianato la strada del successo ai milanisti, è estremamente facile: come altrettanto semplice è identificare tra i ventidue protagonisti della gara colui che fu il vero ed unico (se pure involontario) artefice della positiva impresa degli ospiti. Assai volentieri avremmo desistito dal toccare questo scottante argomento, se i fatti non ce lo avessero imposto. E poiché siamo consci che nello sport, a differenza della politica, il culto della «personalità» non esiste, riteniamo di non arrecare offesa ad alcuno, se ci permettiamo di dire la verità. Purtroppo, la sincerità, nuda e cruda, non sempre torna gradita: ciò non di meno non consideriamo un motivo plausibile per camuffarla, allo scopo precipuo di mitigare la valutazione e la portata degli errori. Superfluo e, soprattutto, controproducente sarebbe quindi voler accampare per la sconfitta dei grigi attenuanti generiche o giustificazioni puerili. Quanto si è visto domenica al Moccagatta è sufficiente per esigere una immediata censura di chi è preposto alle cure e alla guida della compagine. E ciò, innanzitutto, per un dovere di equità verso gli altri componenti il complesso grigio, i quali hanno il legittimo diritto di chiedere agli sportivi che le responsabilità vengano scisse. È troppo comodo infatti mettersi la coscienza a posto scaricando tutte le responsabilità sugli autori degli errori che fruttarono al Milan le due reti della vittoria. La squadra è quella che è, e chi ha l’onore di esserne a capo ha non solo il diritto di godere i benefici che derivano dall’alta carica, ma anche – e diremo principalmente – il dovere di astenersi dai colpi di testa, forieri di amarezze e demoralizzazioni. Pretendere il sacrificio di dieci uomini per salvare la propria reputazione calcistica, è illogico, ingiusto ed inammissibile. Non è nostra intenzione polemizzare: ci limitiamo a fare delle pure e semplici constatazioni, aliene da malignità o risentimenti personali. Saremo quindi – o per lo meno cercheremo di esserlo – estremamente obiettivi. Alla vigilia dell’incontro avevamo espresso – a nome anche della quasi totalità degli sportivi alessandrini – al signor Pedroni il desiderio di veder buttare alle ortiche la famigerata tattica del «catenaccio». A tale scopo avevamo reso edotto l’allenatore che la sconfitta della nostra squadra era già nelle previsioni generali. Non per mancanza di fiducia nei valorosi atleti grigi, ma perché troppo accentuato, stando alla carta, il divario dei valori in campo. Dicemmo che l’unica arma a disposizione dell’Alessandria, per sensibilmente controbilanciare la tecnica e la classe di Altafini, Schiaffino, Galli e Danova, era quella dell’entusiasmo. Nel combattimento ad oltranza erano poste tutte le nostre speranze di poter uscire immuni dalla sconfitta dal rettangolo di gioco. Non esistevano mezzi più idonei della foga e della volontà, per tentare di sconvolgere i piani aggressivi degli antagonisti. Esprimemmo il desiderio, rassegnati, ma non convinti di perdere, di poter assistere, per lo meno, ad un bello spettacolo agonistico. Era una pretesa modesta, ma appagabile la quale avrebbe sicuramente lenito lo sconforto della sconfitta. Il signor Pedroni è rimasto sordo alla «vox populi». Dopo averci dato il contentino dei primi dodici minuti, durante i quali i grigi ebbero modo di realizzare un palo ed una rete, quasi impaurito da tanta audacia e temerarietà, il signor Pedroni diede ordine ai suoi uomini di evacuare l’area di rigore milanista per collocarli, senza che ve ne fosse bisogno, a presidiare la rete di Cuman. E fu il catenaccio! E fu l’insperata salvezza del Milan, il quale, trovandosi in una infelice giornata e dovendo giocare con manifesta difficoltà su un terreno disagevole, è riuscito a contenere gli assalti garibaldini di Lorenzi, Tacchi, Manenti e Castaldo. Bisogna convenire che ogni uomo ha il suo «hobby». Chi ha la raccolta di francobolli usati, chi delle scatole vuote di cerini. Chi ancora delle bucce di banana. Il signor Pedroni, evidentemente, ha l’hobby del catenaccio. Tutte le manie vanno rispettate, o per lo meno comprese, e noi siamo i primi a sottometterci quando esse non portano nocumento agli altri e non concorrono ad appesantire situazioni già scabrose. Abbiamo il massimo rispetto del signor Pedroni come uomo, dobbiamo dire tuttavia che come allenatore, proprio non lo comprendiamo. Con tutto questo, siamo ben lungi dal voler negare le sue eccezionali qualità. Non ignoriamo il suo brillante passato. Ci è cognito, contemporaneamente, il suo scarsissimo senso di valutazione. Il signor Pedroni è un allenatore serio ed attivissimo, nessuno gli può togliere il merito, però gli riesce difficile capire sul campo, se l’avversario è malleabile oppure se è di durissima lega. Per il signor Pedroni, esiste soltanto il principio; «Primo, non perdere» che, tradotto in parole povere, significa «catenaccio». Il signor Pedroni ha dimenticato probabilmente che, se qualche volta il «catenaccio» procura la soddisfazione del pareggio, non ha mai comunque dato la soddisfazione della vittoria. Senza contare che sovente e volentieri il «catenaccio» si diverte ad elargirci delle «sconfitte-beffa» come, per esempio, quella di domenica scorsa. Ci pensi, il signor Pedroni, e ci dica se trova edificante vedere dieci uomini vincolati per 90 minuti di gioco in pochi metri quadrati di terreno a darsi di gomito per liberarsi dalla pressione avversaria, onde poter respirare. Inoltre (non se l’abbia a male, il signor Pedroni, e ci permetta questo sfogo che è dettato dalla nostra passione per lo sport del calcio), sa dirci quali requisiti tecnici deve possedere un allenatore «catenacciaro» per svolgere efficacemente le sue mansioni? Rispondiamo noi. Nessuna! Nessuna, signor Pedroni, perché «catenaccio» è sinonimo di «anti-calcio». Perché «catenaccio» significa misconoscere premeditatamente le precise norme del gioco del calcio. Perché «catenaccio» vuol dire avvilimento degli atleti in campo e della folla sugli spalti, specie quando il «catenaccio» si trasforma in un miserevole «chiavistello», giusto come lo praticano i suoi uomini. (Romolo Vite, «Il Piccolo», 14 marzo 1959) OLTRE IL MURO DEL TIFO Crediamo di non andare errati affermando che nessun’altra squadra di Serie A avrebbe perduto in tal maniera la partita. Non si può infatti concepire che un allenatore possa maturare nel suo cervello un piano difensivo tanto puerile: dopo dodici minuti di gioco, la sua squadra conduce per 1-0, gli avversari sembrano addormentati dalla cattiva giornata e dallo smacco iniziale, e Pedroni, fa arroccare tutta la squadra in difesa per tentare di mantenere l’esiguo vantaggio per 78 minuti. Poi le papere di Boniardi e Girardo, poi quello che sapete. Gli autolesionisti sono puniti dal codice penale militare, ma gli allenatori no! Lorenzi: fiato unicamente per protestare. Un giocatore che riesce in una partita a stancare avversari, compagni, arbitro e pubblico! Vuole essere servito al centimetro, non fa un passo per raggiungere un solo pallone, dopo un quarto d’ora non sta più in piedi. Ottimamente ha provveduto il Consiglio direttivo, lasciandolo fuori squadra ed affibbiandogli una multa, stando ai «si dice». La giornata era splendida, la partita assai invitante anche come spettacolo; quel che sarebbe avvenuto sul campo non lo si poteva prevedere; ma il Moccagatta non era affatto esaurito. Come mai? Il pubblico si disinteressa forse della sua squadra proprio in questo momento delicatissimo? Che siano i prezzi un po’ carucci a tener lontani i meno scaldati? Comunque, l’Alessandria dovrà disputare ancora in casa soltanto sei partite, ed è indispensabile che gli incassi siano grossi. Al pubblico la risposta, perché salvare l’Alessandria è un dovere di tutti e il pubblico può contribuire notevolmente. Ladri ai giocatori del Milan per aver approfittato di un regalo! Il pubblico non riesce davvero a distinguere quando il tifo lo acceca e, francamente, quelle urla ci hanno fatto tanto ridere. Sarebbe come se regalassimo una pelliccia alla fidanzata, e poi le dicessimo che è una ladra! All’uscita dal campo dei giocatori, abbiamo notato un gruppetto di giovanotti di Valenza con berrettino rossonero, che salutavano a gran voce gli atleti milanisti. Essere tifosi del Milan sta bene, ma proprio ad Alessandria, e quando la squadra locale è stata sconfitta nel modo che tutti sappiamo, via, è un po’ esagerato! (Egi, «Il Piccolo», 14 marzo 1959) RISULTATI: Bari-Genoa 1-2 Bologna-Padova 2-0 Internazionale-Fiorentina 1-3 Juventus-Roma 2-0 Lanerossi Vicenza-Napoli 2-3 Lazio-Spal 4-0 Sampdoria-Udinese 3-1 Triestina-Talmone Torino 1-1 CLASSIFICA: Milan 36; Fiorentina 35; Juventus 31; Internazionale 30; Sampdoria 26; Lanerossi Vicenza 24; Napoli 23; Bologna, Padova 22; Roma 21; Genoa 20; Lazio 19; Bari, Spal 17; Alessandria 15; Triestina, Udinese 13; Talmone Torino 12 MARCATORI 25 gol Angelillo (Inter) 22 gol Altafini (Milan) 21 gol Montuori (Fiorentina) 15 gol Hamrin (Fiorentina) 14 gol Firmani (Inter) 12 gol Charles (Juventus), Danova G. (Milan), Nicolè (Juventus), Pivatelli (Bologna) Il punto sul campionato Due squadre in testa e tre in coda rendono vivace il campionato di calcio Milan e Fiorentina dopo le vittorie ottenute sui campi dell'Alessandria e dell'Inter sembrano le più quotate per lo scudetto - La posizione della Juventus - Affannosa lotta tra Talmone Torino, Triestina e Udinese per la salvezza. L'ennesima sfortuna dei granata Una bella cassiera ricattata con lettere minatorie da due giovani "O 100 mila lire o rivelo tutto a suo marito,, - Un altro pinerolese, autore di messaggi intimidatori, è stato arrestato Il primo dei capitoli decisivi del lungo e complicato romanzo, il cui epilogo sarà l'assegnazione del titolo di Campione d'Italia per la stagione, è stato scritto l'altro ieri a Milano, allo stadio di San Siro, ed è terminato colla vittoria della Fiorentina sull'Internazionale per tre reti a una. Sodio quattro i contendenti rimasti in lizza per il primato, e quindi sei gli incontri diretti, quelli il cui risultato getta il suo peso sulla bilancia contando doppio ai fini della classifica finale. Uno, Internazionale-Fiorentina è stato giuocato domenica, due avranno luogo contemporaneamente il 22 corrente, Internazionale-Milan, e Juventus-Fiorentina, ed un quarto troverà svolgimento otto giorni dopo, il 29 di questo mese, a San Siro, fra il Milan e la Juventus. Quindici giorni appresso, il 12 aprile sarà la volta dell'incontro che al momento attuale ha l'aria di essere il principale, Fiorentina- Milan a Firenze. E la serie si chiuderà una settimana più tardi, sempre in aprile, colla gara di Torino fra la Juventus e l'Internazionale. Le rimanenti gare, quelle che mancheranno al compimento dell'opera — le sei ultime giornate del calendario cioè e quelle che si intercalano fra l'uno dei grandi avvenimenti e l'altro — passano per riempitivi: e non lo sono affatto. Perché l'esito di qualcuno questi incontri — cosiddetti secondari — può disturbare ed anche compromettere l'equilibrio di classifica delle quattro grandi squadre. Sia come si vuole, pare al momento in cui ci troviamo, che il gruppo di queste quattro unità dominatrici si debba scindere in due parti, con due fuggitive e due inseguitrici. Milan e Fiorentina stanno un testa, ad un punto di distanza l'uno dall'altra, e si sarebbe quasi portanti a dire che il primato sarà un affar loro. Il Milan ha dovuto lavorare parecchio per spuntarla di stretta misura — due ad uno — ad Alessandria. Più netto, per quanto non meno sudato, è stato il successo realizzato dalla Fiorentina sui nerazzurri dell'Inter, ai quali la sorte ha nell'occasione nettamente volto le spalle. I due inseguitori, ad una lunghezza di distanza l'uno dall'altro loro pure, seguono staccati di quattro, rispettivamente cinque punti dalla squadra toscana. I bianconeri torinesi hanno battuto per due a zero, sul proprio terreno, una Roma alquanto tenue e poco combattiva, mentre l'undici di Angelino, come abbiamo visto, ha ceduto di fronte ai viola di Firenze. Per noi che li abbiamo visti all'opera proprio in questo incontro impegnativo, sono da attribuire a questo undici milanese le minori possibilità di successo finale. Più per i non convincenti mezzi tecnici di cui dispongono, che non per la posizione di classifica che essi occupano. Nemmeno alla Juventus, per ragioni diverse e che qui sarebbe troppo lungo di spiegare, noi ci sentiamo di attribuire probabilità del successo nella lotta a distanza che essa ha intrapreso. Sarebbe veramente una impresa «gagliarda!», come dicono a Roma, se riuscisse ancora ad acciuffare ed a superare i due fuggitivi. Rimangono i due primi, separati da quel tenue filo che è un punto di classifica. Un duello fra Milan e Fiorentina — duello dalla difficilissima previsione di risultato sarà quello per il primato. Duello, che, viste le egoistiche tendenze imperanti nelle nostre società, è provvidenziale che, per quanto riguarda gli incontri diretti, termini prima della partita che, in principio di maggio, deve vedere la nostra Nazionale all'opera a Londra, per l'ultima fatica delta stagione. Lotta a due, in alto quindi, e lotta a tre, in basso. La questione della retrocessione può darsi che prenda più ampie proporzioni nelle dodici giornate che mancano ancora al termine del torneo, ma in questo momento, essa parrebbe circoscritta e limitata a tre unità: Talmone-Torino, Udinese e Triestina. Esse se ne stanno in coda, racchiuse nello spazio di due punti, gli ultimi, coi granata torinesi isolati in fondo alla classifica. Sono andati a Trieste l'altro ieri, i granata stessi, e, contro un avversario ridotto nelle loro stesse condizioni, hanno segnato per i primi ed hanno sognato di avere finalmente la vittoria nelle mani, dopo tante settimane di magra. Fino all'ultimo minuto della partita. Macché!, la consuetudinaria, la tradizionale disdetta — potrebbe scrivere un libro, l'undici torinese, sulle sue disavventure di questo genere nella corrente stagione — li ha attesi al varco degli ultimi secondi di gioco: e dopo di avere azzoppato il centro mediano Ganzer, ha ridotto le proporzioni del successo alla metà: da una vittoria al pareggio, per una difettosa parata del portiere. Avrebbe servito ad allontanare i torinesi da quell'ultimo terribile posto, un successo pieno. Invece nulla è cambiato ancora. Forse più apparentemente che sostanzialmente. Perché, mentre il Talmone-Torino conquistava per lo meno un punto, contemporaneamente l'Udinese a Genova colla Sampdoria, l'Alessandria in casa col Milan, la Spai a Roma colla Lazio, ed il Bari sul proprio terreno col Genoa, li perdevano tutti e due. Un miglioramento generico, quindi: di quelli che possono far sentire il loro effetto in avvenire. Un avvenire che è però denso di nuvole anziché no, il suo. Perché, per domenica prossima è in programma come già accennato, l'incontro stracittadino torinese, su quello che non è che «però forma» il campo dei granata: ed otto giorni dopo la squadra dovrà'recarsi a Bologna. Per fortuna v'è, proprio domenica, l'incontro UdineseTriestina, dove qualcuno dovrà pur perdere. Le disgrazie degli altri! (La Stampa - Vittorio Pozzo)