Museo Grigio - Archivio Storico

Stagione: 1959/1960
Serie A
20-12-1959 - Giornata: 12 - Genova - Luigi Ferraris


Genoa CFC - Alessandria US 1 - 0 (0 - 0)
RETI: 76. Abbadie J. [Ge]

Alessandria US Arbizzani Luciano, Nardi Aldo, Giacomazzi Giovanni, Girardo Antonio, Pedroni Franco, Boniardi Umberto, Migliavacca Giancarlo, Filini Giancarlo, Maccacaro Cesare, Rivera Gianni, Tacchi Juan Carlos All.: Pedroni Franco

Formazione avversaria
GENOA CFC: Buffon; Corradi, Cuttica; Piquè, Carlini, Beraldo; Leoni, Abbadie, Bresolin, Pantaleoni (III) Mario, Barison. All.: Carver Jesse.

Arbitro: Famulari Ugo (Messina)
Note
Angoli: 10-4 (4-3). Spettatori: 15.000 oppure 20.000. Giornata serena, terreno discreto. Inizio gara ore 14:30. Alla partita assisté Fausto Coppi, scomparso il successivo 2 gennaio 1960.

Commento
CON UN GOL DI ABBADIE IL GENOA SI IMPONE ALL'ALESSANDRIA: 1-0 Ad un minuto dal termine Maccacaro sbaglia il tiro del pareggio Una partita, questa di Genova, che, nella sua povertà tecnica e tattica, ha finito per essere interessante. Essenzialmente perché per uno dei due contendenti, il padrone di casa, si trattava di una delle pagine del dramma che esso sta vivendo. Un dramma – se termini simili è dato di poter usare nel linguaggio dello sport – che è, nella sua natura, doloroso ed addirittura penoso. Nemmeno l’altro dei protagonisti dell’incontro, la Alessandria, sta troppo bene di salute in quanto a classifica, ma almeno possiede il vantaggio della organizzazione. Cosa che l’altro proprio non ha. Per tutta una quantità di ragioni. Ha finito per vincere di stretta misura, e sudando sette camicie, il povero Genoa. Ha vinto dopo di aver dominato e costretto l’avversario alla più stretta difesa per i quattro quinti della durata della gara. E proprio nei minuti finali dell’incontro ha corso il rischio di incappare in un risultato pari, per una rete che pareva già bell’e fatta e che, nella precipitazione, uno degli attaccanti grigi mancò in modo madornale. Può dire di averla scampata bella il vecchio sodalizio ligure, che pure ha sovrabbondantemente meritato di vincere. Relativamente saldo in difesa, il Genoa non possiede, almeno al momento, un attacco veramente degno del termine. Un attacco nel quale scarseggia, come prima cosa, la qualità tecnica di parecchi uomini. E nel quale, conseguentemente, fa difetto anche un concetto preciso sul modo di impostare le azioni e distribuire le forze. Essenzialmente, sono le idee, quelle che mancano. Un miglioramento su quanto verificatosi in questo inizio di campionato va registrato, coll’inserimento di Bresolin e col ritorno dell’uruguaiano Abbadie nel settore. Ma ancora ieri l’efficienza del reparto di avanguardia è stato notevolmente al di sotto del desiderato e del possibile. Perché non era proprio la buona volontà quella che mancasse nell’occasione. Gli uomini tutti della squadra era come fossero convinti che, se non uscivano vittoriosi dalla prova della giornata, la situazione intera del sodalizio sarebbe piombata nell’incertezza più grave. E, di energie, non fecero certo economia: a proposito od a sproposito, essi corsero su e giù per il campo per tutti i novanta minuti e, non fosse che per questo, per l’abnegazione dimostrata cioè, il loro successo può e deve definirsi come meritato. Senza che per questo motivo si possa dire che l’Alessandria si sia portata male. Tutt’altro. Bisogna invece asserire in termini chiari che la estrema difesa dei grigi ha dato prova di grande solidità. Consta, permanentemente si può dire, di più di metà degli effettivi della squadra, questa difesa. Davanti ad un portiere che sa l’affar suo, sta sempre schierato un minimo di cinque uomini che, a seconda delle necessità, si convertono in sette od anche in nove o più. Una difesa organizzata e consolidata oramai dall’abitudine assunta da ognuno dei suoi componenti al ruolo che gli viene attribuito. Una difesa che, bisogna riconoscerlo, risulta ben difficile da battere per chiunque, compatta e chiusa come essa si presenta. Ed un attacco, che, approfittando delle situazioni di contropiede che spesso gli si presentano, sgattaiola via, pronto e vivace, in modo sempre pericoloso. Quando si gioca aperto, e l’incontro non assume la fisionomia del combattimento, emerge qua e là, nella prima linea, quel bel giocatorino, tutto tecnica e stile e niente peso, che è Rivera. Per un soffio, questa prima linea non giunse ieri a chiudere, proprio prima del termine, l’incontro con un risultato pari. Sarebbe stato un castigo un po’ troppo severo per i liguri, che tanto si erano prodigati: ma l’occasione c’era, ed è solo colpa dell’attaccante grigio incaricato del tocco finale se essa fu buttata al vento. Il tempo era bello ed il terreno, prosciugato da un po’ di vento, si presentava in più che discrete condizioni. Poco più di quindici o sedicimila persone erano presenti nel recinto. La partita assunse presto la fisionomia che molti si attendevano e che doveva, eccezione fatta per i dieci minuti terminali, conservare quasi costantemente: serrato attacco dei genoani, e chiusa, calda difesa degli alessandrini. Calorosamente sospinti dal pubblico, i liguri premevano e premevano, ma lo spiraglio in cui piazzare il tiro valido non lo trovavano mai. Quando, ad un dato momento, lo poterono trovare, tutto si coalizzò contro di essi. Leoni, l’ala destra portatasi al centro, mancò l’occasione delle occasioni quando, solo davanti ad Arbizzani – e con Abbadie tutto smarcato a due passi, in attesa del passaggio – sparò a lato. Ed uno dei difensori grigi, coi piedi sulla linea della porta ed a portiere battuto, respinse poco dopo un pallone che poteva essere decisivo. Alla metà tempo, nulla di fatto. I contrattacchi dell’Alessandria non erano mancati, ma erano stati ben contenuti. Alla ripresa, stessa musica di prima. Zona di guerra era la metà campo nella quale gli ospiti, asserragliati, si difendevano. Anche questa volta, tiri imprecisi dei rossoblù e salvataggi in extremis dei grigi. Pareva inviolabile ed addirittura stregata, la rocca alessandrina. Già si incominciava a guardare l’orologio nella convinzione di un risultato in bianco quando, al 31’, giungeva improvviso il punto che doveva decidere di tutto. Calcio d’angolo per il Genoa, sulla destra, tirato alto da Bresolin, deviazione di Beraldo, di testa, verso la sinistra, dove non c’è nessun difensore. E dove spunta, sbilanciato dalla corsa, Abbadie che, con un tiro angolato, spedisce in rete. Uno a zero. Dura ancora qualche minuto, l’offensiva genoana, e poi si spegne: colla intera squadra che si chiude in difesa per non lasciarsi sfuggire il vantaggio acquisito. Tutta protesa in avanti, allora, l’Alessandria. Perfin Pedroni compare nell’area ligure. E, quasi al momento finale, Migliavacca, dalla posizione di mezz’ala sinistra ed a porta scoperta, spara alto sopra la traversa. È giubilo incontenibile dei rossoblù, che alla vittoria avevano da qualche tempo perso l’abitudine. (Vittorio Pozzo, «Stampa Sera», 21 dicembre 1959) Soltanto nell’ultimo quarto d’ora il Genoa è riuscito ad acciuffare per i capelli quella vittoria che sul terreno di Marassi stava invano inseguendo fin dallo scorso aprile e che costituisce il primo successo interno della presente stagione. E, come si vedrà, non è stata una vittoria facile, sia perché il catenaccio dei grigi ha avuto sempre la meglio sulle pressanti ma poco ordinate offensive dei rossoblù (il gol decisivo è venuto in seguito a un calcio d’angolo, non su azione manovrata) sia perché l’Alessandria non si è limitata a difendersi, ma quando è andata all’attacco, lo ha fatto soprattutto con intelligenza, sciupando peraltro qualche bella occasione (la più bella, addirittura, a due minuti dalla fine). Ma non è stato certamente il gioco d’attacco quello che ha fatto spicco nella compagine alessandrina, bensì l’organizzazione della difesa (primo non prenderle), nella quale tutto appariva studiato e predisposto, soprattutto in base alle possibilità avversarie. Così c’era Pedroni battitore libero e Boniardi a far la guardia a Bresolin, Migliavacca retrocesso a laterale e Girardo spostato da destra a sinistra a prendersi sotto il suo controllo Abbadie. Non solo, ma nel corso della partita, allorché l’Alessandria ha capito che la difesa del Genoa presentava il suo tallone d’Achille nel terzino Cuttica, ha subito spostato all’ala destra il suo Tacchi e proprio da Tacchi sono venute allora i pericoli maggiori per la rete di Buffon. Questo nella squadra grigia. In quella rossoblù c’è da dire che, malgrado il rientro di Abbadie, la prima linea non sembra ancora in grado di far molto cammino. Abbadie ha giocato soltanto a tratti, ma in compenso ha figurato bene Bresolin, scattante, veloce ed intraprendente e soprattutto deciso allorché si tratta di concludere l’azione. Ma sono mancati all’attacco genoano gli altri uomini: Leoni non è un’ala, Barison è in condizioni di forma piuttosto precarie e Pantaleoni non azzecca più un passaggio. Ecco perché il Genoa, pur essendo rimasto all’attacco per lunghi periodi, ha faticato tanto per conquistare la sua vittoria. Individualmente, nella squadra rossoblù si sono distinti Piquè, forse il migliore oggi nel Genoa, dopo di lui Carlini, Corradi e Bresolin. Nell’Alessandria, soprattutto brillante Boniardi, insieme ai due terzini e a Girardo. Eccellente il gioco a metà campo del giovanissimo Rivera, certo un grande giocatore, ma allorché la partita ha assunto toni di battaglia, Rivera è sparito. L’alessandrino ha appena diciassette anni: ha bisogno quindi ancora di assuefarsi ai grandi incontri. La cronaca della partita è presto fatta. Nessuna rete nel primo tempo. Il Genoa è andato subito all’offensiva dopo uno spunto iniziale di Maccacaro che ha scartato facilmente Cuttica e ha impegnato con un tiro teso Buffon; i rossoblù hanno contrattaccato con Abbadie e Bresolin, ma al 9’ Leoni ha mancato una facile occasione offertagli appunto dal centravanti. L’Alessandria, sempre vigile in difesa, portava alcuni rapidi contrattacchi, impegnando Buffon con ardite uscite su Tacchi e su Filini. Al 32’ un centro di Bresolin dalla sinistra è stato raccolto da Leoni che ha tirato secco da due passi sul portiere avversario: la palla è sfuggita però alla guardia del portiere alessandrino, ma per fortuna Pedroni è stato pronto a salvare in calcio d’angolo. Al 34’, in contropiede, Rivera poteva segnare se Carlini, vista la mala parata, non lo avesse atterrato ad una trentina di metri dalla porta. Poi, offensiva scatenata del Genoa fino al termine del tempo, con un tiro sicuro di Abbadie salvato da Nardi sulla linea fatale ed una grossa occasione mancata da Leoni, tutto solo davanti al portiere, al 42’. Lieve incidente a Bresolin al 33’ del primo tempo. Nella ripresa, il Genoa è ancora tornato all’offensiva con grande decisione: salvataggio al 7’ di Arbizzani su Bresolin e successiva grande parata del portiere grigio su tiro di testa di Leoni. Poi, in contropiede, fuga di Tacchi e Corradi salvava a porta vuota. È sembrato che il Genoa in questo momento avesse dato fondo a tutte le sue energie, ma nell’ultimo quarto d’ora i rossoblù si sono ripresi e al 31’, su calcio d’angolo battuto da Bresolin, Beraldo ha corretto di testa la traiettoria servendo Abbadie che, da due passi, ha messo in rete con una mezza rovesciata. L’Alessandria allora si scatena: i grigi vanno tutti all’attacco e il Genoa stenta a difendersi. Proprio a due minuti dalla fine, una bella occasione provocata da una fuga di Tacchi è sciupata da Migliavacca che, da tre metri, alza la palla sopra la traversa. Le ultime battute registrano un calcio d’angolo e una punizione contro i rossoblù non hanno esito. (Renzo Bidone, «Corriere dello Sport», 21 dicembre 1959) Al 42’ del primo tempo Leoni, in possesso della palla a tre quarti di campo in area alessandrina, ebbe un guizzo improvviso da grande campione. Fulminò sullo scatto un avversario, ne aggirò un secondo, dribblò il terzo e si presentò davanti al bravissimo Arbizzani. Con lui, affiancandolo, avevano compiuto il «percorso» anche Abbadie e Bresolin. Una volta tanto, l’attacco del Genoa era riuscito a far saltare il chiavistello della difesa grigia, una corazza d’acciaio di impressionante saldezza. Il gioco parve fatto: Leoni, a non più di tre metri dal portiere avversario, tutto sbilanciato verso l’attaccante. Sarebbe bastato un tocco, di piatto, nella vasta porzione del rettangolo priva di ostacoli e la tanto invocata rete per il Genoa sarebbe venuta a togliere i ventimila spettatori dall’incubo nel quale stavano annaspando in una con gli uomini di Carver. Leoni – che avrebbe potuto anche agevolmente consegnare il pallone ad uno dei due compagni affiancatori – non ebbe in quel momento la visione lucida della situazione e scaricò un bolide addosso ad Arbizzani che non riuscì a trattenerlo, ma gli impedì egualmente di finire nel sacco. Sono cose che accadono nel calcio; neppur raramente. Ma quello che successe subito dopo, no. Fa cronaca a sé e sta a indicare in quale stato d’animo erano scesi in campo i giocatori genovesi. Leoni, difatti, si mise a piangere come un disperato, e taluni dei suoi compagni dovettero corrergli accanto per consolarlo e richiamarlo alla realtà, poiché gli avversari – insensibili al suo dolore – stavano profittando del momento topico per sorprendere la difesa rossoblù. Un quadretto deamicisiano, molto commovente e decisamente rilevatore. Gli è che il Genoa già prima di questo episodio aveva visto il gol a portata di piedi senza poterlo realizzare: al 10’ dall’inizio, allorquando Abbadie servì Bresolin con un pallonetto delizioso e il centrattacco scattò in area, Arbizzani respinse come poté; riprese Bresolin che smistò a Leoni e questi su «svirgola» di Giacomazzi ebbe il bersaglio a portata di piede ma sbagliò la mira; e poi, soprattutto, al 35’, dopo una schiumosa mischia conclusa da Abbadie con un tiro improvviso nell’angolo basso, fuori della portata di Arbizzani. Niente da fare nemmeno stavolta: come un folletto, Nardi si era sostituito al portiere, rinviando dalla linea fatale. Sembrò dunque proprio inutile lo spremersi rossoblù, il macinar chilometri, l’entrare in azione a ritmo continuo. La difesa dei grigi diventava di minuto in minuto più ermetica, più robusta, più spazzatutto: non solo, ma consentiva sovente agli svelti ragazzi della prima fila di compiere puntata guastatrici di rilevante pericolo, specie sulla sinistra dove la barriera genoana presentava una evidente crepa. Per questo, quando a Leoni capitò l’occasionissima del 42’ e se la fagocitò insensatamente, le lacrime amarissime vennero a bagnare l’erbetta di Marassi, come se davvero l’ineluttabile si fosse ormai concretato. Il che in verità non era, come ha dimostrato il seguito della gara; ma c’è mancato un soffio che lo fosse. Lo impedì un calcio d’angolo, decretato al 31’ della ripresa dall’arbitro (largamente impreciso, per la verità, specie nella valutazione dei falli) dopo un lungo assedio del Genoa alla rete di Arbizzani. Bresolin si incaricò del tiro dalla bandierina, Beraldo di testa raccolse la sfera correggendone la traiettoria e dal viluppo uscì Abbadie a darle il colpo di grazia, senza che Arbizzani potesse intervenire. Qualcuno ha adombrato un sospetto di fuori gioco dell’uruguaiano, ma il semplice motivo che nessuno degli alessandrini abbia avuto il minimo gesto di protesta sta a dimostrare la regolarità della azione. Vi risparmiamo a questo punto il quadro dello stadio a rete realizzata e convalidata. È facilmente intuibile. Ormai il Genoa aveva infranto, con il catenaccio alessandrino, anche la spirale della sua paurosa crisi morale e questo, forse, aveva più valore degli stessi due punti conquistati e tenacissimamente contrastati dall’antagonista. Dopo di che – vogliam dire dopo questa prima vittoria casalinga ottenuta con un enorme dispendio di energie fisiche e morali – sarebbe eccessivo e forse di cattivo gusto andare a rivedere le bucce del gioco rossoblù. La squadra ha dato tutto quello che aveva a disposizione. E neppure un esame dei singoli sarebbe in questo momento opportuno. Basterà solo riferire che se la sono cavata egregiamente, oltre al solito Buffon, Corradi, Beraldo, Carlini, Bresolin, Abbadie e Piquè. Meno bene Leoni e Pantaleoni. Piuttosto maluccio Cuttica e Barison. L’Alessandria s’è dimostrata squadra tutt’altro che di facile addomesticatura. Nei reparti arretrati ci sono colpitori maiuscolo ed in prima fila, oltre al noto Tacchi, il bravo Maccacaro e il «minorenne» Rivera, nuovo per queste scene, sulle quali ha prodotto enorme impressione. Giornata fresca e serena, terreno piuttosto allentato. Nessun incidente di rilievo nonostante il gioco robusto. Consueto schieramento alessandrino con Boniardi su Bresolin e Pedroni libero. (Aldo Merlo, «La Gazzetta dello Sport», 21 dicembre 1959) Finalmente, il Genoa è uscito vittorioso da Marassi. E quel che più conta, meritatissimamente. Il che significa che si trova sulla strada buona verso un netto e continuo progredire, che potrebbe portarlo alla salvezza. Il Genoa di oggi non merita certo il fanalino di coda della classifica. Presenta, è vero, ancora certe sfasature in qualche elemento ed altre che emergono nel complesso, ma il tutto ha dato oggi l’impressione di dipendere dallo scarso affiatamento fra taluni giocatori che oggi si trovavano a fianco per la prima volta, ma per una lunga assenza dai campi di gioco, che è il caso di Abbadie, sia perché da poco tempo nelle file del Genoa, come è il caso di Bresolin. Tuttavia, l’uno e l’altro sono stati fra i migliori in campo e forse gli stessi artefici della vittoria rossoblù sull’Alessandria. L’inizio dell’incontro vede Buffon chiamato in causa da un bel tiro di Maccacaro. Ma ben presto la musica cambia ed il Genoa stringe d’assedio l’area di Pedroni. Al 9’ è in azione la coppia Abbadie-Bresolin, il portiere è tagliato fuori, ma è pronto Giacomazzi a liberare l’area. Ancora, Bresolin ed Abbadie in azione poco più tardi ed il tiro del centravanti, al volo, sfiora il montante. Al 33’ Bresolin ancora, spostato sulla sinistra, centra lungo, testa di Pantaleoni, raccoglie Leoni, ma da pochi passi spara sul portiere che non trattiene, respinge Pedroni e Beraldo, di testa, coglie il portiere fuori porta: ma sulla linea salva Girardo. Fugge bene Rivera (ottimo il ragazzo) a Carlini, ma il centromediano lo abbranca per un braccio, fermandolo in area avversaria. Il suo servizio arriva preciso a Leoni, che tira: Arbizzani è battuto ma Girardo, ancora sulla linea, respinge e salva. Al 43’, la «scena forte» con Leoni, a tu per tu con Arbizzani, che calcia a lato. Leoni si dispera, piange, mentre i compagni cercano di rincuorarlo. Risponde Maccacaro, in contropiede, con un gran tiro che sfiora la traversa, ed il tempo finisce. Al 7’ della ripresa, su lunga rimessa laterale di Barison, vola Leoni di testa, ma fallisce la palla, che termina a Bresolin, il quale non perde un attimo e fionda a rete: Arbizzani salva con il piede. Sembra stregata la porta dell’Alessandria. Persino Piquè tenta il tiro, ma con scarsa fortuna. Al 18’ tremano i rossoblù per una lunga fuga di Tacchi ed una sua fucilata che Buffon è pronto però, con un gran volo, a respingere, incaricando quindi Corradi di liberare definitivamente. Insiste sempre il Genoa ed al 31’ viene premiato. Calcio d’angolo battuto da Bresolin. Alza di testa Beraldo ed Abbadie, piazzato a pochi passi dalla rete, insacca con una mezza girata. Sembra fuori gioco, ma c’era Girardo sulla linea della porta ed il gol viene convalidato. La partita non ha più storia. Il Genoa difende il suo vantaggio e l’Alessandria non sa attaccare. E l’incontro finisce col risultato ormai acquisito. (Stefano Porcù, «l’Unità», 21 dicembre 1959) LA SCONFITTA DI GENOVA HA POCHI ATTENUANTI Domenica i "grigi,, in trasferta a Palermo Ritornare a pizzicare le corde degli argomenti riflettenti la «tattica» di gioco adottata dall’Alessandria U.S. in questo campionato, già ripetutamente toccata, è indubbiamente monotono e fa [riga mancante] cornamuse degli zampognari nelle afose giornate estive. Ma quando impellenti necessità lo richiedono, allora non si deve minimamente indugiare nel mettere a fuoco i difetti della compagine, inchiodando i responsabili al muro delle proprie responsabilità. Fingere di ignorare la realtà con il pretesto di «lasciar correre» non è da sportivi, perché si concorre implicitamente ad affliggere maggiormente l’Alessandria U.S. e si diventa automaticamente correi di una situazione che porta in sé tutti i crismi per sfociare nello stagno della retrocessione. Ed è appunto per questo che sentiamo il dovere di far squillare per l’ennesima volta il campanello di allarme, a fin di bene: della squadra e degli sportivi. Non sveliamo certo un segreto se diciamo che la nostra cara Alessandria U.S. sta attualmente attraversando un momento critico, le cui conseguenze sono imprevedibili. Siamo convinti che perseverare sul sentiero della rinuncia al giuoco d’attacco significa voler condannare, con esclusione della prova d’appello, la nostra squadra, costringendola ad ammainare il suo gagliardetto dal pennone della massima divisione calcistica. La popolazione sportiva alessandrina, troppo fiera delle sue gloriose tradizioni calcistiche, non è incline ad attendere rassegnata la mortificante sentenza: desidera ardentemente vedere i suoi beniamini impugnare le armi della riscossa. Lo sportivo alessandrino detesta la rinuncia aprioristica perché sa valutare, con rara competenza, il valere degli avversari e quello dei suoi esponenti sia nella buona che nella cattiva sorte. Detesta la speculazione derivante dal «catenaccio», in quanto sa, per esperienza, che si conseguono risultati effimeri, ed è comunque un’arma a doppio taglio: è una tattica che spesso e volentieri fa male a chi ne abusa. Per questa concezione di gioco, i grigi, domenica, hanno regalato due preziosi punti ai rossoblù genoani; per oltre 83 minuti consecutivi gli alessandrini hanno sopportato senza reagire la pressione degli antagonisti nell’area di Arbizzani, mentre sarebbe bastata una semplicissima scrollatina di spalle per eclissare tutto lo schieramento dei padroni di casa. Solo dopo il 31’ di gioco del secondo tempo, allorché il risuscitato Abbadie ha realizzato la rete per la sua squadra, i grigi hanno organizzato il contrattacco. Troppi alessandrini erano presenti alla partita, per cui riteniamo superfluo illustrare ciò che è avvenuto: ci limitiamo soltanto a dire che Buffon, a partita ultimata, ha espresso la sua soddisfazione per i poco centrati Migliavacca e Maccacaro. A Genova si poteva vincere comodamente, perché se Cartagine piange, Roma non ride. I rossoblù attualmente si trovano in fase negativa; hanno una difesa fragilissima ed un attacco che brancica nel buio come un ubriaco. L’Alessandria, se maggiormente intraprendente e decisa, sarebbe senz’altro riuscita a spezzare le inconsistenti maglie della difesa avversaria, ritornando in sede con una vittoria che l’avrebbe riabilitata di fronte ai propri sostenitori. La partita al Ferraris ancora una volta ci ha insegnato, se i tecnici l’hanno capito, che non avendo l’Alessandria degli stoccatori di qualità, per ottenere immediate segnature occorre dare la possibilità a tutti gli attaccanti di creare maggiori quantità di azioni in zona di rigore avversaria, affinché tra tante occasioni sciupate qualcuna venga sfruttata positivamente. Ma fino a quando gli uomini di punta non potranno oltrepassare la linea di metà campo, fino a quando le mezze ali si sostituiranno ai mediani ed i mediani fungeranno da terzini, le azioni offensive grigie rimarranno allo stato intenzionale. Il passivo delle reti subite non ha alcuna importanza: perdere per una rete a zero o per dieci a zero non ha alcun valore essenziale; è unicamente il risultato finale che conta. Ed a Genova poteva essere di pretta marca grigia. Bastava volere. (Romolo Vite, «Il Piccolo», 24 dicembre 1959) Così si sono espressi alcuni genoani che lasciavano il campo con noi: «Soltanto l’Alessandria poteva perdere questa partita!». E noi aggiungiamo che soltanto Pedroni poteva fare in modo che il Genoa vincesse, con quella sua mania deleteria di puntare al pareggio. E siamo certi che tutti gli sportivi presenti a Genova condivideranno il nostro parere in quanto, dopo aver visto il Genoa annaspare nella nostra area di rigore, fallire i goals più elementari, dimostrare di non essere assolutamente squadra era fin troppo facile capire che lasciando giocare la squadra, con i mediani un po’ avanzati e con la prima linea oltre metà campo sarebbe stato elementare segnare qualche rete e vincere una partita per l’Alessandria importantissima. Invece, nulla di tutto questo: qualche timido contropiede condotto da un uomo o al massimo due, facile preda della pur scombussolata difesa genoana, qualche puntata isolata e poi sempre difesa, sempre una massa di difensori affannati. Dopo il goal di Abbadie, Pedroni si spinse all’attacco, tutta la squadra cercò di pareggiare le sorti, ma era troppo tardi e così l’Alessandria fu sconfitta. Non è necessario aggiungere altro: chi era a Genova ci può facilmente capire. Adesso come la mettiamo? Ora l’Alessandria è coinvolta direttamente nella lotta per la retrocessione. La media inglese la relega al penultimo posto con altre squadre, le partite da disputare fuori casa saranno tre contro le due da disputarsi in casa. Alla fine del girone tireremo le somme preparandoci per la trasferta di Milano contro il Milan. Che cosa dicono coloro che dicevano e scrivevano che i pareggi casalinghi erano vittorie? Si sono finalmente convinti che fuori casa si può perdere, ma che in casa si deve vincere? Che cosa dicono dell’Atalanta, che aveva quattro punti in meno dell’Alessandria e che oggi ne ha tre di più? Ma l’Atalanta ha ricevuto Roma e Palermo di seguito ed ha conquistato quattro punti! E non ci vengano a dire che il Genoa sta peggio dell’Alessandria, perché a noi non importa proprio nulla: le squadre che retrocederanno saranno tre e non una soltanto. La prima linea si è schierata come da tempo speravamo: Maccacaro, dopo un primo tempo discreto, è scomparso, Rivera ha fatto cose egregie nei primi quarantacinque minuti, ma nella ripresa non si è più visto, Tacchi come al solito, e cioè malissimo tutta la partita, se si toglie qualche spunto caparbio. Ciò non significa che la prima linea in quella formazione sia fallita: nessuna prima linea del mondo potrebbe salvarsi se abbandonata totalmente dalla mediana e se le mezze ali giocano in copertura e per di più con l’ala destra, Migliavacca, da quarto mediano. La prima linea deve giocare come reparto avanzato, sorretta dai mediani laterali e con le mezze ali che fanno da spola, o per lo meno con una mezz’ala che funge da stantuffo propulsore. Nulla da eccepire sull’organizzazione della difesa: difficile passare, specialmente per la prima linea del Genoa, che avrà sbagliato quattro goals già fatti. Bisogna riconoscere che la tattica difensiva Pedroni è quanto mai impostata, ma giocando così non si può vincere e bisogna sperare che gli avversasi non segnino. Anche i genoani si sono convinti rapidamente dell’eleganza del tocco, della classe di Rivera: peccato sia troppo giovane, dicevano, peccato che abbia poco fisico, peccato che nessuno lo capisca e lo coadiuvi. Effettivamente, Rivera nel primo tempo ha fatto cose da piccolo campione. È andato via due volte solo con facilità: la prima volta Carlini lo ha afferrato per un braccio e lo ha fermato, la seconda Filini si è portato in fuori gioco ed ha frustrato l’azione del «campioncino», che stava avanzando solo verso la porta avversaria. Due azioni che da sole classificano un giocatore. Se poi il ragazzo è scomparso dalla lotta, ciò è dovuto alla mancanza assoluta di appoggio da parte dei compagni di linea, in ben altre faccende affaccendati. Noi pensiamo che Rivera possa giocare quasi tutte le partite, anche perché ha bisogno di farsi le ossa e soprattutto perché il suo gioco non è di quelli che sfiancano i giocatori. Rivera è un fiorettista, non un pugnatore tipo Filini, e pertanto il suo logoramento è certamente minimo. Chi non ha visto giocare Barison non può rendersi conto di quanto sia ridicolo questo giocatore. Sembrava di sognare a vederlo ciondolarsi per tutta la partita senza riuscire ad andare via una sola volta. Con dei mezzi fisici eccezionali, ignora totalmente il gioco del calcio, non riesce a scartare un uomo neanche quando è lanciato, insomma, uno spettacolo deplorevole come la partita stessa. E Cuttica? Da tanti anni assistiamo a partite di calcio, ma forse mai abbiamo visto un terzino tanto scadente: se fosse entrato uno spettatore che non sapeva che quella era una partita di Serie A avrebbe potuto scambiare Cuttica per un terzino di una squadra formata dall’Oratorio di Marassi! Eppure, contro quel terzino che non ne azzeccava una, Pedroni non ha mandato alcuno, perché Migliavacca, con il numero sette sulla schiena, era impegnato in tutt’altro ruolo e pertanto quel Cuttica giocava libero, facendo ridere i suoi stessi tifosi. Non intendiamo parlare del campo di Palermo, dove il tifo è molto più violento che da noi, dove giocare serenamente non è tanto facile. L’Alessandria dovrà affrontare questa trasferta cercando di mantenere, per quanto possibile, la calma, giocando la partita per vincerla perché fuori casa la sconfitta non è poi tanto grave. Tutto da guadagnare in trasferta, e pertanto giocare con slancio, senza pregiudizi, cercando di far breccia nella difesa dei padroni di casa prima che ci scappi il solito piccolo goal traditore che inchioda la squadra sulla sconfitta. In questo campionato, le forze tra le squadre meno dotate sono pressoché identiche: chi segna vince, faccia l’Alessandria in modo di essere la prima a segnare e poi si vedrà come andrà a finire. E soprattutto si convinca Pedroni che gli attaccanti non devono sempre partire da oltre metà campo come è accaduto contro il Genoa: Rivera due volte è andato via solo, ma da una distanza tale che difficile è stabilire se sarebbe riuscito ad andare a rete. Malgrado la sconfitta, che sicuramente si poteva evitare, dobbiamo essere tutti in letizia perché domani è Natale: l’amarezza che ci è rimasta addosso dopo la partita potrà trasformarsi in gioia dopo la partita di Palermo. Rinnoviamo a tutti i dirigenti, ai giocatori, a tutti gli sportivi i nostri più affettuosi auguri: di quali auguri potrebbe trattarsi? Prima di tutto di buona salute e subito dopo di un’affermazione a Palermo, che servirebbe a rinsaldare il morale un po’ scosso di tutti. L’Alessandria ha dieci punti, altre squadre ne hanno qualcuno di meno: c’è pertanto una piccola scorta di «fieno sulla cascina», ma guai a consumarla, questa scorta. (Egi, «Il Piccolo», 24 dicembre 1959) RISULTATI: Atalanta-Palermo 1-0 Fiorentina-Padova 1-0 Lanerossi Vicenza-Internazionale 0-2 Milan-Sampdoria sospesa sullo 0-0 al 46’ per nebbia Napoli-Bari 1-2 Roma-Bologna 1-2 Spal-Lazio 1-1 Udinese-Juventus 1-1 CLASSIFICA: Juventus 18; Fiorentina, Internazionale 16; Bologna* 15; Milan, Spal 14; Atalanta 13; Sampdoria, Lazio, Roma 12; Alessandria, Bari, Napoli, Padova 10; Udinese 9; Palermo 8; Lanerossi Vicenza* 7; Genoa 6. MARCATORI: 8 gol Charles (Juventus) 7 gol Firmani (Inter), Pivatelli (Bologna), Sivori (Juventus) 6 gol Brighenti (Padova) 5 gol Altafini (Milan), Hamrin (Fiorentina), Manfredini (Roma), Mora (Sampdoria), Rossi Gu. (Spal) Il punto sul campionato Fiorentina, Inter, Bologna e Milan incalzano i bianconeri SERRATO INSEGUIMENTO DI QUATTRO SQUADRE ALLE SPALLE DELLA CAPOLISTA JUVENTUS A spese dell'Alessandria la prima vittoria del Genoa a Marassi Il cammino percorso dal campionato ci ha portato abbondantemente al di là della terza parte del totale della competizione. E, proprio in questo momento, l'interesse della gara si è fatto più vivo e palpitante. La somma dei risultati della giornata di domenica può essere riassunta in una diminuzione, non rilevante ma certo notevole, del vantaggio che la Juventus deteneva sulla Fiorentina, sull'Internazionale e sul Bologna. Perché è avvenuto questo, che la Fiorentina ha battuto il Padova a Firenze per una sola rete a zero ed in una partita burrascosa, ma lo ha battuto — che l'Internazionale, in un incontro senza infamia e senza lode, è andata a vincere, per due a zero a Vicenza — e che il Bologna, continuando sul fresco slancio della sua squadra ha celebrato il cinquantennio della sua esistenza infliggendo alla Roma, per due a uno, la sua prima sconfitta casalinga. Tutto ciò, mentre a Udine la Juventus non ha po tuta andare al di là del pareggio per uno a uno, anche a causa della perdita di uno dei suoi elementi più regolari e redditizi: Emoli. Il vantaggio sui più vicini inseguitori — che sono sempre due, Fiorentina ed Internazionale — si riduce così da tre lunghezze a due sole. E non basta. Il Bologna, che sta al quarto posto, subito dietro ai viola ed ai neroazzurri, ha da ricuperare una partita casalinga col Vicenza: se la vince, come è per lo meno probabile che avvenga, balza in seconda posizione, ad un punto solo dalla Juventus. E non basta ancora. Il Milan, che ha avuto il suo incontro sospeso al termine del primo tempo, per la fitta nebbia scesa su San Siro, se vince il suo ricupero colla Sampdoria da disputare in data che pare prossima, sale a fare compagnia anch'esso a quota 16, ai toscani ed agli interisti. Un intero complesso di fatti e di possibilità, come si vede, che ha per effetto un avvicinamento alla posizione di privilegio che pareva detenere la Juventus una marcia alla chetichella come per portarci in posizione favorevole ad un attacco in massa a chi pareva dovesse tutto travolgere. Non v'è che dire. La situazione si fa interessante, ed il momento delicato. La Juventus, domenica prossima, riceverà la Roma: e guai se non vince, perché c'è già chi sta colle fauci spalancate, pronto ad ingoiarla. E, questi, principalmente, l'Internazionale che è in attesa, a San Siro, del Genoa, pronta a farne un boccone solo, visto l'appetito che le hanno risvegliato le circostanze. Fuori casa, con compiti più difficili, saranno la Fiorentina che è aspettata dalla Spai a Ferrara, il Milan che si reca a Roma per incontrarvi la Lazio, ed il Bologna che si reca a Udine, per tentare l'avventura non completamente riuscita ai bianconeri torinesi Il primo incontro diretto fra questi rivali di grosso calibro, lo si avrà subito dopo la partita internazionale di Napoli colla Svizzera, nella prima giornata di campionato di Serie A dell'anno nuovo: sarà Milan-Juventus, a San Siro. Tutto questo, ai fini immediati. Una battaglia che divampa, perché le circostanze lo vogliono. Perché il cammino da percorrere è ancora lungo assai: consta ancora di ventidue tappe, e c'è tempo perché dell'acqua ne scorra sotto ai ponti delle diciotto squadre. L'importante è che il campionato non dorma, e che l'interesse del pubblico per la contesa in genere e per il risultato finale in specie si mantenga vivo. E vivo esso è, in qualunque ordine di posti della classifica: non solo in testa, ma al centro come in coda. Al centro, il Napoli ha perso il suo primo incontro al nuovo stadio di Fuorigrotta, lasciando sul campo anche un giocatore che per poco non ci rimette la vista, Pesaola. Ed in coda si è avuto, finalmente, un sussulto di riscossa del vecchio Genoa, che, un po' a stento ma dopo tutto meritatamente, è riuscito a battere sul proprio campo quel coriaceo avversario che è l'Alessandria. Il quale, per il momento almeno — e giuocando noi saremmo quasi tentati di dire anche per l'avvenire — si trova fuori pericolo. Il grosso problema della retrocessione riguarda, in questo momento, il Genoa, il Lanerossi di Vicenza ed il Palermo. Questi due ultimi avendo perso i loro incontri di domenica scorsa, rispettivamente in casa contro l'Inter ed a Bergamo contro l'Atalanta, i tre contendenti si trovano ora scaglionati in profondità ed in perfetto ordine, alle quote sei, sette ed otto. Peggio di tutti, come quoziente reti, sta il Palermo. Scarso è stato il totale delle reti segnate nella giornata: quindici in tutto, con sei di esse dovute ad attaccanti oriundi o stranieri, e con dodici soli settori d'avanguardia che meritino il premio della prolificità. (La Stampa - Vittorio Pozzo)