Museo Grigio - Archivio Storico

Stagione: 1959/1960
Serie A
29-05-1960 - Giornata: 33 - Alessandria - Giuseppe Moccagatta


Alessandria US - Internazionale FC 2 - 3 (0 - 0)
RETI: 53. Oldani (II) T.[A], 69. Migliavacca G.[A] 52. Bicicli [In] , 56. Corso [In] , 85. Firmani [In]

Alessandria US Stefani Ideo, Nardi Aldo, Giacomazzi Giovanni, Snidero Cirano, Pedroni Franco, Girardo Antonio, Oldani (II) Tullio, Migliavacca Giancarlo, Maccacaro Cesare, Rivera Gianni, Tacchi Juan Carlos All.: Pedroni Franco

Formazione avversaria
INTERNAZIONALE FC: Pontel; Guarneri, Gatti; Masiero, Tagliavini, Invernizzi; Bicicli, Venturi, Firmani, Lindskog, Corso. All.: Achilli Camillo.

Arbitro: Jonni Cesare (Macerata)
Note
Angoli: 8-3 (5-2). Punizioni: 9-13. Spettatori: 12.000 (paganti 8.000). Incasso: lire 6.000.000. Giornata ventilata con sole a tratti, terreno erboso e viscido per la pioggia caduta in mattinata. Inizio gara ore 16:00. «Corriere dello Sport» attribuisce la prima rete dell’Inter a Bicicli, «La Gazzetta dello Sport» attribuisce la seconda rete dell’Alessandria a un’autorete di Invernizzi.

Commento
Emozionante ripresa e lotta affannosa degli alessandrini L'INTER A CINQUE MINUTI DAL TERMINE CONDANNA LA SQUADRA GRIGIA: 2-3 Per due volte in svantaggio i piemontesi riescono a pareggiare - Il pianto del giovanissimo Rivera dopo il gol decisivo del nerazzurro Firmani - Polemiche per un penalty non concesso Il gol che Firmani ha segnato a cinque minuti dalla fine ha deciso il risultato della partita e il destino dell’Alessandria in questo campionato. C’è stato un attimo di silenzio nella folla. Crollava tutto un edificio di speranze e illusioni. La sorte era segnata. Il gioco riprese in un ambiente di rassegnazione e di accoramento. Poco dopo, la partita veniva interrotta per un duro scontro di Corso con un difensore avversario. Rivera si era avvicinato alla panchina dei tecnici e piangeva. Si piegò sulle ginocchia nascondendo il viso nelle mani. Approfittando dell’interruzione un dirigente gli si avvicinò per confortarlo. Di che piangeva, Rivera? Qualcuno gli aveva gridato di svegliarsi e il grido l’aveva offeso. Un minuto prima dell’azione decisiva, nella continuazione di un calcio d’angolo tirato da Tacchi, un tiro di Rivera aveva visto interrotta la sua traiettoria dal braccio di Invernizzi. Si era levato un grido unanime: rigore! In mischia tutto è possibile e difficile è la valutazione serena di un fallo. L’arbitro era lì a due passi ed aveva fatto cenno di continuare: segno che per lui il fallo era stato casuale e involontario. Sul contrattacco venne il gol di Firmani. Il centravanti nerazzurro si era spostato all’estrema destra a ricevere un allungo di Bicicli ad una quarantina di metri dalla porta. Si trovava sul filo del fuori gioco e il segnalinee, che già ne aveva segnati almeno sette od otto allo stesso giocatore, seguiva l’azione a pochi metri di distanza con la bandierina abbassata. Il contrattacco era valido. Davanti a Firmani non c’era nessuno, Giacomazzi era andato a fare il «forcing» con gli avanti, Pedroni era rimasto al centro e non osava sporcarsi sull’avversario per tema di essere tagliato fuori da un passaggio al centro, ove stava portandosi Lindskog. Vista la via libera, Firmani avanzava a modesta andatura rinviando sempre il momento del tiro. Uscì Stefani ed egli avanzò ancora. Entrato in area, lasciò partire un modesto tiro sulla destra del portiere che era già fuori di otto o nove metri e sarebbe stato impossibile non segnare. La palla andò saltellando ad adagiarsi in fondo alla rete. Il rigore – o presunto rigore – negato, la mazzata del gol subito dopo, l’incitamento inopportuno perché esso presumeva che Rivera stesse battendo la fiacca, agirono sui nervi del ragazzo, che scoppiò in pianto. In quelle lacrime c’era tutto il dramma dell’Alessandria. È stata una partita mediocre nel primo tempo e straricca di emozioni nella ripresa. Forse l’Alessandria ha sbagliato tattica. Essa ha affrontato l’avversario sul piano del gioco e, sotto questo aspetto, la sua inferiorità era senza rimedio. In tutta la prima parte della gara, essa non è riuscita a creare una vera azione da gol. La sua manovra si perdeva nel labirinto della difesa nerazzurra, assai bene organizzata negli scambi fra mediani e terzini. La ricerca del palleggio, i passaggi corti, le combinazioni fitte: tutte cose inutili. La copertura davanti a Pontel era invalicabile. Il ritmo della manovra era modesto, l’Inter non aveva intenzione di forzare, alla vittoria forse non ci teneva, ci teneva solo a non perdere. L’Alessandria avrebbe dovuto cercare di passare attraverso lo sbarramento con un gioco tutto di rilanci in profondità per tentare di cogliere spiazzata la difesa perché solo con attacchi veloci e improvvisi di catapulte scatenate avrebbe avuto la possibilità di superare il margine tecnico che la divideva dall’Inter e fendere la compattezza della sua forte organizzazione difensiva. Fu solo nella ripresa che essa si vide costretta ad accelerare il ritmo della sua manovra, e fu l’Inter a costringervela. Già alla prima azione dei nerazzurri, la porta dei grigi apparve in pericolo. Lanciato da Invernizzi, Firmani, che si era spostato all’estrema sinistra, faceva partire un fortissimo traversone rasoterra e la palla, dopo aver passeggiato davanti alla rete a non più di un metro dalla linea bianca, usciva dal fondo. Si cita questa azione per rilevare che tutta la difesa alessandrina era rimasta immobile, come estranea all’episodio. Poco dopo, un gran volo di Stefani bloccava un centro di Bicicli. Il primo gol maturava al 7’: centro di Bicicli, Firmani sbucava fuori dalla cortina difensiva e, solo a pochi metri dai pali, batteva Stefani. Questa azione era apparsa a molti sospetta di fuori gioco, ma è difficile staccare il tempo fra la partenza della palla e lo scatto del giocatore a cui è diretta. Il segnalinee trovò tutto regolare, i giocatori grigi non protestarono, la folla restò silenziosa. All’arbitro non restava che convalidare. Qui cominciò la partita vera. Passava appena un minuto ed ecco, alla ripresa del giuoco, l’Alessandria conquistare il pareggio. I grigi partivano come frecce. Maccacaro, spostatosi all’estrema destra, centrava a mezza altezza quasi dalla linea di fondo e Oldani, filtrato alle spalle della difesa, di testa deviava nella rete. Ora non più manovre prolisse, ma attacchi a fendenti, galoppate frenetiche, un ritmo nervoso ed eccitante. La gioia del pareggio non durava molto. Ecco al 12’ un allungo di Lindskog a Corso a terreno libero. Facile galoppata dell’estrema sinistra nerazzurra, ad una quindicina di metri sferrava il tiro forte e preciso e la palla, per la seconda volta, andava a scuotere la rete. Passavano una dozzina di minuti circa. L’Alessandria attaccava a folate, sovente terzini scendevano a dare man forte agli avanti, il pubblico aveva una voce sola: tutti all’offensiva. Tutti capivano che la squadra grigia decideva la sua sorte in questa partita più difficile forse di quanto non pensassero. Al 24’ ancora Firmani scattava oltre la difesa raccogliendo un passaggio di Corso e veniva a trovarsi solo davanti a Stefani, ma per fortuna il tiro colpiva in pieno il portiere in tuffo. Sfuggita al pericolo di un terzo goal, l’Alessandria si tuffò tutta all’attacco e la fortuna, una volta tanto, volle assisterla. A un minuto dall’occasione fallita da Firmani, si profilava infatti il secondo pareggio dei grigi. Era Tacchi che dal centro lanciava a Migliavacca spostato all’estrema sinistra. L’attaccante alessandrino, portatosi fino a un paio di metri dalla linea di fondo e distante sei o sette metri dai pali, scoccava un traversone fortissimo che avrebbe avuto scarse probabilità di successo data la forte angolazione, ma nella sua veloce traiettoria la palla incontrava la spalla di Invernizzi e violentemente veniva deviata nella rete. Subito dopo, un tiro fortissimo di Snidero era deviato in corner da Pontel. La partita si avvicinava al suo momento fatale. Al 35’ un traversone di Rivera dalla destra chiamava ancora in causa Pontel, che deviava alto col pugno. Torniamo così al punto ove questo racconto è cominciato: al 39’ il corner contro l’Inter e un minuto dopo la mazzata di Firmani. Alla fine, l’appassionata reazione della folla verso l’arbitro, ritenuto colpevole del rigore negato. Abbiamo già detto che Jonni si trovava a pochi passi dall’episodio e ha potuto vedere bene. Incolparlo di aver voluto rifiutare una decisione giusta sarebbe offensivo. Semplicemente, è stata una giornata avversa per i grigi: e proprio la giornata più importante. Come hanno giocato lo abbiamo già detto. Dal punto di vista tecnico, essi sono stati dominati dall’Inter, che del resto ha disputato una bella partita solamente in difesa. All’attacco, solo Lindskog è stato al livello agonistico della lotta: duro, caparbio, ferrigno. Ma che l’Inter abbia tirato proprio per i capelli questa vittoria, non ci è sembrato. Firmani si è visto offerto il pallone decisivo su di un piatto d’argento. Rifiutarlo non gli sarebbe stato possibile. (Ettore Berra, «Stampa Sera», 30 maggio 1960) L’Inter non ha condannato l’Alessandria! Semmai, la squadra grigia si è condannata giocando una asmatica partita, senza ombra di organizzazione, persino priva di quello spirito gagliardo che la disperata posizione di classifica imponeva. Ha trovato, l’Alessandria, la strada del doppio, miracoloso recupero, ma non ha saputo organizzare il forcing caparbio nel momento in cui l’avversario – invero compiacente – traccheggiava in mezzo al campo, quasi non volesse più infierire, se non con l’accademia. E così, a cinque minuti dalla fine, il suo catenaccio è stato, ancora una volta, umiliato dal contropiede di Bicicli-Firmani; e il suo bravo portiere, Stefani, trafitto dal centravanti, lasciato solo a galoppare verso il gol e neppure troppo convinto di realizzarlo. Inutile, quindi, imprecare contro i nerazzurri che hanno spinto l’Alessandria verso il baratro della Serie B. Meglio, molto meglio, meditare sull’insufficiente prestazione di una squadra grigia brancolante nel buio più fitto della propria mediocrità, incapace di reggere o imporre un ritmo agonistico che convalidasse le proprie speranze di salvezza, inefficiente e per gioco e per dotazione tecnico-atletica all’antagonista. L’Alessandria, schierata secondo l’usato modulo (Pedroni libero in area, Girardo su Firmani, Migliavacca su Venturi, Snidero su Lindskog, e i terzini a controllo stretto sulle estreme), ha giostrato su un piano accademico, quasi volesse competere con i nerazzurri sul piano stilistico. La scarsa mobilità di Tacchi, la disordinata e convulsa azione di Migliavacca, gli isolati spunti di Maccacaro, l’irrazionale disposizione di Oldani, nonché la leziosaggine del «divo» Rivera, hanno notevolmente facilitato il compito alla retroguardia nerazzurra, a tratti persino esaltante nella sua organizzazione. E nelle retrovie, l’orgasmo ha via via annebbiato le menti, mentre la rassegnazione ha logorato i muscoli. Giacomazzi si è battuto come un vecchio leone, Pedroni ha cercato sì di spazzare l’area quando l’avversario non lo bruciava sullo scatto, Nardi ha tentato persino galoppate sotto la rete avversa; ma tutti, laterali compresi, non hanno mai saputo illuminare la scena con lanci degni di tale nome (molte, ovviamente, le palle buttate a vanvera) o con la sigla perentoria di un’azione pensata. Solo Stefani, con tre interventi da campione, si è fatto ammirare. Gli altri hanno trascinato al piede la palla di piombo della propria mediocrità. Questa è la condanna! L’Inter, dicevamo, ha giocato un foot-ball dignitoso, per ordine, nelle retrovie e a centro campo, offrendo spunti manovrati di una certa efficacia spettacolare, ma pur tuttavia mantenendo il ritmo sul piano blando dell’esibizione, soprattutto nelle fasi offensive. Bene articolata nella retroguardia (ottimo il rientro di Guarneri, un po’ meno quello di Gatti, crollato nella ripresa; puntigliosa la prestazione di Tagliavini, ottime e diligenti quelle di Invernizzi e Masiero), l’Inter ha mandato in cattedra un Lindskog stupendo per continuità e lucidità di gioco, per varietà e sicurezza di tema, illuminanti. E sotto tanta regia, Firmani si è aperto varchi impensati nel cuore della difesa grigia (due gol di classe, una palla-gol buttata fra le braccia di Stefani, un’altra sbucciata con noncuranza sul fondo); Bicicli ha… sculettato come e quando ha voluto, creando panico; Corso, in ripresa dopo il dolce sonno dei primi 45’, ha infilato Nardi a piacimento con le sue finte e i suoi scatti ubriacanti. Venturi, lui si è limitato a giocare di conserva, legando con i mediani e offrendo palle ben rifinite al reparto d’attacco, sia pure col compassato stile che ormai lo distingue. Tuttavia, questa Inter dignitosa, mobile e a tratti accademica, non ha dato l’impressione di voler fare da mattatrice, almeno rispetto al risultato. Cronaca velocissima. L’avvio è mediocrissimo, con tiri da lontano (e sbilenchi) di Snidero e Migliavacca. I nerazzurri si organizzano e rispondono con Lindskog, in stupendo «a solo» (19’). Migliavacca, in extremis, entra di testa e devia verso l’autogol: Stefani vola a parare fra gli applausi. Alla mezz’ora, l’unico errore di Guarneri, che per poco non aiuta l’Alessandria: il terzino rovescia verso Pontel, indirizzando giusto sulla testa di Oldani appostato; sorpresa, l’ala manca l’occasione. Al 34’ Tacchi filtra fra Tagliavini e Guarneri; Janni lascia il vantaggio (i due nerazzurri lo avevano pure ostacolato) all’alessandrino; ma questi scarica sul fondo, indegnamente. Gran fucilata di Lindskog su punizione: Stefani vola, deviando in corner. Dalla bandierina, palla convogliata in mischia: si stacca Firmani e corregge di testa; Stefani è in contropiede, ma riesce a deviare con l’anca; Pedroni, sulla linea, rimedia, sventagliando lontano. Null’altro offre il primo tempo. La ripresa sembra rilancia la Alessandria (due attacchi in tandem Oldani-Rivera). Ma, invece, è Firmani (2’) che grazia Stefani, indirizzando sul fondo una palla-gol servitagli da Invernizzi. Al 4’, poi, grande uscita a valanga di Stefani su Firmani (cross di Bicicli). E cominciano i gol. 6’: Bicicli, sulla destra, «beve» Pedroni e, dal fondo, crossa in mezzo all’area; Firmani (qui c’è il dubbio sulla posizione del centravanti), scatta e di piatto infila senza pietà. Proteste timide, e il gioco riprende. Palla al centro, risposta perentoria dei grigi, Maccacaro galoppa sin sul fondo campo, opera un cross teso che Oldani, rinvenendo, insacca di testa. Gol sorpresa. All’11’ Lindskog semina avversari da tre quarti campo fino al limite; quindi, con l’esterno, invita Corso allo scatto e l’aletta non esita ad agganciare la sfera e ad infilare con un gran tiro, sotto la traversa. Gol mancato da Corso (tiro rientrante) e da Bicicli (correzione utilissima) al 15’. Al 24’, grande spunto di Corso sulla sinistra, magnifico il centro a Firmani, che si libera e si presenta solo davanti a Stefani; il centravanti scarica chiudendo gli occhi, proprio sul portiere. Dal gol mancato dell’Inter al gol realizzato dall’Alessandria. Al 25’ vanno via, in tandem, Tacchi e Migliavacca: tiro deciso dell’interno; la palla colpisce Invernizzi su una spalla e si infila tra Pontel e il palo. Classico autogol. Insiste l’Alessandria per qualche minuto, ma i tiri di Snidero (26’) e di Rivera (34’) vengono deviati in corner dal bravo Pontel. L’Alessandria è tutta protesa all’attacco e ottiene una mischia tremenda davanti la porta nerazzurra; non accade nulla, anche se Rivera si stende a terra, accusando una botta. La gente reclama il rigore, che non c’è. Dopo la mischia, riparte Bicicli sulla destra, infila Giacomazzi che, ansante, cerca di tallonare l’ala; il tocco di Bicicli trova Firmani libero sul centro area; avanza il centravanti, evita un avversario, si porta la palla sul sinistro, poi sul destro, quindi tocca decisamente verso il gol: Stefani, in uscita, non riesce a fermare la palla. Meno di diecimila spettatori, terreno spelacchiato; incidenti, nel finale elettrico, a Corso (ai bordi per due minuti); ferita lacerocontusa al ginocchio sinistro a Rivera (ai bordi per un minuto) e Gatti a terra (per un minuto). (Angelo Ponti, «La Gazzetta dello Sport», 30 maggio 1960) Nel pubblico c’era chi piangeva, chi urlava, chi avrebbe voluto scorticare l’arbitro, chi accusava l’Inter di essersi venduta al Palermo, chi si accapigliava con i carabinieri. La sconfitta, che ha irrimediabilmente escluso l’Alessandria dalla massima divisione, ha irritato oltre misura la folla perché gli avversari, invece di aprire le porte ai giocatori grigi, hanno disputato una onesta partita. L’Inter, per essere sinceri, non si è certamente «sprecata» troppo per ottenere il successo, anzi, la sua prova è stata meno felice di quanto ci aspettassimo. Sebbene in tribuna vi fosse il signor Helenio Herrera intento ad osservare la sua nuova scolaresca, pochissimi neroazzurri hanno accettato di mettersi in bella mostra. Il signor Herrera, facendo una eccezione alla sua ben nota discrezione, ci ha francamente detto che non immaginava che tra le partecipanti al campionato dei professionisti italiani potesse trovar posto una squadra debole e sgangherata come quella alessandrina. Purtroppo, dobbiamo riconoscere la validità del parere del celebre allenatore. L’Alessandria è un complesso privo di energie e anche disordinato, al punto che persino quei due o tre giocatori di una certa abilità presenti nelle sue file hanno disimparato ciò che sapevano. Il giovane Rivera, ad esempio, era più intraprendente e più insidioso quando non aveva ancora frequentato le lezioni tecniche dell’istruttore della società grigia. Se rimanesse ancora qualche mese di questo sodalizio, il Milan potrebbe presto accorgersi di aver acquistato un elemento irrecuperabile. Nel primo tempo non è successo assolutamente nulla di interessante all’infuori di un maldestro passaggio dell’interno Migliavacca al proprio portiere che ha costretto Stefani a compiere una parata disperata. L’Inter dormicchiava, limitandosi a colpire un palo (tiro di testa di Firmani) verso lo scadere del tempo. Al 7’ della ripresa Firmani ha segnato. L’italoinglese ha raccolto al volo un bel traversone di Bicicli e ha battuto Stefani da pochi metri. I grigi hanno replicato immediatamente, e non era ancora passato un minuto che avevano già pareggiato: Oldani, di testa da due passi, ha deviato nella rete di Pontel un cross di Maccacaro. Al 20’ Corso, lanciato da Lindskog, ha portato a termine una bella azione in profondità e ha insaccato il pallone con una staffilata diagonale. La forza della disperazione ha moltiplicato l’energia dei grigi, i quali sono riusciti a chiudere i non eccessivamente combattivi avversari nella area di rigore. Al 24’ il pallone calciato da Tacchi è andato a sbattere sull’addome di Invernizzi ed è rimbalzato nel sacco. Cinque minuti prima delle fine, Firmani, il quale era piazzato a metà campo mentre l’Alessandria premeva contro la porta interista, raccolto un lancio di Bicicli, ha attraversato il campo e, da pochi metri, ha inchiodato Stefani tirando raso terra. Era finita. (Piero Maria “Martin” Zoccola, «l’Unità», 30 maggio 1960) I grigi hanno perduto le ultime speranze di potersi agganciare alle pericolanti concorrenti alla retrocessione per il gioco arido e sterile sviluppato nel primo e, a tratti, anche nella ripresa, malgrado la somma importanza della competizione, ultima ancora d’una possibile salvezza in questo tormentato finale di campionato. Lo spirito aggressivo e pugnace d’un tempo, che era riuscito a sopperire alle deficienze tecniche e stilistiche dei giocatori grigi portandoli anche a buoni successi in ardue imprese, si è dileguato nell’incontro decisivo odierno. Privi di mordente e di vivacità, gli uomini del quintetto offensivo non sono riusciti, nel primo tempo, a portare una sola efficace e concreta azione offensiva sotto la rete di Pontel. Questi giovani atleti, che pur avevano affrontato avversarie più solide e combattive, sono apparsi giù di morale, quasi sfiduciati e compresi delle loro inferiorità tecnica, benché anche i nerazzurri non siano apparsi nella forma migliore e tale da produrre un rendimento irresistibile. Troppe facili occasioni si sono così sciupate in vani palleggi ed inutili tentativi smorzatisi sul piede degli estremi difensori interisti, mentre con un maggior senso della posizione e della ponderatezza si sarebbe potuta agevolmente superare la pur vulnerabile barriera difensiva avversaria. Si è giunti in tal modo al riposo fra la delusione dell’attonito pubblico, che già aveva manifestato il suo malumore per il poco convincimento con cui i grigi hanno affrontato quest’ultimo scoglio, confidando in un salutare risveglio nella ripresa. E infatti, nel secondo tempo, si sono visti a tratti pregevoli cose, anche in campo interista. Già al 5’ Stefani, con un volo fantastico, è riuscito ad agguantare la palla su un tiro angolato di Bicicli, ma quest’ultimo, due minuti dopo, benché in netta posizione di fuori gioco, raccogliendo un centro di Firmani, segnava la prima rete. Immediata azione grigia, mischia sotto la rete di Pontel e Maccacaro riusciva a deviare la sfera di cuoio a Oldani che di testa segnava il pareggio. Il gioco, di colpo, si accendeva vivacissimo nei due campi, ma a smorzare la fiduciosa attesa dei trepidanti tifosi alessandrini, ecco una nuova fuga di Corso che, dall’estrema sinistra, convergeva diagonalmente verso il centro e con un potente traversone segnava la seconda rete interista. Nuova lunga ed affannosa reazione alessandrina ed al 24’ ecco la seconda rete grigia, ottenuta da Migliavacca con un tiro diagonale; la palla schizzava nell’angolo sinistro di Pontel: 2-2. V’era ancora la possibilità di pervenire alla vittoria e Giacomazzi, il più combattivo di tutti, al 25’ s’insinuava fra gli avanti per alimentare l’attacco, costringendo ad affannosi e difficoltosi interventi la difesa interista, salvatasi in angolo. Rivera, guardato a vista, non è riuscito a dare tono e ad imporsi in questa serie offensiva. Incerto e sfiduciato, è mancato sovente nel vivo della lotta quando occorreva calma e precisione per pervenire al successo. Sul finire ha avuto due brillanti interventi: prima con un tiro diagonale sferrato dal corner e deviato a malapena a fil di palo dal portiere, poi per un’azione sua personale, allorché con una vigorosa manata veniva spedito al suolo da un difensore nerazzurro. L’arbitro, che già aveva sorvolato sul precedente fallo in area di rigore interista, anche questa volta non ha concesso la massima punizione, e così la sorte si è beffata dei grigi. Al 40’ Firmani partiva da metà campo tutto solo e giungeva a pochi passi da Stefani, battendolo con un tiro a media altezza. Era la fine dell’Alessandria nel rango delle elette. (Giovanni Camagna, «Corriere dello Sport», 30 maggio 1960) DOPO LA SCONFITTA CASALINGA CONTRO L'INTER (2-3) L'Alessandria retrocede in “B„ Giovedì scorso riunione dei Consiglio direttivo - Liquidati Pedroni, Robotti e Coscia - Rivera ancora in maglia grigia? Fine di un sogno. Miseramente, per cause molteplici, senza onore, i giocatori dell’Alessandria hanno sepolto l’Alessandria, che chissà quando riuscirà a risalire tra i «moschettieri». Diciamo anche senza onore perché, contro l’Inter, troppi giocatori non hanno fatto per intero il loro dovere contro degli avversari che, specie nel primo tempo, avevano dato chiaramente ad intendere che la partita non interessava poi molto. E chi ha visto il primo tempo dell’Alessandria senza sapere quale posta fosse in palio ha certamente creduto si trattasse di una partitella di fine campionato senza alcun interesse. Ed invece l’Alessandria si giocava la permanenza in Serie A che, con un’eventuale vittoria sull’Inter, poteva anche essere sicura. Infatti, la Lazio verrà al Moccagatta salva e difficilmente Palermo e Udinese raggiungeranno quota ventotto. Questo è il lato triste della faccenda, questo ci fa sentire maggiormente il dolore per la retrocessione. Tutto sbagliato: così direbbe Bartali, ma ci pare sia proprio il caso di affermarlo: una partita come quella contro l’Inter doveva essere giocata con un’impostazione completamente diversa, senza il battitore libero, senza accorgimenti tattici come quello delle ali arretrate. Inoltre, Rivera, in quelle condizioni fisiche e morali, avrebbe dovuto essere lasciato fuori, tanto più che Pedroni stesso ci aveva detto che il ragazzo era completamente sfiancato. E allora che cosa si sperava da lui? Perché esporlo ad un’altra figura poco buona, come le precedenti di Padova e Firenze? Inoltre, che cosa voleva significare quella prudenza per tutto il primo tempo contro una squadra che attendeva soltanto di essere battuta? Se l’Alessandria si fosse buttata allo sbaraglio, come altre squadre pericolanti hanno fatto, avrebbe potuto segnare nel primo tempo e l’Inter, soddisfatta, non avrebbe certo reagito, o per lo meno non avrebbe infierito. Che cosa si pretende da un segnalinee che ha soltanto due occhi? Un uomo non può essere una cellula fotoelettrica che fotografa l’arrivo di una corsa! Il segnalinee deve guardare anche il punto dal quale parte la palla per poter giudicare un fuori gioco, e quando si continua per tutta la partita a fare lo stesso gioco è ovvio che qualche errore di valutazione scappi fuori. Inutile insolentire il segnalinee, reo di commettere qualche errore: sbagliare è di tutti. La squadra: vuota, senz’anima, disorganizzata, con qualche uomo addirittura assente. Vincere contro l’Inter? Un sogno, perché i neroazzurri, se avessero voluto, già nel primo tempo avrebbero potuto segnare quattro reti! Stefani a posto sempre, coraggioso, preciso; Nardi perso in un gioco ostinato contro quel Corso che a diciotto anni è un vero castigo di Dio; Giacomazzi lottatore strenuo ed ammirevole, ma troppo esuberante nel finale, e la sconfitta porta anche un po’ il suo nome; Snidero, come ogni tanto gli succede, si era messo in testa di dribblare Lindskog che lo sovrasta dall’alto di una classe assolutamente superiore, e ciò è costato almeno un goal; Pedroni ha fatto del suo meglio per tamponare le falle e la sua partita non dovrebbe dar luogo a critiche severe; Girardo, alle prese con un sornione come Firmani, ha fatto del suo meglio; Oldani, sempre fuori posto per quella nuova mania di far giocare le ali in un posto nuovo; Rivera evanescente e stanco; Maccacaro insistente, ma incapace a giocare un solo pallone di prima; Migliavacca come al solito, e pertanto nullo; Tacchi, specialmente nel primo tempo, avrebbe dovuto essere linciato. A parte la prestazione dei singoli, è la squadra in blocco che è pure mancata e soprattutto è mancata la volontà spasmodica di vincere. Povero Jonni. Volevano linciarlo, volevano ammazzarlo di botte perché, secondo gli sportivi più scalmanati, aveva rovinato l’Alessandria non concedendo un rigore, cioè il rigore di cui tutti hanno parlato. Ora, con calma, vediamo di ragionare: Jonni era a tre metri dal fattaccio, certamente ha visto il pallone colpire il braccio d’Invernizzi e certamente ha considerato il fallo involontario. Dare il rigore voleva significare salvare l’Alessandria, è vero, ma condannare un’altra squadra. Ecco il ragionamento che si deve fare! Se il fallo era involontario, poteva Jonni dare il rigore che generalmente non si dà? A noi pare che Jonni avrebbe dovuto senz’altro darlo, ma ragionando freddamente dobbiamo riconoscere che l’arbitro si è comportato da galantuomo. E poi si parla in giro molto più della poca volontà dei giocatori – e si dice anche di peggio – che non del rigore non concesso, il che significa che l’episodio non ha colpito la fantasia degli sportivi, mentre l’abulia di troppi giocatori ha esasperato anche qualche membro del Consiglio, che non riesce a darsi pace del perché qualche giocatore non abbia «sentito» la partita. Una scena di disperazione mai vista su di un campo sportivo e causata da un nonnulla. Rivera corre verso la panchina dell’Alessandria per chiedere quanto manca al termine della partita e tenta di bagnarsi con la spugna: il consigliere Pampuro gli grida di ritornare in campo a giocare e il ragazzo fraintende le parole del suo bonario interlocutore e si dà alla disperazione, sbracciandosi e piangendo. Chiederà poi scusa, ma la sua scenata sul campo non ci ha commossi neanche un po’. No, perché Rivera, per delle ragioni che ci sfuggono, nulla ha fatto sul campo per dimostrare quell’attaccamento così drammatico verso la sua squadra. Ha giocato al piccolo trotto contro degli avversari che lo rispettavano e mai ha dato la sensazione di essere pericoloso. «È crollato fisicamente già da qualche tempo» ci ha detto Pedroni: ne prendiamo atto e gli crediamo senza riserve. Se così non fosse, dovremmo fare apprezzamenti ben diversi. Quali le sorti dell’Alessandria nel prossimo campionato? Quale la formazione approssimativa? Girardo è richiesto dal Genoa (cambio con Pistorello e soldi) e dal Napoli, (cambio con Vitali e soldi); Rivera dovrebbe andarsene comunque, gli altri non sono richiesti da alcuno e pertanto vedremo come andrà a finire. Comunque, il ritorno in Serie A sarà meglio toglierselo dalla testa per tantissimi anni, mentre si poteva benissimo rimanervi con altri sistemi e con altre teste: ma di questo parleremo diffusamente in sede di bilancio consuntivo dopo la partita di domani contro la Lazio, che si presenta insignificante ed inutile. (Enzo Garavelli, «Il Piccolo», 4 giugno 1960) RISULTATI: Bari-Fiorentina 1-0 Bologna-Atalanta 5-0 Genoa-Palermo 1-1 Juventus-Sampdoria 2-2 Lanerossi Vicenza-Udinese 1-0 Lazio-Padova 2-0 Milan-Spal 3-1 Napoli-Roma 1-0 CLASSIFICA: Juventus 54; Fiorentina 45; Milan 43; Internazionale 38; Bologna, Padova 35; Sampdoria, Spal 34; Roma 33; Lanerossi Vicenza 31; Atalanta 30; Bari, Lazio, Napoli 29; Udinese 27; Palermo 26; Alessandria 24; Genoa 18. MARCATORI: 27 gol Sivori (Juventus) 24 gol Hamrin (Fiorentina) 23 gol Charles (Juventus) 20 gol Altafini (Milan) 19 gol Brighenti (Padova) 15 gol Manfredini (Roma) 14 gol Erba (Bari), Pivatelli (Bologna) Il punto sul campionato Il Campionato è giunto ad un punto tale della sua lunga marcia, che, dopo quanto è stato fatto ed è stato scritto più poco ci rimane da dire su molti dei suoi problemi principali. Siamo alla penultima tappa del torneo. Il primo, il secondo, il terzo posto della classifica stanno nelle mani della Juventus, della Fiorentina e del Milan, e l'ordine più non può cambiare. Al quarto posto è risalita l'Inter. Anche il problema della promozione è per due terzi risolto: col Lecco in testa, e col Torino ad una lunghezza di distanza. Da risolvere rimane puramente il problema della terza unità promovenda. Sono in lotta Catania e Triestina. In fatto di retrocessione, anche qui nella Divisione maggiore il verdetto è stato emesso per due terzi. Condannato da tempo era il Genoa. L'altro ieri, a condividerne la sorte è scesa l’Alessandria battuta sul suo campo per tre reti a due dall'Internazionale. A decidere chi debba essere la terza retrocedenda sono l’Udinese, con 27 punti, ed il Palermo con 26. I friulani sono attesi nella capitale dalla Roma, i palermitani riceveranno in casa propria la Juventus. L'Alessandria, si diceva. E' caduta lottando, combattendo. Da parecchio e svariato tempo si trovava in pericolo. Si può dire che, raramente nel corso della stagione, essa si sia mossa dalle turbolente acque della zona del pericolo. Una forte attrezzatura — una attrezzatura che la potesse portare più in alto, anche verso il centro della classifica — non la possedeva. Come spesso succede a chi già si trova in difficoltà, fu bersagliata da disgrazie e da contrattempi di ogni tipo. Produsse, nel corso della lotta — in realtà lo aveva già prodotto prima-— sviluppò, diremmo, un elemento, un attaccante provvisto di eccellenti doti tecniche. Rivera. Giovanissimo, questi, aveva bisogno di venire immesso lentamente e gradatamente all'ambiente duro e forte delle competizioni maggiori. Costretta dalla disperata situazione in cui si trovava, la società dovette ricorrere ai suoi servizi con continuità. E corse il rischio di bruciarlo, come si dice in gergo sportivo. Verso il termine, Rivera cedette, come un virgulto debole ed immaturo. Sarà più saldo l'orino prossimo. La povera Alessandria non è nuova alla Divisione del Cadetti. L'ha già conosciuta In altri tempi. Per chi il passato non dimentica, la sua retrocessione rappresenta però sempre una sfitta, un dolore l'Alessandria fu, in passato, una delle cittadelle del calcio nostro. Con Vercelli, Novara, Casale fece parte di quel quadrilatero piemontese che ad un dato momento, quando non era ancora il soldo a comandare, sfidò e resse all'assalto delle grandi città. Crollato al fine il quadrilatero stesso, Alessandria rimase nella storia come un centro di produzione forte, spontaneo, genuino. Quel vecchio Campo del Cristo, su cui il fango regnava sovrano, era un generatore gli elementi tecnici, specializzati nel gioco su terreni pesanti. Chi scrive ricorda gli elementi che egli attinse par le nostre rappresentative dall'undici del grigi, in quelli che furono definiti i tempi d’oro del calcio Italiano: Adolfo Baloncieri, Gioanin Ferraci, Luig. Bertolini, Renato Cattaneo, Elvio Banchero, Edoardo Avalle, Luigi Milano, e tanti e tanti altri. Ricorda il giorno in cui, dopo anni di lotta, riusci alla Squadra Nazionale italiana di battere per la prima volta l'Austria a San Siro. Il tempo era infame, ed il terreno pesantissimo. Lesionatosi uno dei titolari, venne mobilitato all'ultimissima ora Banchero, fra lo scetticismo generate. Improvvisamente. Come mezz'ala destra. Come uomo da fango e Banchero, accanto a Meazza ed a Ferrari, fece quel giorno una gran partita. Non acquistava elementi dal di fuori, a quel tempi, l'Alessandria. Produceva in proprio, e, se mal cedeva ad altri, vendeva per turare le falle della cassa. Era una scuola tecnica di valore, come lo furono a lungo l'Internazionale ed il Padova. Ora che le traversie economiche mettono in difficoltà chi non possa contare su grandi incassi o su mecenati di grido, fa pena vederti andar giù, squadra della città della paglia: vederti ancora una volta riprendere la lotta per tornar sù. Nessun maggior dolore. Chi ti ha conosciuto allora, non può dimenticarti ora. C'è un'altra pietra di quel quadrilatero che abbiamo menzionato, che regge per rimanerti accanto, l'anno prossimo: il Novara. Domenica, se la spunta in casa, si salva. Bisogna che tutto si coalizzi contro di esso, perché cada. Forza, vecchia fortezza di una volta! (La Stampa Sera - Vittorio Pozzo)