Museo Grigio - Archivio Storico

Stagione: 1957/1958
Serie A
15-12-1957 - Giornata: 14 - Alessandria - Giuseppe Moccagatta


Alessandria US - Roma AS 1 - 3 (1 - 1)
RETI: 18. Savioni M.[A] 40. Pestrin P. [Ro] , 52. Da Costa D. [Ro] , 70. Lojodice S. [Ro]

Alessandria US Nobili Natale, Nardi Aldo, Giacomazzi Giovanni, Marcellini Antonio, Pedroni Franco, Traverso (I) Luigi, Castaldo Ercole, Vitali Alessandro, Vonlanthen (II) Roger, Tagnin Carlo, Savioni Marco All.: Pedroni Franco

Formazione avversaria
ROMA AS: Panetti; Griffith, Corsini; Giuliano, Stucchi, Magli (II) Augusto; Ghiggia, Menegotti, Da Costa, Pestrin, Lojodice. All.: Nordahl (III) Gunnar.

Arbitro: Righi Raoul (Milano)
Note
Infortunati: 68’ Marcellini [A], 78’ Nardi [A, passato all’ala destra]. Ammonito: Griffith [R]. Angoli: 4-9 oppure 4-10 (2-8). Spettatori: 10.000 («La Gazzetta dello Sport») oppure 18.000 («Corriere dello Sport»). Tempo grigio, freddo e umido, terreno scivoloso. Inizio gara ore 14:30.

Commento
Bella, gagliarda partita. Su un campo pesante e difficile, l’Alessandria e la Roma si son date battaglia. Gioco maschio, deciso; gioco che strappava fischi ed applausi, perché inesorabili erano gli interventi. Ma non mancavano le preziosità tecniche: a un certo punto Ghiggia saliva alla ribalta e dava spettacolo. Veloce era la sua sgambettata, deliziose erano le sue finte, magnifico il suo «dribling» e formidabili erano i suoi tiri. Ghiggia se la intendeva a perfezione con Da Costa, Pestrin e Lojodice e cannoneggiava che era un piacere vederlo. Avrete già capito che la Roma si è imposta: tre a uno è il punteggio col quale gli uomini di capitan Ghiggia hanno battuto la Alessandria, dal 1955 imbattuta sul proprio terreno. La Roma è un po’ la «castigamatti» dell’Alessandria: i tifosi di una certa età ricordano infatti una dura batosta del 1937 (1-6) e Guaita che maramaldeggiava con 5 goal. Guaita allora come Ghiggia oggi? Un po’ sì. La Roma si è imposta. All’inizio, però, era stata prudente assai, mentre l’Alessandria si presentava con lo schema tattico noto. La una e l’altra formazione cercavano di portarsi a ridosso di Nobili e di Panetti, i portieri. Tran-tran come fanno i pugili al principio del combattimento: Alessandria e Roma si studiano. Intanto, Menegotti nel mezzo campo giallorosso e Tagnin nel mezzo campo grigio correvano su e giù per assicurare i collegamenti alle rispettive linee di attacco. La Alessandria appariva più pronta, più sfrecciante. E aveva il giusto premio: il goal, il primo goal, al 18’, di Savioni. Bravo era Pedroni, bravo era Tagnin, bravo era Castaldo. Però il complesso, sul far della mezz’ora, scompariva o, meglio, esisteva solo a tratti. D’altra parte, la Roma si rinfrancava e Ghiggia dava i primi grattacapi a Giacomazzi; si muoveva Ghiggia e tutta la squadra respirava. Vuol dire che il lavoro di Stucchi e degli uomini giallorossi risultava ridotto di una buona metà. Sul finire del primo tempo, la Roma pareggiava con Pestrin. Ma per la Roma il bello doveva ancora venire. Appena dopo poche battute della ripresa, l’Alessandria si impelagava nel fango. Anche Pedroni appariva stanco; nervoso appariva Nobili. La Roma cresceva sempre più e Ghiggia iniziava il festival delle meraviglie sul palcoscenico più bello del mondo: il football. Inafferrabile era Ghiggia: spuntava di qua e di là e trattava il pallone con la grazia, la sicurezza, la eleganza di un prestigiatore. Ghiggia era stupendo. I suoi uomini, sul fianco, si muovevano spavaldi, sicuri. Tutto risultava difficile per l’Alessandria; la Roma, invece, si muoveva come se fosse spinta da un buon vento forte. È accaduto quello che doveva accadere e cioè che la Roma metteva a segno altri due goal: uno di Da Costa e uno di Lojodice. Si assicurava così la netta e giusta vittoria, forse inaspettata. Non si diceva infatti che fra le mura amiche l’Alessandria è un osso che non si rode? Il film della partita è movimentato, interessante. Comincia con una brillante offensiva dell’Alessandria al 2’ Panetti rischia di fare una brutta fine: si butta in tuffo, disperatamente, sul pallone, proprio nel momento che Vonlanthen colpisce. La fortuna lo aiuta: il piede di Vonlanthen gli striscia sulla fronte. Una benda e via. La Roma è asserragliata in area di rigore. Nel giro di un quarto d’ora, soltanto un paio di volte riesce a portarsi a tiro di Nobili. Poi, il goal dell’Alessandria al 18’: punizione di Castaldo che è stato messo a terra da Corsini; il pallone cade in mucchio, c’è un rimpallo Panetti-Stucchi e Savioni risolve. L’Alessandria si stringe e uno, due, tre volte è costretta in angolo. Al 27’ Nobili respinge alla bell’e meglio un pallone di Lojodice. La partita si scalda. Ecco a terra Panetti e Vonlanthen; Traverso falcia Griggia; Lojodice si butta addosso a Pedroni; l’arbitro è accomodante. Intanto sulle gradinate si svolgono partite di pugilato. Segue una breve tregua e la Roma attacca: è tirata, furiosa, ma Pedroni ancora resiste. Al 37’ riprendono gli scontri; Corsini atterra Marcellini. Penalty? No: l’arbitro ha visto il fuori gioco di Marcellini. La Roma non molla la stretta e ancora 1, 2, 3 volte costringe in angolo l’Alessandria. Al terzo, Pestrin non perdona. È il 41’: Lojodice dà il pallone a Da Costa, Da Costa lo dà a Pestrin il cui tiro è pronto, secco; pari e patta. Ancora alla fine del primo tempo, pari e patta, perché al 42’ Pestrin butta a lato un pallone che pareva destinato al sacco di Nobili e perché al 44’ un corto tiro di Vitali a risoluzione di una mischia è giudicato dall’arbitro rinviato sulla linea bianca. Si finisce con i fischi e con i fischi si ricomincia. L’elettricità. La ripresa si preannuncia drammatica, ma l’Alessandria appare subito stanca e presto sarebbe entrato in scena Ghiggia. Al 7’ il capitano della pattuglia giallorossa si aggiusta e si allunga la palla; arriva in volata al limite dell’area di rigore e colpisce forte il pallone. Da Costa ha però seguito l’azione di Ghiggia e, libero, riprende e mette a segno. Ora l’Alessandria si sbanda e la Roma domina: Ghiggia e Da Costa, Pestrin e Lojodice comandano il gioco. Nobili è in un mare di guai. Qualche altro scontro duro e qualche sfuriata di Vitali e di Vonlanthen. Nobili butta a lato un pallone di Menegotti, blocca un altro di Pestrin e un altro di Da Costa, ma nulla può contro Lojodice che al 25’ scatta, scarta Marcellini, scarta Nardi e infila Nobili come un pollo allo spiedo: 3 a 1. L’Alessandria è in ginocchio e la porta di Nobili diventa un centro da tiro a bersaglio. L’ultimo spavento di Nobili è al 40’: triangolo Menegotti-Lojodice- Da Costa; il pallone di Dino lascia un segno fangoso sulla traversa che per un po’ trema. Possiamo andare: la Roma è in cattedra e Marcellini, malconcio, è a terra. Come la sua squadra. (Attilio Camoriano, «l’Unità, 16 dicembre 1957) In due anni nessuno si era imposto sul campo dei grigi SEGNA PER PRIMA L'ALESSANDRIA LA ROMA PAREGGIA E VINCE Durava da troppo tempo ormai l’imbattibilità del campo dell’Alessandria. Durava dal 7 marzo 1956 – da quasi due anni, cioè – quando i grigi furono battuti per 2-0 in un recupero col Simmenthal Monza. La Roma è venuta a mettere fine a questo «incantesimo» con una prestazione che non ammette repliche e con un risultato (3-1) senz’altro convincente. Naturalmente l’Alessandria può avanzare delle attenuanti per la sconfitta, può far presente che un diverso comportamento dell’arbitro milanese Righi in due episodi verificatisi nel primo tempo – un «rigore» negato ed un goal non visto – avrebbe potuto determinare un diverso corso della partita. L’attenuante più logica e più accettabile è però quella di essersi trovata di fronte una Roma in edizione di lusso, perfettamente a suo agio sul terreno pesante del Moccagatta, guidata da un Ghiggia trasformato dal ritorno in Nazionale. I giallorossi – è vero – sono stati piuttosto fortunati nel primo tempo, ma nella ripresa si sono scatenati ed hanno dimostrato di meritare pienamente il successo. I grigi, trovatisi in svantaggio era stati costretti a tralasciare l’abituale prudenza e a spingersi all’attacco nel tentativo di recuperare lo svantaggio: la prima linea romanista li ha spietatamente infilati in contropiede, limitando il punteggio a 3-1 soltanto perché la traversa si è opposta ad un tiro di Da Costa e Nobili – l’unico tra i grigi a non perdere la testa – ha saputo sfoggiare alcune parate da campione. L’Alessandria, sfruttando con una tattica di stretta copertura le qualità dei suoi uomini, aveva saputo finora superare se stessa, tenendo testa ad avversarie di maggior valore e piazzandosi in una posizione di classifica più che onorevole. Ma uno squadrone non è: logico quindi che debba abbassare bandiera contro chi – come la Roma – è uno squadrone sul serio. I grigi hanno impegnato Panetti subito in apertura di gioco con un’azione Vitali-Castaldo-Vonlanthen; il portiere giallorosso, uscendo alla disperata sul centravanti svizzero, ha rimediato una botta in testa ed ha ripreso il suo posto con la fronte abbondantemente fasciata. Dopo questo episodio, il gioco si è mantenuto equilibrato fino al quarto d’ora. Al 19’, su punizione battuta da Castaldo, Vonlanthen è saltato di testa e dopo il suo intervento si è creata in area giallorossa un’intricata mischia per il possesso del pallone; più svelto di tutti, Savioni da due metri batte Panetti. La reazione della Roma costringe i difensori alessandrini a salvarsi più volte in angolo e dà modo a Nobili (26’) di sventare con una prodezza un gran tiro di Pestrin. Al 37’, su un rovesciamento di fronte, Marcellini si proietta all’attacco su un lancio di Tagnin e, giunto in area, viene caricato violentemente da tergo da Stucchi, cadendo con le mani sul pallone: l’arbitro accorre e punisce… il fallo di mano dell’alessandrino. Al 41’, su calcio d’angolo battuto da Ghiggia con passaggio corto a Lojodice, Pestrin riceve il passaggio dell’ala sinistra e batte da 5-6 metri Nobili che, coperto da Marcellini, non ha avuto la possibilità di intuire il pericolo. Al 42’ Pestrin fallisce un’altra occasione con un tiro a lato di pochissimo, mentre al 44’, dopo un calcio d’angolo, Vitali raccoglie di testa un centro di Tagnin e devia il pallone in rete, ma Giuliano salva in rovesciata quando la sfera ha abbondantemente passato la linea di porta. L’arbitro però non concede il goal. Nella ripresa, al 7’, Ghiggia recupera in modo acrobatico la palla che stava uscendo a lato e fugge velocissimo, lasciando partire da una trentina di metri un fortissimo tiro che Nobili riesce appena a deviare sull’incrocio dei pali: Da Costa coglie la palla al rimbalzo e porta in vantaggio i giallorossi. Due minuti dopo, Nobili salva su Pestrin e ripete la prodezza al 20’ su un tiro di Menegotti e al 22’ su uno di Pestrin. Al 25’, però, il portiere grigio nulla può fare contro Lojodice, che si presenta solo davanti a lui dopo aver dribblato in corsa tre avversari, e lo batte imparabilmente. L’Alessandria è ormai rassegnata alla sconfitta ed attende solo che il fischio finale la liberi dal «supplizio». Al 40’ la traversa ferma un tiro di Da Costa, condonando ai grigi un quarto goal che sembrava inevitabile. (Gianni Pignata, «La Stampa», 16 dicembre 1957) Una Roma in grandissima vena ed un’Alessandria in giornata nera: questo il commento più spiccio. Diventa però più difficile, sia pur bilanciandosi sulla logica dei rapporti, stabilire se il gioco brillante ed il successo irresistibile dei giallorossi sono la conseguenza diretta della negatività avversaria o se questa ha radici profonde in sé stessa, indipendentemente cioè dalla splendida prestazione dei romanisti. Noi siamo per questa seconda tesi, pur riconoscendo tutti i meriti dei vincitori. Pensiamo, in altre parole, che l’Alessandria abbia incocciato in un vero e proprio infortunio in cui anche l’arbitro Righi ha recitato una piccola ma delicatissima parte. Diciamo infortunio, perché i grigi si sono per così dire auto-affossati in un gioco che è stato un progressivo franamento tecnico (dall’attacco ai reparti difensivi) e in un irrimediabile collasso psichico su cui hanno pesato i virtuosismi dei nemici al pari di qualche svista arbitrale (vista la negazione di un gol, apparso a molti più che valido, verso la fine del primo tempo). A illustrare questa nostra affermazione, ci sembra si presti il racconto della partita, un racconto semplice, nudo e crudo, che si è trattato in fondo di una battaglia priva di complicazioni e di sottofondi tattici, dominata più che altro da elementi di natura fisica su un campo viscido e pesante, nemico quindi di ogni elucubrazione stilistica. Dunque, cominciamo con azioni ad altalena, quasi di studio, come succede in certi incontri di boxe. S’addice al nostro al nostro rilievo il provvisorio k.o. di Panetti al 3’: il portiere romanista, uscito su Vonlanthen, incappa in Castaldo e vien rimesso in piedi con una vistosa bardatura di bende alla testa. Poi l’Alessandria si fa sotto, pur con toni di blanda accademia, mentre la Roma tenta la sorte con improvvisi tiri da lontano. Al 15’, Savioni conclude con una fiondata alta una splendida azione su lancio di Tagnin. E al 19’ lo stesso Savioni risolve astutamente una mischia su punizione battuta da Castaldo ed infila la rete di Panetti. Intanto, Pedroni manovra con una certa qual disinvoltura l’apparato difensivo dei grigi, al punto da far pensare che tutto agisca automaticamente attorno al perno costituito dal giocatore-allenatore. È pensabile che in queste condizioni la Roma possa pareggiare? Si direbbe di no, anche perché Ghiggia e compagni, per ora, si basano più su azioni di contropiede che non su veri e propri attacchi manovrati e raccolgono calci d’angolo, non altro. Il gioco platonico si inasprisce di colpo verso la mezz’ora. Va a gambe all’aria Ghiggia al 30’ sul limite del rigore; Da Costa, al 31’, fa ruzzolare clamorosamente Pedroni; Marcellini, infine, è atterrato in area al 37’, dopo una magnifica azione in linea dei grigi (sarà l’ultima) e la folla invano grida al rigore. Qui la grinta dei romani e la loro possanza atletica, sul quel terreno da risaia, prendono il sopravvento. Ghiggia sfodera numeri di alta acrobazia e, al 41’, su corner, serve corto Lojodice che mette subito al centro. Pestrin raccoglie, si gira su sé stesso e spara nell’angolo sinistro un pallone che Nobili tocca ma non può trattenere. Pareggio fatto. Via libera alla Roma? Si direbbe di sì al 43’, ma Pestrin a porta vuota sbaglia bersaglio e, un minuto dopo, le sorti, ecco, si rovesciano o quasi. Il quasi, purtroppo, riguarda la volontà arbitrale. Corner contro la Roma, mischia, tocco di Vitali, la palla sembra a tutti (anche il segnalinee sarebbe di questo parere) un buon palmo dentro al sacco, ma il romanista Giuliano la riscodella fuori in fretta e furia. L’arbitro dice di no (ed è il no che conta) ai grigi che protestano vivacemente. Da questo momento, pur con quindici minuti di intervallo, il crollo alessandrino ha inizio. Ripresa: la Roma è ormai lanciata e gli avversari lentamente vanno alla deriva. Al 7’ Ghiggia arpiona una palla volante sulla linea laterale, la corregge con un colpo che pare la pennellata di un artista, poi la tien dietro a folle galoppo e da una posizione impossibile centra l’angolino alto della porta. Nobili respinge come può, Da Costa insacca. Due minuti dopo sciupa Pestrin e Ghiggia si esibisce in un altro assolo entusiasmante. Al 20’, Menegotti tenta ancora da lontano e Nobili si salva in corner. Al 25’, infine, Lojodice fa tutto da sé fra tre o quattro avversari che si direbbe siano compiaciuti di essere presi in giro. Ne viene fuori il terzo gol della Roma, un gol che definire sconcertante è dir poco, ma che fotografa lo stato d’animo dei grigi ormai rassegnati. Potremmo chiudere qui il nostro racconto. In campo c’è una sola squadra. Nardi è zoppo all’ala. Da Costa centra in pieno la traversa al 40’, Marcellini si azzoppa anche lui al 44’, Vonlanthen, infine, a pochi secondi dal termine, si mangia l’ultima sporadica occasione. Fischi all’arbitro. Applausi cavallereschi a Ghiggia. Sipario. Commenti? La cronaca li avrà già ispirati al lettore. Precisiamo comunque che la Roma ha cominciato a vincere la sua battaglia, imponendo la legge del suo quadrilatero nettamente superiore. Una differenza di peso e di impostazione che si è tradotta ben presto in differenza di classe. Il franamento – così lo abbiamo definito – dell’Alessandria è cominciato così: da un attacco privo di mordente e di incisività, con un Tagnin di una frigidità irritante, cui ha fatto seguito l’inesorabile sfaldamento dei laterali e lo sbriciolamento di un meccanismo di difesa che nel primo quarto d’ora aveva dato il senso della sicurezza assoluta. I Menegotti, i Magli, i Giuliano, i Ghiggia e anche i Pestrin, per quanto un po’ opaco quest’ultimo, sono stati i dominatori della metà campo e il risultato è nato proprio qui. Per Ghiggia, formidabile, si potrebbe fare un discorsetto a parte. E si toccherebbe, direttamente, anche Giacomazzi, il quale ha creduto di poter marcare la prestigiosa ala a distanza. Un non senso che, da solo, potrebbe interpretare in chiave tecnica il destino dell’incontro. Marcare Ghiggia a distanza, lasciare cioè che si impadronisca della palla e che se la lavori, è lo stesso che lasciar partire in fuga Coppi (il Coppi dei giorni migliori, per intenderci) sperando che… fori una gomma. Giacomazzi, che pure è stato meno colpevole di tanti altri, non ha capito che oggi Ghiggia, da solo, poteva battere l’Alessandria. (Gianni Cerri, «La Gazzetta dello Sport», 16 dicembre 1957) Un autentico, formidabile exploit: così va considerato l’odierno successo della Roma ad Alessandria, su un rettangolo erboso e pertanto viscido ed infido, contro una squadra che era stata ascritta, per diritto di graduatoria, nel novero limitatissimo delle «rivelazioni 1957». Ma non è soltanto il punteggio nella sua cruda nitidezza a guidare la nostra penna nel labirinto degli elogi più sperticati e sinceri. È piuttosto il modo con il quale è stato raggiunto lo scopo, sinora proibitivo, di un alloro esterno che, se non avrà suscitato stupore e sbalordimento, non può rientrare davvero tra le «normalità» domenicali. Non per nulla, lo stadio Moccagatta, fino alle 16:15 di oggi, era ritenuto (con eloquenti pezze d’appoggio) una specie di roccaforte, anche per le vedette del torneo, anche per una Fiorentina. Ebbene, la Roma non solo ha saputo infrangere uno dei più celebrati «miti» calcistici della stagione, ma ha potuto calamitare la stima, le simpatie, le convinte approvazioni di una folla che, per competenza e severità di giudizio, può vantare precedenti di vecchissima data. Non uno dei 18.000 spettatori di oggi ha osato mettere in dubbio la limpidezza e la onestà cristallina del verdetto. Lo attestano le ovazioni fitte e massicce che hanno accompagnato il congedo dei giallorossi. Lo confermeranno sicuramente le critiche dei nostri colleghi piemontesi, tutti «rapiti» dal tono e dalla cadenza della maiuscola prestazione dei trionfatori che, alla distanza, hanno sbriciolato l’ostinata resistenza dell’Alessandria, prima colmando con Pestrin l’handicap di un gol a sorpresa (realizzatore Savioni) e quindi infliggendo, con Da Costa e Lojodice, una dura punizione a una compagine di alto potenziale e che si preannunciava all’apice delle sue possibilità. Nulla di inedito e nulla di impensato nella prodezza giallorossa, sia ben chiaro. Si tratta, a nostro avviso, di un miglioramento collettivo da noi in gran parte vaticinato e dovuto a quel processo di cementazione e di affiatamento da varie settimane intrapreso da Busini e Nordahl e con rosee prospettive. La Roma non è cresciuta d’incanto; è pervenuta con logica progressione allo zenit, facendo leva su un dispositivo di acclarato rimarco e su alcune individualità di invidiata ed invidiabile statura internazionale, lavorando di cesello e non certo di piccone, revisionando e incrementando una inquadratura saggiamente architettata e destinata a grosse aspirazioni. La Roma, in effetti, ha rinnovato anche sull’insidioso e scivoloso terreno del Moccagatta i suoi schemi prediletti. «Calma, prudenza e contropiede»: questo lo slogan calcistico caro al direttore tecnico giallorosso, Toni Busini. A questo principio-base si è ancora una volta attenuta la più popolare e più positiva delle squadre capitoline. Da qui la deduzione inevitabile di una retroguardia robusta ed efficiente e di un attacco sfavillante di classe e virtuosismo, ma non più incostante ed episodico nelle sue manovre offensive, come è accaduto in precedenti occasioni. Il tutto infervorato ed elettrizzato da un mordente, uno slancio e da una forza morale proporzionati alle stringenti esigenze agonistiche dell’incontro odierno ed adeguati all’ardore, alla volontà e alla animosa velocità dell’antagonista. Una Roma, insomma, non solo eccezionale sul piano spettacolare, ma anche ammirevole per freschezza atletica, per abilità tattica, per genuinità psicologica e per il suo sano ed irriducibile temperamento. Una compagine di innegabile valore pratico, di solida costituzione, scaltramente amministrata e diretta, che merita realmente la sua posizione di preminenza. E giacché ci siamo, fermiamo la nostra attenzione sugli undici giallorossi che hanno corrisposto compiutamente e persuasivamente all’attesa del difficile ostacolo alessandrino. Non uno tra i vincitori che si sia trovato un po’ a disagio nel clima incandescente ed incalzante della gara. Non uno che abbia avuto il torto di esasperare il senso di egocentrismo, spendendo le proprie doti costruttive in un gioco troppo personale e quindi sterile ed effimero. Tanto per cambiare, inizieremo la nostra rituale rassegna da tre giocatori scarsamente appariscenti, ma di sicura presa utilitaria e cioè da Pestrin, Menegotti e Lojodice, tre giocatori che si vedono di rado ma che hanno saputo far sentire, e molto spesso, il peso non indifferente della loro generosa e gagliarda mobilità e specialmente della loro caparbia e lucida alacrità. Attorno a questi tre «cardini» del moto perpetuo, tutti gli altri hanno girato su di un livello di lodevolissimo rendimento, illuminato talvolta da un talento superiore (come, ad esempio, Ghiggia), rivelando un elevato grado di forma e qualità di calciatori evoluti, brillanti e, nello stesso tempo, incisivi. Magistrali alcuni interventi del coraggioso e risoluto Panetti. Formalmente e sostanzialmente splendidi gli intercettamenti ed i rilanci di Stucchi, insormontabile fulcro del sestetto arretrato romanista. Funzionale e impeccabile l’opera di intercettazione e di neutralizzazione di Griffith e Corsini. Superba per abnegazione, sagacia e spirito di bandiera la condotta del «vecchio», indomabile Magli, ben affiancato e spalleggiato da un Giuliano in netta, tenacissima ascesa. Ghiggia ha fatto registrare alcune pause ed alcuni indugi, ma allorché ha spinto a fondo ha seminato il panico nelle opposte retrovie, esibendosi in tutti i numeri del suo repertorio di artista della sfera di cuoio. Da Costa ha seguito le orme del suo più celebre collega di estrema destra, ora appisolandosi su docili palloni, ora sfrenandosi in sgroppate e in puntate di sfondamento di meraviglioso e fulmineo risalto. Bravissimi, dunque, tutti, anche coloro che non hanno potuto seguire il viale della regolarità e della costanza. L’Alessandria, dal canto suo, ha tenuto fede alla sua etichetta provinciale. La sua impostazione, in chiave prevalentemente difensiva, poggia sui puntelli di una ammirevole vitalità atletica e di una ariosa ed arrembante semplicità di trame. Nessun preziosismo, nessun orpello, nessun tentativo di arabesco nelle azioni dei grigi di Pedroni e Robotti. Tutto è affidato alla foga, alla decisione e alla spregiudicata spavalderia di undici giocatori di discutibile e mutevole quotazione, ma tutti fermamente ed encomiabilmente ancorati alla formula dell’altruismo e di una totale dedizioni. Un complesso nato sulle fondamenta dell’equilibrio, della compattezza e della schiettezza, volutamente privata di ogni eccessiva pretesa, potenziata da un impegno vivo, pungente, penetrante. Arduo scegliere, in una così armonica e amalgamata brigata, gli esponenti più validi e più capaci. Non possiamo tuttavia passare sotto silenzio alcune strepitose parate dell’agile e tempestivo Nobili, alcuni poderosi squarci di Pedroni e Marcellini, il dinamismo e la resistenza alla fatica di Tagnin e i guizzi perentori ed improvvisi di Vitali. Partita serratissima, «fischietto» di polso. Non sempre, però, il milanese Righi è sembrato pienamente all’altezza della sua crescente fama e della concitata e scorbutica contesa. Nulla di parziale, intendiamoci, nulla di riprovevole nella sua direzione imprecisa e talvolta poco energica, ma nei suoi aspetti esterni scevra di favoritismi ed influenze casalinghe. Non tutti gli arbitraggi, evidentemente, riescono alla perfezione, anche quando sono espressione di un direttore di gara autorevole, oculato ed affermato. Cielo coperto, terreno scivoloso per la pioggia caduta nella mattinata. Al 3’ del primo tempo, Panetti, in seguito a uno scontro fortuito con Vonlanthen, ha riportato una ferita lacerocontusa alla regione frontale destra; prontamente medicato, il portiere giallorosso ha potuto restare al suo posto. Al 31’ della ripresa, Nardi, per uno strappo muscolare, è stato costretto a schierarsi all’estrema destra, cedendo il ruolo a Marcellini, mentre Castaldo è arretrato a mediano destro. Al 23’, sempre della ripresa, Marcellini, per una forte contusione alla caviglia destra, è stato costretto ad abbandonare il terreno di gioco. Cronaca densa di alternative e di sprazzi emotivamente interessanti. Più impetuosi e vibranti i brani di marca alessandrina; più raffinate e più fulgide le trame di fabbricazione giallorossa. A ritmo frenetico l’avvio. L’Alessandria è tutta proiettata nella opposta metà campo. Magli deve fare appello a tutta la sua esperienza per stroncare due rabbiose incursioni di Vitali. Panetti (3’) si vede costretto ad affrontare alla disperata il lanciatissimo Vonlanthen, uscendo malconcio (una ferita lacerocontusa alla fronte) dallo scontro violento con il centroavanti alessandrino. Nulla di grave, comunque. Tutto si risolve in un… turbante accortamente predisposto da Ceretti a protezione della parte offesa. La Roma non tarda a organizzarsi e condensa le sue repliche in due staffilate di Da Costa (7’ e 9’) che sfiorano la porta grigia. Al 19’, la prima svolta brusca. Calcio di punizione a favore dell’Alessandria (per un fallo di Corsini ai danni di Vitali); spiovente di Castaldo in area giallorossa; in mischia ha la meglio Vonlanthen, che indirizza a rete da distanza ravvicinata; Panetti rinvia corto; irrompe Savioni, insaccando agevolmente. Un gol banalissimo. La Roma incassa con evidente disinvoltura e accentua la sua pressione. Al 26’, stupenda triangolazione Menegotti-Da Costa-Lojodice; sventa Nobili in uscita, correggendo di pugno in corner il cross conclusivo del numero undici giallorosso. Due minuti dopo, Nobili concede il «bis», salvando fortunosamente con il piede destro su un secco «rasoterra» sferrato in mischia da Lojodice. La Roma insiste e al 30’ Ghiggia, al culmine di un mirabile «a solo», viene atterrato proprio sul dischetto del penalty. L’arbitro preferisce sorvolare, ritenendo «ortodossa» la carica dell’accorrente Traverso. La competizione si inasprisce, ma la Roma non si lascia intimorire. I suoi contrattacchi, anzi, aumentano di intensità e di ostinazione. Il pareggio è nella incubatrice. Eccolo, al 40’: calcio d’angolo a vantaggio della Roma; dosatissima parabola di Ghiggia; Pestrin si fa luce e da una decina di metri infila con un tiro angolatissimo. Non è finita. Al 42’, lo stesso Pestrin, su passaggio di Da Costa, può presentarsi tutto solo al cospetto di Nobili, ma il suo «diagonale» è fiacco e, per di più, fuori bersaglio. L’Alessandria, sullo scampato pericolo, si produce in una furibonda «impennata», sottoponendo Panetti a un vero e proprio assedio. Niente da fare, però. La Roma non cede di un millimetro e riesce a giungere indenne all’intervallo. Le ostilità si riaccendono in una atmosfera più pacata. La Roma, pur badando a non scoprirsi eccessivamente, può sfoggiare una sensibile prevalenza. I frutti vengono raccolti con magnifica immediatezza. 7’: travolgente galoppata di Ghiggia sulla destra; due avversari (Traverso e Giacomazzi) vengono aggirati di abilità; ne scaturisce, infine, un tiro bolide; vano affannarsi di Nobili; il pallone lascia la sua impronta sulla faccia interna del palo di sinistra e schizza sul piede destro del sopraveniente Da Costa; una stangata in corsa, violentissima ed assolutamente imparabile, è l’applaudito compendio, 2-1. La Roma va alla ricerca del colpo del «fuori combattimento». Al 9’, imbeccato intelligentemente da Menegotti, Pestrin può scappare indisturbato verso l’area grigia, scagliando, quindi, un pallone-folgore sul quale Nobili si esibisce in una portentosa respinta al volo. È Menegotti, poi, a sferrare da fuori area (19’) un tiro di rara potenza; Nobili si fa ancora acclamare per una fulminea deviazione in corner. La Roma è ormai padrona assoluta del campo. Tre «fucilate» da lontano di Pestrin (21’), Da Costa (23’) e ancora Menegotti (24’) vengono stentatamente sventate da Nobili. Il terzo gol romanista è più che mai nell’aria. Matura al 25’ e va ascritto a merito di Lojodice che, aggiudicandosi testardamente ben tre «rimpalli» può finalmente scaraventare nel sacco, da una dozzina di metri, dopo aver astutamente elusa l’uscita precipitosa del portiere alessandrino. Finale a fuochi spenti. La Alessandria (decimata per di più da un infortunio occorso a Nardi) sembra rassegnata e contrattacca più che altro per onor di firma. La Roma, paga dell’abbondante bottino incamerato, non forza l’andatura e si limita a controllare i rivali. Un solo brivido: una «saetta» di Da Costa (40’) si smorza sulla sinistra laterale a portiere battutissimo. Ma nessuno se ne adonta. Tanto meno il pubblico che, trascinato dalla accademia terminale giallorossa, colmerà di ovazioni e di sacrosanti battimani i vincitori, suggellando con fragorosi consensi una bellissima, impeccabile impresa. L’impresa di una squadra che ha imboccato la strada maestra della completezza, quella strada che non potrà avere come sbocco che le primissime posizioni. (Giuseppe Melillo, «Corriere dello Sport», 16 dicembre 1957) Non era ancora accaduto, in questo campionato, che l’Alessandria perdesse sul suo campo. Anzi, prima che al Moccagatta arrivasse la Roma, i grigi in casa loro non avevano subito che un unico gol. Questo preambolo serve ad illustrare in breve quali e quanto grandi siano stati i meriti della Roma. Il gioco dell’undici giallorosso, sommario e spesso deludente all’inizio del torneo, ha raggiunto forse solo ora l’esatto «punto di maturazione». È un gioco indubbiamente di ottima levatura tecnica: il che è nelle tradizioni romaniste. Quel che oggi, però, fa della Roma una squadra veramente «completa» è quella combattività che in passato le faceva quasi sempre difetto. Artisti del pallone quali possono essere considerati Ghiggia, Costa e anche Pestrin hanno trovato nei duri e «provinciali» Menegotti e Magli degli ideali «compagni di viaggio». E, accanto al coriaceo «Menego», anche l’incerto Pestrin dell’anno scorso si è trasformato in una mezzala coi fiocchi. Con la «regia Menegotti» a metà campo, la difesa giallorossa ha acquistato una solidità perfino inaspettata: la riluttanza di Magli ad uscire dalla zona arretrata (gli anni pesano per chiunque) consente a Griffith, a Stucchi e a Corsini di agire in piena tranquillità davanti a un Panetti finalmente decisosi a «rivelarsi». Con Menegotti e Pestrin alle spalle, i tre «artisti» della prima linea non possono mai lamentarsi di scarsità di palloni; e se ciò non bastasse, Ghiggia non si fa pregare per «tornare» ad impostare l’azione. Obbligata ad attaccare, come è avvenuto nel primo tempo contro l’Alessandria, la Roma non è gran che: le sue punte avanzate hanno bisogno di spazio libero; costretto a subire l’assalto degli avversari (vedi ripresa), la Roma può essere grande, come in effetti è stata. Indubbiamente, la squadra di Nordahl è stata aiutata: ma più che l’arbitro Righi (del quale poi narreremo le malefatte), noi pensiamo che sia stata la stessa Alessandria a fornirle l’aiuto più sostanzioso. Nella ripresa, infatti, i grigi si sono lanciati all’attacco decisamente per riconquistare la vittoria che alla fine del primo tempo si erano lasciati sfuggire. Ma, pur attaccando in prevalenza, hanno dovuto subire due gol, hanno visto Costa colpire la traversa a portiere battuto e Nobili impegnato da almeno quattro tiri tutti pericolosi. Come contropartita, nemmeno una conclusione di una certa pericolosità. Indubbiamente, l’atteggiamento decisamente offensivo non si adatta alla squadra di Pedroni. Tanto meno quando Tagnin è in giornata negativa e vaga per il campo alla ricerca di una posizione utile, sbagliando palloni su palloni, coinvolgendo anche il «tornante» Castaldo in vani tentativi di tamponamento a centro campo. Senza il punto d’appoggio di Tagnin, Vonlanthen, che pure ha giocato bene, nulla ha potuto fare di decisivo, né Savioni e Vitali hanno potuto fare di più. Ha finito per far le spese di tutto questo il bravo Pedroni, che si è trovato a dover affrontare Costa e Ghiggia e compagni senza un’adeguata copertura davanti a sé. Ma si consoli, il (forse) neo-azzurro: la «sua» Alessandria è stata battuta da una «grande» Roma. L’arbitro milanese Righi non ha avuto certamente felice. Sorvolando sulla valutazione di molti falli, basterà ricordare due episodi del suo discutibile operato. Il primo è avvenuto al 37’ del primo tempo, quando Marcellini, lanciato in area da Castaldo, si è visto mettere «al tappeto» da Stucchi e Corsini. Righi non solo non ha accennato a concedere il calcio di rigore, ma ha addirittura assegnato una punizione in favore della Roma. Il secondo episodio è accaduto allo scadere dei primi 45 minuti dopo, cioè, che Pestrin aveva pareggiato il gol ottenuto da Savioni a conclusione di una mischia sotto la porta di Panetti. In seguito ad un analogo episodio, Vitali, riprendendo una cortissima respinta di Panetti, portava in rete la palla, che veniva subito ributtata lontano da Stucchi. Gli attaccanti grigi reclamavano il gol, ma Righi ordinava il proseguimento del gioco. Castaldo, che era andato di volata dal segnalinee per richiedere il suo intervento, ha avuto la consolazione di sentirlo dire che la palla aveva effettivamente superato di quasi mezzo metro la linea bianca. Ghiggia ha giocato un’eccellente partita: il campionato giallorosso non si è accontentato di «fare l’ala», ma è retrocesso sovente a metà campo a fiancheggiare Menegotti nel gran lavoro svolto dal «vecio». Da Ghiggia sono state impostate, almeno in partenza, le azioni più pericolose dell’attacco romanista: l’oriundo è pronto per la Nazionale, prontissimo; una sicurezza per la partita di domenica prossima con il Portogallo. Qualcuno ha voluto addossare a Nobili, il portierino dell’Alessandria, parte della colpa dei tre gol subiti. L’affermazione, per lo meno ingenerosa verso il ragazzo che, nella ripresa, ha saputo limitare la superiorità della Roma in termini ragionevoli, non ha ragione di essere. Nell’azione del primo gol romanista, Nobili era del tutto coperto, né le reti di Costa (un tocco di testa improvviso) e di Lojodice (libero in area) possono essere imputate al portiere. Solo una grande squadra poteva riuscire ad espugnare il terreno di Alessandria con la sicurezza sfoggiata dai giallorossi: oggi la Roma è fra le squadre più in forma del campionato e dispone di uomini e di risorse tali da poter ricoprire, nel torneo, il ruolo di «terza forza». (Giulio Signori, «Sport Illustrato», 17 dicembre 1957) Giovedì 25 dicembre, ere 14,30, al Moccagatta L'ATTESO RECUPERO ALESSANDRIA-NAPOLI La cause della sconfìtta subita domenica Il colosso dai piedi d’argilla. Così è stato l’orso grigio domenica contro la Roma, e non è detto che l’Alessandria abbia ceduto sol perchè trovatasi di fronte alla massiccia squadra dei gladiatori romani, in quanto i migliori dei giallorossi sono stati Ghiggia e Lojodice, due pesi leggeri. Non ci volevano muscoli d’acciaio, ma prudenza, evitando di sprecare inutili energie. Pare che i romani si siano trovati in piena efficienza ad Alessandria, perché erano stati alcuni giorni alle Terme di Caracalla. Infatti, avete visto come… caracollavano Ghiggia e Lojodice in mezzo ai paletti grigi infissi nel fango? Scoperta la faccenda, anche l’Alessandria è partita per Acqui e, con l’acqua della Bollente, cosa bollirà in pentola? L’incontro con la Roma ce lo siamo legati al dito. È stata una sconfitta clamorosa che non ci aspettavamo; ma ormai, passato lo sgomento iniziale, cerchiamo di ricuperare i punti allo stadio romano (e non sarebbe la prima volta). Occorre però, per non dimenticare l’affronto, cantare quotidianamente «Arrivederci, Roma», e dire che questa canzone l’ha scritta un oriundo: Rascel. Con la sconfitta di domenica sono balzati fuori coloro che, appiattiti nell’ombra con il fucile spianato, attendevano il primo passo falso dell’Alessandria per sparare… scariche di bile. Un quotidiano si è affrettato a scrivere: «L’ottimo comportamento dell’Alessandria in questa prima fase di campionato aveva portato molti – tifosi e dirigenti – a sopravvalutare i meriti e le capacità della squadra». Non siamo di questo avviso e siamo del parere che la sconfitta vada attribuita esclusivamente alla tattica sbagliata della nostra squadra che ha tagliato le gambe a tutta la retroguardia, che nella parte finale dell’incontro addirittura solo più brancolava nella sua area. Ne «Il Piccolo» del 7 dicembre scorso avevamo scritto: «La nostra squadra, l’abbiamo visto anche mercoledì nell’incontro coi cadetti del Novara, non gioca più di «prima»; la palla dalla linea dei terzini, prima di giungere all’attacco, è tenuta in quarantena, con inutili passaggi laterali che permettono alle difese avversarie di arretrare ordinatamente». Tale tattica è stata ripetuta ingenuamente contro la Roma su un campo appiccicoso, dove non dove non era possibile giocherellare con passaggi brevi, radenti, senza favorire l’intercettamento da parte degli avversari e senza esaurirsi preventivamente. Inoltre, i nostri terzini e mediani, quando erano in possesso della palla, liberi di effettuare rimandi, aspettavano l’avversario e lo andavano a cercare con una continuità esasperante, tentando di portare avanti l’azione sul filo di rasoio delle linee laterali del campo, dove più ardua è la manovra. I temporeggiamenti della retroguardia hanno provocato continui spostamenti degli avanti, in attesa del passaggio in profondità che veniva effettuato dopo puerili ritardi, di modo che dovevano essere due gli elementi di centrocampo, Castaldo e Tagnin, ad esaurirsi pur senza aver la possibilità di svolgere gioco. L’attacco, ridotto a tre uomini, messo a confronto con Griffith, Corsini e Stucchi, difensori che giocano a catapulta (con il benestare dell’arbitro), non ha potuto fare grandi cose, anche per la consueta cocciutaggine di Vitali ad insistere nel voler portare l’azione in avanti senza poggiare sui compagni. Comunque, sono state segnate due reti, una da Savioni (valida) ed una da Vitali (annullata), ed all’Alessandria è stato negato anche un calcio di rigore. È stata, la partita di domenica, una beneficiata per Ghiggia, ma state certi che se il prestigioso oriundo si fosse trovato di fronte a Griffith e Corsini, sarebbe certamente finito oltre… la rete di protezione. Ha sorpreso il comportamento di Giacomazzi e crediamo che questo giocatore sia stato trattenuto dal praticare un gioco irruento dal pensiero delle tre domeniche di squalifica già subite; e se fosse entrato una volta con decisione su Ghiggia con la veemenza di Griffith, probabilmente sarebbe stato squalificato a vita. Il crollo della nostra retroguardia, nel secondo tempo, non poteva mancare, tutti si erano esauriti e non avevano più la forza ed i riflessi normali. Abbiamo visto Pedroni protestare con Nobili per la seconda rete ma, di grazia, il centrattacco della Roma chi doveva guardarlo? La menomata efficienza della squadra grigia è poi stata dimostrata in modo lampante dalla terza rete, quella di Lojodice che, meglio ancora di Ghiggia – pur non essendo un fuoriclasse – si è destreggiato nella nostra area di rigore mortificando Traverso, Nardi e Marcellini e battendo quindi Nobili. Concludendo, quindi, a nostro avviso non si tratta di sopravvalutazione della squadra di Pedroni, ma di errore tattico (che pur va imputato a Pedroni stesso, come allenatore). Noi, che siamo stati maestri del gioco nel fango, abbiamo deluso il pubblico facendo i «giochetti», come se la Roma si dovesse prestare a fare con l’Alessandria la figura del topo col gatto! Vi saranno ancora partite sul terreno pesante e si correrà certo ai ripari: i vari Marcellini, Nardi e Pedroni si adatteranno a spingere l’azione in profondità, rimandando i virtuosismi a quando vi sarà il terreno sodo. Nobili, domenica, non si è accorto che i compagni erano «scoppiati» ed anziché effettuare rimandi di piede ha gettato la palla con le mani, costringendo terzini e mediani a sfiancarsi inutilmente. Inoltre, il nostro portiere si è comportato con troppo nervosismo nei confronti del corretto Ghiggia. Un professore, un capoufficio, un ufficiale domenica scorsa avrebbero potuto redarguire un subalterno con la frase: «Righi diritto o la butto fuori!». Ma all’arbitro Righi di Milano nessuno si azzarderà a dirgli: «Righi diritto». Così continuerà comodamente a non concedere le reti segnate, e di questo passo diventerà… arbitro internazionale. Gli alessandrini sono troppo sportivi però, se danno ascolto a noi, alla sua prossima venuta in Alessandria l’arbitro Righi… righerà diritto sul serio! (Andrea Canestri, «Il Piccolo», 21 dicembre 1957) RISULTATI: Bologna-Atalanta 3-1 Fiorentina-Juventus 2-1 Internazionale-Genoa 1-0 Lazio-Udinese 1-0 Padova-Spal 3-0 Sampdoria-Napoli 3-0 Torino-Lanerossi Vicenza 1-0 Verona-Milan 4-3 CLASSIFICA: Juventus 21; Fiorentina 20; Padova, Roma 18; Napoli 16; Alessandria* 15; Bologna, Verona 14; Lanerossi Vicenza, Lazio 13; Internazionale, Sampdoria, Torino 12; Spal, Udinese 11; Milan 9; Atalanta 8; Genoa* 7 MARCATORI 13 gol Charles (Juventus) 11 gol Vinicio (Napoli) 10 gol Hamrin (Padova) 9 gol Bean (Milan) 8 gol Lindskog (Udinese) 7 gol Di Giacomo (Napoli), Firmani (Sampdoria), Pivatelli (Bologna) Il punto sul campionato Molte le novità nella 14* giornata del torneo nazionale calcistico La Fiorentina ha ridotto sensibilmente il distacco dalla Juventus capolista Prosegue sicura la rimonta del Bologna - La sorpresa del risultato di Alessandria rappresenta il primo successo esterno della Roma e la prima sconfitta casalinga dei "grigi,, - Battuto di misura a Verona, il Milan seguita a dibattersi al fondo della classifica - I granata hanno conquistato cinque punti in tre partite, di cui due in trasferta L'avvenimento dominante della giornata era l'incontro di Firenze fra la Fiorentina e la Juventus, le due unità che, dopo tredici tornate di gare, si trovavano rispettivamente al secondo e al primo posto della classifica del campionato. Ha vinto di stretta misura la Fiorentina, e raramente un successo contenuto in angusti limiti è stato più giusto e meritato. La folla che ha presenziato all'incontro era così numerosa e fitta che le installazioni metalliche dei posti popolari hanno finito per vedere alla pressione su di esse esercitata, dando luogo ad incidenti che per mero caso non hanno avuto conseguenze letali. Era tale la massa degli sportivi che ha assistito alla gara — ed erano così elevati i prezzi — che il primato assoluto per incassi conseguiti in partite di calcio in Italia è stato battuto con la cifra di 12.600.000 lire. Con lo spettacolo che hanno offerto, le due squadre hanno fornito la conferma di essere al momento attuale le migliori del nostro campionato, quelle che posseggono i titoli tecnici più positivi per aspirare al primato. Il primo temilo dell'incontro, e particolarmente la prima mezz'ora del medesimo, non verranno tanto facilmente dimenticati da coloro che hanno avuto la sventura di assistervi. Essi rappresentano senza alcun dubbio i periodi di migliore e di più suggestiva levatura tecnica che siano stati raggiunti da squadre italiane nel dopoguerra. Per vincere, la Fiorentina ha fatto leva sulla sua arma più efficace: l'esperienza. La Juventus ha ceduto al confronto nel secondo tempo. Come risultato essa non ha, piegato il ginocchio che negli ultimi minuti della partita, ma praticamente il cedimento del suo giuoco — determinato anche da una efficienza notevolmente ridotta per la inutilizzazione totale dell'ala sinistra Stivanello e parziale del portiere Mattrel — ha avuto inizio fin dalle prime battute della ripresa. Il risultato della partita dì Firenze non porta modificazioni alle posizioni di testa della classifica: la Juventus rimane al primo posto, e la Fiorentina al secondo. Ma la distanza fra i due contendenti è diminuita: è ridotta ad una sola lunghezza. Il prosieguo del duello a distanza fra di esse — quando l'attività della squadra nazionale per le eliminatorie del campionato del mondo permetterà che il campionato faccia ritorno ad un'atmosfera normale — continuerà a costituire a lungo uno dei motivi più importanti ed interessanti della lotta. La squadra campione, ha perso questa volta — per 4 reti a 3 — a Verona, dopo di essersi trovata in vantaggio per 2-0. Sono salite a cinque le sconfitte subite dai rossoneri ed a sette i pareggi, su un- complesso di tredici partite disputate, c la compagine rimane più isolata che mai, assieme all'Atalanta e al Genoa, in piena zona di retrocessione. Se essa non si risolleverà nelle gare normali e di recupero che si svolgeranno a cavallo del Capodanno, la sua situazione assumerà tinti fosche. Si pensi che per il 29 corr. essa dovrà ricevere la visita di una Fiorentina nello stato di grazia che questa ha dimostrato, contro la Juventus! Per il rimanente i risultati della giornata hanno dato luogo a tre fatti che finora nella competizione non si erano ancora verificati: la Roma ha vinto la sua prima partita fuori casa, l'Alessandria ha perso la stia prima fra le proprie mura, e la Sampdoria ha riportato ii suo primo successo casalingo. Tre piccole tradizioni infrante, tutte in una volta. Due di esso su uno stesso- terreno di gioco, anzi. Che è stato proprio ad Alessandria che la Roma è andata a vincere per 3-1, mentre a Genova la Sampdoria poteva imporsi per 3-0 su un Napoli irriconoscibile. Continua a vincere in modo convincente, intanto, una squadra eh ha parecchi titoli per classificarsi fra le migliori, quella del Bologna, che ha battuto questa volta l'Atalanta per tre reti a una. Superato ii loro perizio di crisi, i petroniani già sono riusciti ad arrampicarsi fino al quinto posto della classifica accanto al Verona che, a differenza, basa quasi esclusivamente la sua efficienza, e quindi la sua posizione, sulle vittorie di tipo casalingo. Per la ripresa del Campionato, il Bologna è atteso a Vicenza dove risiede una squadra che ancora non ha conosciuto sconfitte in campo proprio. Di sconfitte in casa d'altri, il Vicenza ne ha conosciuta una proprio domenica a Torino contro i granata: per un rigore, negli ultimi minuti, che ha sollevato un putiferio. Non la volevano accettare, la punizione massima, i vicentini, e si sono ribellati all'arbitro ed hanno fatto nascere incidenti prima: lasciare il campo. Fuori del recinto del medesimo, sulla strada gli pubblico ha malauguratamente reagito colpendo l'autobus che trasportava gli ospiti. Brutte cose. Dalle quali il Torino si consola pensando all'ulteriore balzo in avanti che ha fatto in classifica. (La Stampa - Vittorio Pozzo)